La tradizione agiografica e la "Vita
Nuova"
La Vita Nuova non va tanto spiegata con la tradizione della
lirica amorosa di Francia e di Provenza, né con i trattati
medievali sull'amore e sull'amicizia, ma piuttosto con le
biografie dei santi così diffuse in tutta la cultura del
tempo. Questa proposta critica dà ragione degli aspetti
celebrativi dell'opera e dello stesso procedimento che Dante
attua di elevazione della donna a partecipe della divinità.
Nell'immagine di Beatrice, che domina i tre momenti decisivi
della sua opera (Vita Nuova, Convivio, Divina Commedia),
Dante ha voluto rappresentare esemplarmente la forza
spirituale che deve sollecitare ogni uomo nell'itinerario
della sua vita. Dall'amore carnale e dalla passione,
figurati, all'inizio della Vita Nuova, si giunge negli
ultimi capitoli alle espressioni dell'amore più elevato e
divino, della caritas: quelle che rinvigorite dalle
esperienze intellettuali del Convivio si sublimeranno nella
Divina Commedia.
Ma già nel libretto giovanile, nel suo stessa titolo, quell'itinerario
è chiaramente indicato. La « vita nuova » che Dante vuole
scrivere attingendo al « libro de la memoria » è la storia
del suo rinnovamento interiore. E' quella «vita nuova» che
proprio in questo senso era stata cantata dal Salmista,
proclamata appassionatamente da S. Paolo («in novitate vitae
ambulemus»), legata poeticamente da S. Agostino e dai
Vittorini al concetto stesso di uno «stile nuovo» («Canticum
novum... vita nova»).
L'ideale e allusiva biografia di Beatrice vuole soprattutto
rappresentare il «miracolo» operato sugli uomini, e in
particolare su un uomo, da questa donna appunto «venuta da
cielo in terra a miracol mostrare» (XXVI). Per delineare
questa vita mirabile e beatificante Dante, nel suo noviziato
di scrittore, aveva certo presenti modelli chiari e
suggestivi. Non erano - come troppo esclusivamente è stato
detto finora - i languidi o sensuali sospiri della lirica
d'oltralpe e nostra, non erano i trattati medievali de
amicitia. Erano gli unici testi del «genere biografico»
correnti allora: le vite e le «legende» dei santi e delle
sante, stilizzate nell'agiografia più divulgata. A chi
voleva esaltare nell'amata una « donna de la salute» «piena
di grazia» «reina de le virtudi» «distruggitrice di tutti li
vizi», a chi voleva con novità ardita cantare Madonna ormai
morta ed esaltarne la forza salutifera proprio in grazia
della morte, dovevano naturali e suggestivi ricorrere alla
mente i profili candidi e luminosi delle soavi ed eroiche
donne fattesi «specula Christi», proprio come erano stati
tracciati da quegli agiografi, devoti alluminatori di «vite
nuove»: ad esempio quelli di S. Chiara, la prima discepola
di S. Francesco, di S. Margherita, la sublime mistica
cortonese, della beata Umiliana de' Cerchi e di S. Giuliana
Falconieri, che si erano mosse nell'ambiente stesso di
Beatrice (anzi Giuliana era imparentata proprio coi
Portinari).
Tre note segnano l'avvio di quelle ieratiche «legende»: la
pia e compiaciuta considerazione etimologica del nome da cui
si traggono auspici di santità (Margherita è «margarita
margaritarum», Chiara è «chiarezza del Perfetto Luce...
chiara di nome e di virtú»), il senso non di nascita ma di
apparizione e di «epifania» sottolineato dalla ripresa di
una antifona della liturgia natalizia («Apparuit benignitas
et beatitudo...»), l'impressione di miracolo vivente su
questa terra («sembrava alla madre di aver partorito un'angiola
non una figlia» è scritto di Giuliana; «era ricercata per
contemplare in lei un miracolo» si dice di Margherita). Sono
proprio i tre motivi che caratterizzano la presentazione di
Beatrice nel II capitolo della Vita Nuova: «... chiamata da
molti Beatrice li quali non sapeano che si chiamare», «Apparuit
iam beatitudo vestra», «quest'angiola... non parca figliuola
d'uomo mortale ma di Deo» (e poi: «venuta da cielo in terra
a miracol mostrare»).
La vita si svolge poi per queste sante, come per Beatrice,
tutta regolata su moduli allusivi ternari e nonari. anzi,
appunto a nove anni è stabilita per loro la prima
rivelazione, quando, come Cristo fanciullo, crescono «in
grazia... de le genti»: crescono «vestite d'umiltà», «viole
piene d'odor d'umiltà» come Beatrice, «d'umiltà vestuta».
La fama di queste «reine delle virtudi» attrae l'ammirazione
non solo dei vicini ma anche dei lontani, proprio come.quella
di Beatrice («da ogni parte accorrevano per vedere lei»: «le
persone correvano per veder lei»). E tale è l'ardenza
spirituale e beatificante che «De li occhi suoi, come
ch'ella li mova / escono spirti d'amore infiammati»; proprio
come Chiara: «sembrava che dai suoi occhi emettesse
scintille infiammate dell'amore del suo cuore» (XXX). Tale è
la purezza di Beatrice che «li occhi no l'ardiscon di
guardare... E par che de la sua labbia si mova / un spirito
soave pien d'amore, / che va dicendo all'anima: sospira»;
come la luminosa castità della beata Taore il cui «volto e
bellezza facevano abbassare gli occhi di chiunque la
guardava... e usciva dal suo volto una virtú dolcissima
d'amore che traeva a sé tutto il cuore dell'uomo».
La santità mirabile di questi angeli in terra può sorridere
così anche ai malvagi, può fare entrare nei loro cuori una
stilla di tenerezza e un raggio di luce: fa intravedere,
come quella di Beatrice, ai «malnati... la speranza dei
beati»: «Ti feci - dice Cristo a Margherita - luce nelle
tenebre, speranza dei malnati... affinché la mia
misericordia si dimostri».
Questi e simili moduli, splendidi e consolanti, decorano
sino alla fine insieme la Vita Nuova e quelle «legende»
dorate. Il ritorno in cielo di Beatrice è preannunciato da
un lutto familiare (la morte del padre: e dal sogno
premonitore del suo fedele: XXIII); proprio come quello di
Chiara e quello di Giuliana dalla morte della madre e dalla
visione di una devota che «stando con molte lacrime» come
Dante, ha il presagio funesto. Ma più direttamente la morte
è prelusa, anzi invocata, per Beatrice e per quelle sante
dagli angeli e dal cielo. La sacra rappresentazione che si
svolge nella più famosa delle canzoni della Vita Nuova:
«Angelo clama in divino intelletto... Lo cielo che non have
altro difetto / che d'aver lei al suo Signor la chiede / e
ciascun santo ne grida merzede», è anticipata puntualmente
in quei testi devoti: «suplimare la povera pellegrina Chiara
nel superno regno già accelera la corte degli angeli;
desidera già lei...»; « tutta la corte celeste sollecita il
giorno del transito [ di Margherita] ... chiede che sia
affrettata la sua elevazione dalla terra».
Ma per Beatrice, come per quelle sante, la fine non è uno
sfacimento, ma un trionfo celeste: «e vedea, che parean
pioggia di manna, li angeli che tornavan suso in cielo. E
una nuvoletta avean davanti» (l'anima di Beatrice); «e un
frate... vide l'anima sua Chiara, come stella lucente,
circondata da una nuvoletta bianchissima, portata ritta in
cielo dagli angeli».
E dopo questa assunzione si allargano in quelle «legende»
tutta una serie di visioni celesti, fino a rapimenti
estatici: proprio come lo svolgimento della Vita Nuova dopo
la scomparsa di Beatrice è un mistico itinerario sino alla
visione ultraterrena delle righe estreme, che preannuncia
direttamente la Divina Commedia e la sua conclusione nella
contemplazione dell'«Amor che move il sole e l'altre
stelle».
Vari poeti, prima di Dante, avevano stabilito e cantato, più
o meno madrigalescamente la sequenza, anzi la discendenza da
Dio alla donna sua creatura, al poeta devoto della donna; ma
nessuno ancora aveva osato rovesciarla e delineare
l'ascensione dal poeta, alla donna, a Dio. Nessuno, se non i
devoti scrittori di «legende» e di laudi, aveva impostato la
sua opera di esaltazione e di lode soltanto dopo che la
morte era intervenuta; nessuno, se non quegli assorti
narratori di santità, aveva identificato nella morte
l'inizio di una «vita nuova». Fisso a questa aurea
tradizione Dante, quando volle scrivere per la prima volta
della donna che gli era apparsa come «miracolo», che aveva
suscitato in lui una «vita nuova», delineò chiaramente e
volutamente una «legenda di Santa Beatrice». |