LIMITI ED
EQUIVOCI DELLA POETICA BAROCCA
L'autore
di queste pagine, uno dei più grandi poeti spagnoli del
novecento, con intenzioni fortemente limitative, mette in
luce quelli che gli sembrano gli aspetti più negativi e gli
equivoci più gravi del gusto e della poetica barocca. Indica
nella povertà di esperienza esteriore e interiore,
nell'assenza di un'autentica passione intellettuale i segni
di una grande povertà di intuizione; nella mancanza di un
sentimento del tempo, analizzata attraverso alcune costanti
del linguaggio e della metrica barocca, un gusto astratto
dell'ingegnosità; nell'esibizione dell'artificioso e del
difficile, una volgare identificazione della difficoltà con
la bellezza, del virtuosismo con il vigore creativo.
Una grande povertà d'intuizione. - In che senso? Nel senso
della esperienza esterna o contatti diretti col mondo
sensibile; nel senso dell'esperienza intima o contatti
coll'immediato psicologico, unici stati di coscienza; nel
senso teorico di un incontro con le idee, essenze, leggi e
valori, come oggetti di visione mentale; e in tutte le altre
accezioni della parola. «Le immagini del barocco esprimono,
mascherano o decorano concetti, ma non contengono
intuizioni». «Con esse - dice Mairena - si discorre o si
ragiona, seppure in modo superfluo e meccanico, ma per
nessun verso si canta. Giacché si può, in effetti, ragionare
per mezzo di concetti puramente logici, per mezzo di
concetti matematici - numeri e figure - o per mezzo
d'immagini, senza che l'atto di ragionare, discorrere entro
il definito, cessi di essere il medesimo: cioè una funzione
omogenica dell'intelletto che persegue eguaglianze - reali o
per convenzione -, eliminando le differenze. L'uso di
immagini più o meno corrusche non può mai mutare una
funzione essenzialmente logica in funzione estetica, di
sensibilità. Se la poesia barocca, coerente con se stessa,
giungesse alla sua soluzione perfetta, ci darebbe un'algebra
d'immagini, facilmente comprensibile in un trattato alla
portata degli studiosi, che avrebbe lo stesso valore
estetico dell'algebra propriamente detta, cioè, un valore
esteticamente nullo».
Culto dell'artificioso e disprezzo della naturalezza. -
«L'arte nelle epoche in cui è realmente creatrice - dice
Mairena non volge mai le spalle alla natura, e intendo per
natura tutto quel che ancora non è arte, includendovi lo
stesso cuore del poeta. Giacché, se l'artista deve creare,
ha bisogno di una materia da formare o trasformare, che non
deve essere - è chiaro! - la stessa arte. Giacché esiste,
invero, una forma di apatia estetica, che pretende
sostituire l'arte con la natura stessa, si deduce, molto
all'ingrosso, che l'artista può essere creatore prescindendo
da essa. Quest'ape, che succhia il miele e non i fiori, è
più remota da qualunque lavoro creatore che non un'umile e
nuda testimonianza della vita reale; che non il noto
specchio del reale, che pretende darci per arte la non
necessaria ripetizione di quanto arte non è».
Mancanza di temporalità. - Nell'analizzare il verso barocco,
Mairena mette in evidenza il predominio del sostantivo e del
suo aggettivo definitorio sulle forme temporali del verbo;
l'uso della rima con carattere più ornamentale che melodico
e il trascurarne totalmente il valore di commemorazione.
«La rima - dice Mairena - è l'incontro più o meno reiterato,
di un suono col ricordo di un altro suono. La sua monotonia
è più apparente che reale, perché sensazione e ricordo, che
sono gli elementi che si coniugano nella rima, sono
distinti, se non proprio eterogenei; con essi siamo dentro e
fuori di noi stessi. La rima è un buon artificio, quantunque
non il solo, per situare la parola nel tempo. Ma quando la
rima si complica con eccessivi incroci e si allontana fino
al punto che non riescono sensazione e ricordo a coniugarsi,
perché il ricordo s'è dileguato quando si ripete la
sensazione, allora la rima è un artificio superfluo. E
quelli che aboliscono la rima - questa tardiva invenzione
della metrica - giudicandola non necessaria, sogliono
dimenticare che l'essenziale in essa è la sua funzione
temporale, e che l'assenza di essa li costringe a cercare
qualcosa che la sostituisca; che la poesia maneggia molti
secoli cavalcando su assonanze e consonanze, non per
capriccio dell'incultura medievale, ma perché il sentimento
del tempo, che taluni impropriamente denominano sensazione
del tempo, non contiene altri elementi all'infuori di quelli
indicati nella rima: sensazione e ricordo. Nel verso
barocco, invece, la rima ha, propriamente, un carattere
ornamentale. Il suo ufficio originario di coniugare
sensazione e ricordo, per cosí creare l'emozione del tempo,
resta dimenticata. La ragione è che il verso barocco,
culterano o concettista, non contiene elementi temporali,
poiché concetti e immagini concettuali sono - è sempre
Mairena che parla - essenzialmente acroni».
Culto della difficoltà artificiale e ignoranza delle
difficoltà reali. - La difficoltà non ha per se stessa
valore estetico, né ha valore di altro genere - dice Mairena
-. Si fa bene ad applaudire l'atto col quale viene
affrontata e rimossa; ma non è lecito crearla
artificialmente per farsene una gloria. È classico,
veramente, vincerla, eliminarla; è barocco, metterla in
mostra. Per il pensiero barocco, essenzialmente plebeo, il
difficile è sempre prezioso: un sonetto varrà più di una
.canzonetta con assonanze, e l'atto di generare un bambino
meno dell'atto di rompere una pietra coi denti. |