La
poesia del Petrarca (2)
«Primo
poeta moderno», dunque, in questo senso che in lui pel
primo si vede l'aspirazione a un'inconseguibile
beatitudine nell'amore di una creatura, magicamente
concepita come datrice di perfetta beatitudine; la
felicità ricercata nel sentimento e nella passione,
ossia nel particolare non redento nell'universale ma
posto esso come l'universale; con la disperazione e la
malinconia che a ciò segue o s'accompagna, col senso
continuo della caducità e della morte de el
disfacimento. Quanti altri gli tennero dietro in questa
via, e con quante variazioni di quel medesimo motivo
fondamentale! Primo infermo di un'infermità che corre
attraverso tutto il mondo e la poesia moderna, e che poi
si propagò epidemicamente e si fece sogno sterminato,
spasimo e suicidio nel romanticismo, che si accrebbe- di
tristizia nel postromanticismo o decadentismo, e forse
ancor oggi sarebbe da riconoscere, sotto forme che la
celano, in più ravvolti e più astrusi erotismi, non
escluso l'ardore cupo e insaziabile per la Vita, anche
essa del resto magicamente concepita, deità demoniaca. E
in questo stato d'animo, che egli rappresentò e iniziò,
il Petrarca, più forse ancora che nella sua opera di
erudito e di umanista e nelle sue ideologie morali e
politiche, è un personaggio storico; perché personaggi
storici non sono soltanto gli uomini che creano ma anche
quelli che disgregano, non solo gli assertori di nuove
idee e i fondatori di nuovi istituti e costumi, ma anche
le anime inquiete e diffondenti inquietudine. Come
assertore in senso positivo, il Petrarca potrebbe, per
certi riguardi, sembrare inferiore perfino al suo amico
Boccaccio, vindice della natura e del senso contro
l'ipocrisia che li negava a parole, vindice dei diritti
della carne, la quale in effetto, ne ha, in quanto vita
che si dice fisiologica, in quanto sanità e gioia
corporale, base delle superiori attività. Il Petrarca
ritrae, invece, il fantastico desiderare, l'irresoluto
volere, la malinconia, l'acedia, che non ha diritti,
appunto perché non è un positivo ma un negativo e, come
si è detto, una malattia. Senonché malattie, come questa
che in lui appare, sono processi coi quali, nello sforzo
e nel dolore, l'umanità si affina e si fa maggiore. E al
nuovo travaglio si venne contrapponendo l'azione dei
restauratori della sanità, degli instauratori di una più
alta sanità, che furono e filosofi e poeti, i quali di
quel male avevano avuto esperienza diretta o indiretta,
in sé medesimi o negli altri uomini, e si chiamarono,
per esempio, Hegel e Goethe.
Se tale è il contenuto psicologico e la posizione
storica della poesia del Petrarca, il suo accento
proprio o il tono del suo canto non si potrebbe forse
adombrar meglio che con quella parola del Carducci,
quando, in una sua ode, richiamando le forme più gentili
dell'arte italiana, dice, della canzone del Petrarca,
che, tra i lauri, « sospira ». Sospira: non grida, non
si dibatte violenta, non prorompe irruente; si snoda con
leni modi, con piani trapassi, fluisce senza rumore e
rimbombo, è intimamente musicale...
Tuttavia, come è noto, a questa spontanea disposizione
di sentimento e di stile poetico si univa, nel Petrarca,
una vaghezza e un proposito che non si appagavano del
ritrarsi in sé e comportarsi in modo diverso dal vulgo
nemico e odioso, dal vulgo chiassoso, ma volevano
l'atteggiamento di chi ben si distingue e perciò studia,
coltiva e osserva l'eleganza del dire. E tale eleganza,
se impone una sorta di ammirazione e suggezione, ed ha
una particolare efficacia oratoria, in certi circoli e
rapporti sociali, non giova parimente al poeta,
distraendolo alquanto dalla sua gelosa intimità e
dandogli una compiacenza alquanto diversa da quella
gioia per la semplice forma delle cose, che è pure la
gioia dell'artista. Assai sottile è la distinzione tra
arte ed eleganza, tra modi temperati e armonici che
superino l'immediatezza selvaggia e scomposta della
passione, e modi ricercati, che tendano a un
distinguersi, per così dire, sociale, tra il compiacersi
nel fantasma poetico e il compiacersi di sé ascoltandosi
nel proprio dire, tra il punto giusto di maturità e il
troppo maturo; e nondimeno la si avverte sempre, anche
dove più è sfuggente, dove i due diversi atteggiamenti,
simili in apparenza-, si commischiano o alternano; e la
si accusa, se non altro, col notare un « non so che » di
manchevole o di troppo (che val lo stesso). Il Petrarca
era elegantissimo nel suo verseggiare, proprio come uomo
che dell'elegante contegno della persona si sia fatta
una regola da cui non si discosta neppure in casi in cui
dovrebbe dimenticarla o perderla in altra regola e legge
più largamente umana. Era in lui quasi il vezzo o il
vizio della sua virtù, del suo senso eletto della forma
poetica. Il De Sanctis, quando dice che nel Petrarca «
l'emozione è rintuzzata, oltrepassata, e non è una forza
impetuosa che ti scuote l'anima, ma una bella faccia che
ti diletta l'immaginazione », coglie al suo solito, con
vivace intuito, il maggior problema dell'arte del
Petrarca...
Eleganza o eccessivo raffinamento stilistico, e
introduzione degli espedienti concettosi e retorici,
sono inegualmente distribuiti nelle varie parti
dell'opera del Petrarca; ed è giudizio comune (ben
fondato come sono tali giudizi, risultanti da molteplici
osservazioni che elidono quelle fallaci, e perciò
indarno contraddetto da qualche critico) che nella serie
delle rime in vita di Laura abbondino assai più che
nella serie delle rime in morte, e in queste il Petrarca
sia maggior poeta. Nelle prime, egli era legato
principalmente a questi due motivi, il lamento per la
crudeltà della donna amata e l'esaltazione della
bellezza e gentilezza di lei, e verseggiò talora per
ragioni pratiche, per complimentosità, per incidenti
esteriori, per abito, quasi trattando un tema, in
momenti di freddezza poetica; laddove, nelle altre, fu
percorso, come ben vide il De Sanctis, da una rinnovata
e gagliarda commozione, che ravvivò tutte le antiche e
gli rese meno attraente la troppo raffinata eleganza e
meno necessario il soccorso delle acutezze e dei
dilatamenti oratori, potenziando il suo genio e
lasciando tuttavia operare il suo scrupolo di artista.
Anche nelle cosiddette « rime varie », morali e
politiche, che gli furono ispirate da gravi pensieri e
accorata sollecitudine, lo stile è più schietto, la
composizione più unitaria, se pure, per la natura di
quelle rime, egli appaia in esse in prima linea, e
splendidamente, come vir bonus dicendi peritus, e
secondariamente nella sua intimità di poeta, che altresì
vi si fa sentire. I Trionfi, l'ultima sua fatica,
nonostante lo stento dell'invenzione allegorizzante e
della schematica esecuzione, hanno alcuni tratti assai
semplici e commossi, come il ricordo della morte di
Laura e il colloquio con lei dopo la morte quando ella
gli scopre il suo vero sentire, e taluni dei suoi versi
più belli («Vivace amor, che negli affanni cresce»;
«Tacendo, amando, quasi a morte corsi» ; «Che altro che
un sospir breve è, la morte?...). In generale,
l'eleganza e l'artificio non solo non valgono a
soffocare nelle sue composizioni la poesia, male danno
risalto e la fanno per contrasto apparire nella sua
forza originale, nel suo vigore gentile. |