DONNA
CH'AVETE INTELLETTO D'AMORE
Canzone della cui composizione egli
dichiara, nella sua Vita Nuova (XVIII-XIX),
la causa occasionale nonché
l'improvviso erompere del motivo
poetico dal quale essa è germinata.
È l'esaltazione, in Beatrice, di
quella bellezza spirituale nella
quale riluce l'effetto della prima
causa: Dio, che è la bontà, la
bellezza e l'Amore. Tre attributi
divini, che analogicamente
risplendono in Beatrice e ne dicono
il merito e la gloria: perfezione
somma, che non può non essere amata,
perché ogni anima vi tende in virtù
della sua stessa natura (v. Divina
Commedia). Dante si rivolge alle
donne che sanno cosa sia l'amore e
parlerà loro di Beatrice, non per
esaurirne le lodi, ma per dar sfogo
alla sua anima. Solo pensando a ciò
che ella è in se stessa ("il suo
valore") egli esperimenta nel cuore
una dolcezza tale che se potesse
comunicarla farebbe innamorare
tutti. Non tenterà un compito così
alto, per timore di doversene
ritrarre: ma, in modo semplice e
piano, come si conviene alle gentili
ascoltatrici, egli parlerà
dell'amore quale lo sente e lo
conosce in vivente relazione alla
sua donna. - Gli angeli si
meravigliano in Dio del mistero
operante di un'anima, la cui
bellezza risplende fino lassù; e i
beati, che ne sentono la mancanza in
cielo, chiedono a Dio, per grazia,
la presenza di lei tra loro. Dio
misericordioso prende la parte di
chi si trova in terra e, alludendo a
Beatrice, si compiace di lasciarla
quaggiù, dove Dante ("alcun") teme
di perderla e che dirà, a quanti
vivono disperati e senza il lume
della grazia ("nell'inferno"),
d'aver visto la creatura perfetta,
che è la speranza dei beati. E tale
perfezione Dante la dice subito,
dichiarando ciò di cui è causa la
bellezza di Beatrice. Quand'ella
passa per via, coloro che vivono nei
sensi ("cor villani") si riscuotono:
ogni loro torbido pensiero svanisce
e, se potessero soffermarsi a
guardarla, si perfezionerebbero o
morirebbero a se stessi; coloro che
godono della bellezza e ne
riconoscono, in Beatrice, il potere
dispotico, si sentono umili e buoni.
Chiunque le parla ama in lei la
bontà e vuole il bene e si salva.
L'amore che parla in Dante si chiede
come tanta purezza e tanti pregi
possano esistere in una creatura
mortale; e, contemplandola,
riconosce in lei un effetto mirabile
di Dio creatore. La sua figura
femminile è quanto di bene può fare
la natura; e su di lei, come
esempio, si misura la bellezza delle
cose. Negli occhi suoi risplende la
luce di un'anima, che gioisce in
virtù della propria perfezione, e
che si fa presente come amore a chi
la mira, infondendo nel cuore la
gioia. Sulle sue labbra, che
s'aprono al saluto, fiorisce un tale
amore. - Il poeta congeda quindi la
sua canzone, figlia della sua anima
innamorata, e ornata delle lodi di
Beatrice. Essa parlerà soltanto a
persone gentili, che potranno
condurla alla presenza di quell'amore,
che in Beatrice parla e per lei si
rivela. - Per il suo contenuto
questa composizione lirica si
rannoda all'esperienza amorosa del
Guinizelli, che la teorizza nella
canzone Al cor gentil repara sempre
amore. Essa segna in Dante l'inizio
delle "nuove rime": il suo "dolce
stilnovo" (Purg., XXIV, 48-62):
espressione di quel diritto amore,
che tendendo alla bellezza delle
cose come bellezza divina
partecipata, tende a ciò che diletta
l'intelligenza e dà gioia al cuore;
una gioia che internamente ferve e
trabocca per amore della cosa così
contemplata. Liricamente, e con
intima commozione, la canzone si
svolge su una linea di movimento
semplice e discorsivo, sapientemente
graduato nel tono e nell'accento; e
accompagnato dal sentimento
cristiano che la bellezza della
creatura è provvidenziale: un divino
appello a uscire di noi stessi, per
una vita spirituale che sia di
bontà, di bellezza e d'amore. |