TANTO
GENTILE E TANTO ONESTA PARE
Nell'analisi e nell'interpretazione
del sonetto Tanto gentile si è
impegnato Gianfranco Contini, uno
studioso la cui scrittura ha
caratteristiche (uso di metafore,
citazioni numerose da testi antichi
e moderni, frequenti allusioni
dotte) che ne rendono difficile la
comprensione a chi non sia fornito
di letture assai ampie, oltre che di
una preparazione filologica.
Torneremo più avanti (quando
tratteremo del nostro secolo) sul
gusto e sulla formazione di Contini
e presenteremo allora qualche sua
pagina critica. Del saggio sulla
Vita Nuova ci limitiamo qui a
riassumere il contenuto.
Contini muove da una premessa:
generalmente si crede che di questo
sonetto si possa avere una
comprensione immediata e facile.
«Passa per il tipo di componimento
linguisticamente limpido, che non
richiede spiegazioni, che potrebbe
"essere stato scritto ieri"; e si
può dire invece che non ci sia
parola, almeno delle essenziali, che
abbia mantenuto nella lingua moderna
il valore dell'originale».
Egli si pone quindi il problema di
storicizzare la lingua (di
ricostruirne gli aspetti che si sono
modificati nel corso storico),
notando alcuni fatti grammaticali
(collocazione e funzione di forme
verbali o di pronomi) che
appartennero all'italiano arcaico e
che sono oggi in disuso e, sopra
tutto, restituendo al lessico il
significato che esso aveva quando
Dante lo impiegò.
Osserva dunque che labbia significa
non tanto «volto» , quanto piuttosto
«fisionomia» (l'espressione del
volto); che ben tre vocaboli del
primo verso (gentile, onesta, pare)
hanno un valore del tutto diverso da
quello con cui oggi li adoperiamo.
«Gentile è `nobile', termine insomma
tecnico del linguaggio cortese;
onesta, naturalmente latinismo, è un
suo sinonimo, nel senso però del
decoro esterno...; più importante,
essenziale anzi, determinare che
pare non vale già 'sembra', e
neppure soltanto 'appare', ma
'appare evidentemente, è o si
manifesta nella sua evidenza'.
Questo valore di pare,
parola-chiave, ricompare nella
seconda quartina e nella seconda
terzina, cioè, in posizione
strategica, in ognuno dei periodi di
cui si compone il discorso del
sonetto. Sembra assente dalla prima
terzina, ma solo perché essa si
inizia con l'equivalente mostrasi,
il quale riprende l'ultima parola
della seconda quartina...».
Donna ha esclusivamente il suo
significato originario di 'signora
(del cuore)'; cosa non indica, come
oggi, ciò che è sotto il livello
della persona, ma, in senso largo,
un essere non determinato che
produce sensazioni e impressioni
(l'effetto in questo caso è il
miracol); spirito è un termine
tecnico, della filosofia, e
personifica un'attività vitale,
un'emozione. Dall'analisi
grammaticale e linguistica del testo
Contini ricava, in conclusione, la
seguente parafrasi:
«Tale è l'evidenza della nobiltà e
del decoro di colei ch'è mia
signora, nel suo salutare, che ogni
lingua trema tanto da ammutolirne, e
gli occhi non osano guardarla. Essa
procede, mentre sente le parole di
lode, esternamente atteggiata alla
sua interna benevolenza, e si fa
evidente la sua natura di essere
venuto di cielo in terra per
rappresentare in concreto la potenza
divina. Questa rappresentazione è,
per chi la contempla, così carica di
bellezza che per il canale degli
occhi entra in cuore una dolcezza
conoscibile solo per diretta
esperienza. E dalla sua fisionomia
muove, oggettivata e fatta visibile,
una soave ispirazione amorosa che
non fa se non suggerire all'anima di
sospirare».
Naturalmente con la parafrasi (la
versione in prosa) noi cogliamo
soltanto il significato logico del
sonetto e non altri aspetti che sono
propri del linguaggio poetico (per
esempio, il valore del suono e del
ritmo). Tuttavia il testo dantesco è
«razionalmente preciso», nel senso
che Dante intendeva proporre al
lettore non vaghe suggestioni, ma
concetti: perciò la riscoperta del
significato esatto dei termini è
un'operazione necessaria a chi
voglia tentare poi di interpretare
il sonetto: cosa che Contini stesso
ha fatto, ricavando dall'analisi
lessicale una chiave di lettura. Il
pare (ripreso dall'equivalente
mostrasi) si può considerare
parola-chiave per la sua presenza,
ripetuta, in posizioni di grande
rilievo (in ogni periodo, alla fine
o all'inizio di un verso). Il suo
significato («si manifesta con
evidenza») indica il concetto
basilare del testo: Beatrice è la
manifestazione concreta, visibile,
di un miracol.
Conclude Contini: «Il problema
espressivo di Dante non è affatto
quello di rappresentare uno
spettacolo, bensì di enunciare,
quasi teoreticamente,
un'incarnazione di cose celesti e di
descrivere l'effetto necessario
sullo spettatore». |