La poesia del
Parini e i problemi della società del suo tempo
Il Parini
ha una chiara coscienza che la poesia in tanto è valida e
nuova in quanto opera nella realtà del proprio tempo,
facendosi interprete dei problemi che essa pone e
collaborando all'opera di rinnovamento e di trasformazione
della società. L'atteggiamento del Parini è però quello
tipico del riformista, il cui ideale è l'instaurazione senza
scosse di un ben composto e più giusto ordine sociale: in
lui, infatti, è presente, accanto al sincero spirito
egualitario, un gusto altrettanto vivo per la bellezza, che
lo porta a vagheggiare gli aspetti più splendidi ed eleganti
della pur condannata società aristocratica; e lo guida
altresì sempre l'amore per la letteratura che gli detta le
pagine più fini e preziose della sua opera.
[ La ] partecipazione agli ideali e alle lotte non solo
della nuova cultura, ma della nuova società milanese,
condusse il Parini ad uscire dagli schemi tradizionali della
sua prima poetica per tentare una poesia nuova, arricchita
dei fermenti del trionfante sensismo e anelante a un
difficile complesso equilibrio tra modernità e tradizione,
tra fini civili e autonomo fine poetico. È stato facile,
certo, ritrovare nelle sue formulazioni teoriche («la calda
fantasia / che sol felice è quando / l'utile unir può al
vanto / di lusinghevol canto») le sopravvivenze di una
tradizione secolare o gli addentellati con un moto di
rinnovamento iniziatosi ai primi anni del secolo; ma è pur
vero che ricondurre, come pure si è fatto, la concreta
poesia del Parini al rinnovamento dell'Arcadia è errore
gravissimo, che vieta di cogliere le novità di temi e di
svolgimento, di ispirazione e di linguaggio, che
caratterizzano quella poesia e le danno un posto tutto suo
nella lirica e nella cultura del tempo. Utile e dolce I sono
certo gli elementi che il Parini si sforza di contemperare
armonicamente; ma a dare consistenza e senso alla sua poesia
è il fatto che utile questa volta non significa più
un'astratta utilità morale, ma ha un contenuto preciso,
storicamente determinato, che è, ancora una volta, lo
spirito della società illuministica, quale si veniva
configurando a Milano, sotto la spinta delle influenze
europee e per impulso delle riforme teresiane.
Il Parini, perciò, non rinunzia alle istanze tradizionali di
una poesia di tono alto, e tiene sempre il tacco del piede
sinistro, secondo l'espressione famosa del Carducci, non
tanto in Arcadia, quanto genericamente nella secolare
tradizione letteraria italiana; ma nello stesso tempo,
ubbidendo alla poetica sensistica, cioè alle esigenze più
vive e moderne dei suoi tempi, aspira a crearsi una lingua
che gli permetta di dire, con letteraria dignità, cose ed
affetti quanto più moderni e realistici gli sia possibile
esprimere. Non sempre, certo, riesce nell'intento, ed ora
l'abito suo di letterato, il lungo tirocinio compiuto sotto
le spoglie di Ripano Eupilino, gli prende la mano; ora,
invece, la materia nuova e realistica gli si impone e vi
pesa con una sua inelaborata grettezza; ma quando trova
quell'equilibrio difficile, scrive odi o parti di odi che,
per la pungente novità dell'impostazione, per la modernità
viva dei temi e del loro svolgimento, per il sobrio e pur
potente realismo del linguaggio, sono tra le sue cose più
vive, e sono, in ogni modo, la prima alta prova della
rinnovata poesia italiana.
In questi anni ideò un vasto poema che rappresentasse,
satireggiandola, la vita della società nobiliare, e ne
compose le prime due parti: il Mattino (1763) e il
Mezzogiorno (1765 ). Pubblicatele, credette di poter
rapidamente comporre e pubblicare la terza, e cominciò ad
attendervi.
L'ampiezza del poema e la forma stessa che il Parini gli
dette - non racconto di una storia, ma descrizione minuta
della giornata di un giovin signore, pittura, disse
l'Alfieri, del «signoril costume» - fecero sì che in esso il
Parini potesse spiegare ed esprimere tutto se stesso,
rispecchiando come in nessun'altra sua opera tutta la
società intorno a lui, con le sue varie e spesso violente
contraddizioni.
La posizione del Parini dinanzi alle questioni vitali del
suo tempo è, nel suo fondo, ben netta, anche se complessa e
sfumata, e, nelle sue grandi linee, riflette con abbastanza
precisione la nuova cultura lombarda. Banco di prova il modo
di porsi di fronte all'illuminismo francese, di cui il
Parini respinge le basi. filosofiche e i suoi fermentanti
sviluppi verso un deciso sensismo, verso il materialismo,
l'ateismo o un ragionato cosciente deismo, così come ne
respinge lo spirito di divulgazione, e il gusto, ma più che
il gusto, il senso dell'importanza della scienza. Pare
respingerne così le punte avanzate e gli aspetti caduchi, ma
in realtà egli lo svuota in questo modo dei suoi spiriti più
vivaci e di quegli aspetti più moderni - culto della
scienza, concetto «democratico» della filosofia e della
cultura, valore della divulgazione scientifica - che lo
facevano veramente una cultura rivoluzionaria, mentre,
d'altra parte, la vecchia boria nazionalistico-letteraria lo
porta ad esaltare, di fronte a queste nuove «mode»
straniere, la tradizione nazionale italiana. Il suo
atteggiamento perciò di fronte a Voltaire o a Rousseau,
all'Enciclopedia ed alle sue dottrine, è sempre
contraddittorio e contrastato, e se egli ne accetta toto
corde alcuni aspetti o alcune tesi, ne respinge egualmente
toto corde degli altri.
Ne accetta però, con sicurezza decisa, un aspetto, e su
questo fonda la sua battaglia e il suo poema: la polemica
egualitaria contro il diritto di nascita. Qui veramente,
almeno nel Dialogo della nobiltà e nella prima stesura del
Mattino e del Mezzogiorno, la posizione del Parini è netta,
e la sua è non satira di costume, ma polemica storicizzata e
concreta, che affonda le sue radici nella realtà politica e
sociale del Settecento europeo, e combatte non in nome di un
astratto moralismo cristiano o ad esaltazione di un generico
arcadico «buon villan», ma contro una precisa classe
nobiliare, quale si era venuta storicamente configurando, e
per una nuova classe borghese quale concretamente esisteva.
Per questo, se alcune volte cade nell'idillio arcadico
(Mattino, v. 33 sgg.), il più delle volte descrive con
intensa forza polemica e, individuando le cause della
situazione attuale, colloca nello sfondo, con grande
sapienza di contrasti; dietro il lusso aggraziato di quella
società nobiliare, immagini crude di violenza e di pena: le
conquiste sanguinose del Messico e del Perú, il servo
costretto all'elemosina, i poveri piagati affollantisi
intorno al palazzo patrizio, lo sforzo di tutta una società
operosa, «dannata» al lavoro, a permettere l'ozio di colui
«che da tutti servito, a nullo serve».
Tuttavia, il Parini non è mai un rivoluzionario, sebbene un
riformista, che aspetta l'eliminazione dei mali sociali da
una illuminata opera di governo, e che sogna, attraverso
quest'opera, una società di agricoltori e di artigiani,
dignitosamente operosi, fra i quali sia posto per
un'aristocrazia dell'intelletto e dello spirito, aperta a
tutti i valori dell'arte, della scienza, del bello e
dell'elegante. Perciò anche in questo momento della sua
storia interiore, il Parini può dipingere con aderente
raffinatezza tanti aspetti della vita patrizia, non tanto,
come si è detto, perché la sua natura di artista gli forzi
la mano, quanto piuttosto perché tutta la sua concezione
della vita non nega e non esclude quegli aspetti, ma li
vorrebbe, se mai, congiunti ad altri aspetti, al
riconoscimento di altri valori: la sua posizione di fronte
alla vita patrizia è, in realtà, meno contraddittoria di
quanto non paia, com'è, in questo periodo, assai più ferma
di quanto non lasci pensare, a prima vista, il tono
elegante, mondano, di cui così spesso si serve.
Rivoluzionario non era, naturalmente, nemmeno per ciò che
concerne la poesia, ché anche nel Giorno mirava ad un
equilibrio complesso che fondesse gli spiriti didattici e
polemici dell'opera con una autonoma raffinata eleganza
letteraria, e inserisse, per così dire, la polemica
contemporanea e il realismo minuto in una tradizione di alta
tensione espressiva, anticipando, in un certo senso, la
poetica fissata più tardi dallo Chénier in un verso famoso:
comporre versi antichi su pensieri moderni. Una dozzina di
anni dopo, recensendo un altro poema didattico - la
Coltivazione dei monti di Bartolomeo Lorenzi - scriveva
chiaramente che in «un poema didattico gli argomenti sono un
pretesto per la bella poesia, anzi che il fine assoluto di
essa», sicché occorre spargere e distribuire nell'opera
«momenti assai più numerosi, più estesi, più vari, di riposo
poetico»: è la poetica, insomma, che detta le favole che
intervengono qua e là a variare la materia didattica con
riposi di pura poesia; o che induce a quell'elocuzione così
elaboratamente pacata, in cui impeto polemico e
compiacimento letterario, serietà delle cose da dire e gusto
di dirle nel modo più elegante possibile, sdegno e sorriso,
si compongono in un impasto squisitamente personale. |