Il
mondo sentimentale del Canzoniere
Nel
Petrarca delle rime non è rimasto nulla dell'angustia
dell'uomo: l'arte, la coscienza di un grande sentimento
ha allontanato la vanità e le quisquilie. Il Canzoniere
è una situazione fantastica che il Petrarca si è formato
sopra un fondamento morale isolando nel suo temperamento
ciò che esso aveva di più profondo, quella tendenza
malinconica affettuosa e meditativa che ha messo il suo
capolavoro nel novero di quelli che esprimono
insuperabilmente uno degli stati d'animo caratteristici
dell'uomo.
Il Canzoniere ha iniziato nella storia della psicologia
poetica un'era nuova e ha insegnato per molti secoli, in
Italia e fuori, un'intonazione di sentimento fino allora
ignorata. Per questo riguardo il Petrarca può esser
detto il primo dei romantici, se per romanticismo
s'intende la tendenza dell'anima a scrutare se stessa,
ad ascoltar le voci dell'intimo, a tenere come un diario
poetico delle interne vicende, a fare dei sentimenti
personali, il proprio mondo. Il Canzoniere è la storia
d'un amore durato per quasi tutta una vita. Anche dopo
la morte di Laura il Petrarca continuò a nutrire della
sua immagine e del suo rimpianto la fantasia tutta
ripiegata sui ricordi del passato. Questa malinconica
costanza, questo ritorno incessante, per tanti decenni,
sopra una sola figura di donna, sopra un solo
sentimento, variato soltanto dai mutamenti naturali che
porta con sé il tempo, dà al Petrarca una fisonomia
unica. Molti, sulle sue orme, si finsero poi questa
costanza, ma senza quella ricchezza meditativa, senza
quell'accento profondo, senza quella capacità di
irradiare dai versi quell'aura remota e contemplativa.
Il Canzoniere, se si astrae da non molte rime
d'argomento vario -principalissime le politiche -, segue
con un ordine vagamente cronologico e psicologico le
vicende di quell'amore, in cui in fondo si assomma e
intorno a cui si concentra tutta la vita dello spirito
del Petrarca.
La morte di Laura, secondo la tradizione, divide le rime
in due parti: e nella seconda quella tendenza del poeta
a pascersi delle immagini creategli dall'amore e dalla
fantasia, ad appartarsi nella solitudine dei luoghi e
della coscienza, trova le occasioni più vere e più
grandi. Già in vita Laura era stata un'immagine
vagheggiata da lungi, una donna reale ma allontanata
dalla realtà e chiusa nel cerchio magico di una fantasia
di sognatore; morta, quell'aria di sogno che l'aveva
circondata fino allora, diventa anche più naturale: e ad
essa si accompagnano, ad approfondirla, il ricordo e il
rimpianto.
L'amore di Laura fu sempre per il Petrarca una dolcezza
e un mite dolore. Dolore per quella lontananza, che pure
era necessaria per mantenerlo vivo, e anche - di quando
in quando - per la coscienza di quanto di peccaminoso
era in quel sentimento. Il pensiero di consumare i suoi
giorni in «non degni affanni» gli turbava l'animo,
sinceramente ma non fortemente religioso: ma dava
insieme al suo amore una grazia nuova, ne aumentava la
mestizia, con questo senso di fragilità umana. Via via
che il tempo passava, questo rimorso cresceva; ma
l'amore rimaneva. Anche questo dissidio è tutto del
Petrarca. La coscienza della fugacità della vita
terrena, della vanità delle belle forme, si esprime nel
suo canzoniere con una desolazione non meno poetica dei
malinconici rapimenti dietro le immagini di Laura. L'uno
e l'altro sentimento risuonano ne' suoi versi con uguale
tristezza e con uguale profondità. E così, sospeso fra
la visione di Laura e quella dell'eternità, il Petrarca
giunse alla chiusa del Canzoniere, a quell'invocazione
alla Vergine che non risolve il dissidio malo riassume
ed esprime l'animo del poeta, convinto che le apparenze
terrene traviano e si dissolvono, ma incapace di dire: -
Le ho dimenticate .
Il tentativo lo fece nei Trionfi, opera della maturità e
della vecchiezza, che esprime concettualmente ma senza
vera poesia la condanna degli ideali terreni - l'amore e
la fama - e il trionfo dell'eternità.
Questo diario d'amore, di malinconia, di rimpianto e di
rimorso ha un'unità che manca ai canzonieri dei poeti
precedenti: appena gli assomiglia la Vita Nova, che però
è una storia assai più breve e risolve più facilmente il
problema dell'unità con i collegamenti della prosa. Il
Canzoniere ha un'introduzione - il sonetto iniziale che
riassume desolatamente le vicende di quest'amore caduco
-, e una chiusa - la canzone alla Vergine, in cui
quell'amore cerca la purificazione e l'oblio -. Si venne
formando in un periodo di oltre trent'anni, e
perfezionando fin quasi alla morte del poeta: singolare
potenza di una fantasia che seppe mantenersi costante e
fresca sopra una trama di poche note e su questa
intessere e a questa ridurre la storia di un'anima. Il
Petrarca, infatti, è tutto nella solitudine che fa da
scena al suo capolavoro, e in quel sottile indugiar del
pensiero sopra l'immagine di Laura sopra un gesto sopra
un suo ricordo, in quella crescente coscienza della
vanità e fugacità di un amore fondato sopra un bel
corpo, in quell'incalzante paura della morte che ogni
giorno si avvicina e annullerà le apparenze splendide
del mondo. Questa storia, scritta con minimi particolari
di fatto e con meditazioni un po' convenzionali nei
libri ascetici e nelle lettere, qui è assottigliata e
sollevata in un'aura remota, dove le immagini si
dipingono più lievi e non dimenticabili, e i sentimenti
- le gioie, i presentimenti, i rimpianti - acquistano un
suono che insieme accarezza e rattrista. Anche i
romitaggi in cui il Petrarca si rifugiò nella sua vita,
qui hanno un colore diverso: il colore attenuato, un po'
grigio, del sentimento da cui il poeta è dominato; sono
l'atmosfera e lo scenario della sua anima che si ascolta
e si sconforta.
La nota dominante del suo canzoniere è la tristezza: «
Pochi lieti, e molti penser tristi ». Ma è sempre
temperata dalla dolcezza che gli dà il rievocarla, il
farne oggetto di poesia; il Petrarca ha detto una volta
« Cantando il duol si disacerba »: e questa è la chiave
per intendere la soavità che si diffonde da tutto il
capolavoro. La musica della parola, amata come
espressione e sfogo della pena e mezzo per contemplarla
e non dimenticarla, attenua la desolazione e dà
un'intimità affettuosa e gradita anche alle selvagge
solitudini fra cui il poeta si aggira. Va per campi
deserti, e Amore lo insegue: ma voi sentite che
quell'inseguimento il Petrarca lo ama e lo cerca. Dice:
« Passer mai solitario in alcun tetto Non fu quant'io,
nè fera in alcun bosco »; « Le città son nemiche, amici
i boschi »: ma, anche se qualche volta pare, questi non
sono lamenti ma espressioni d'un bisogno: alti monti,
selve aspre sono il suo riposo, perché quanto maggiore è
la solitudine tanto più il pensiero vi si distende, e
tanto meglio la fantasia, non disturbata, si dipinge
l'immagine di Laura. Va attraverso la foresta inospite
delle Ardenne, e ha negli occhi Laura; e gli sembra di
veder con lei donne e donzelle, e sono abeti e faggi; e
sente i rami e le acque e gli uccelli, e gli sembra
d'udirla: «Raro un silenzio, un solitario orrore
D'ombrosa selva mai tanto mi piacque».
La verità è che il Petrarca ama il suo amore, qualunque
sia il frutto che ne coglie, e gli pare che nulla al
mondo valga quel sentimento che lo riempie tutto: «Viva
o mora, o languisca, un più gentile Stato del mio non è
sotto la luna». |