Composto dopo l'agosto del 1802
e pubblicato per la prima volta
nell'edizione Destefanis delle
Poesie 1803), il sonetto va
certamente collegato al tema
notturno che tanta eco ebbe alla
fine del Settecento e nel
periodo romantico vero e
proprio; ma vanno ricordate
ancbe altre possibili
suggestioni letterarie: il
celebre sonetto del Della Casa
ad esempio e, sembra, l'apertura
del terzo libro del De rerum
natura di Lucrezio, di cui
proprio in quegli anni il
Foscolo sperimentava una
versione in prosa.
Ma ci sembra più utile
sottolineare che in questi versi
non è rappresentato un
annullamento dell'io nella
natura, un naufragare
nell'infinito come nel celebre
idillio leopardiano, quanto
piuttosto la conquista di un
superiore distacco dalla
tempesta del vivere: lo
spettacolo della sera, immagine
della fatale quiete della morte,
distanzia l'urgenza del vivere.
Nota metrica: sonetto, con
schema ABAB nelle quartine e CDC
nelle terzine.
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Forse perché della fatal
quiete
tu sei l'immago a me sì
cara vieni |
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Forse perché rassomigli e sei
quasi l'immagine della pace che
ci è destinata dal fato, cioè
della morte.
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o Sera! E quando ti
corteggian liete
le nubi estive e i
zeffiri sereni,
e quando dal nevoso aere
inquiete
tenebre e lunghe
all'universo meni
sempre scendi invocata,
e le secrete
vie del mio cor
soavemente tieni. |
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Sia (e... e) quando d'estate ti
accompagnano, quasi un festoso
corteo, nubi rasserenanti e
brezze (zeffiri sereni), sia
quando d'inverno dal cielo
carico di presagi di neve
conduci (meni) sulla terra,
tenebre che danno inquietudine e
durano a lungo, tu scendi a me
sempre gradita (e quindi
invocata) e percorri e occupi
(tieni), apportandovi una dolce
serenità (soavemente), le vie
più intime (secrete) del mio
cuore.
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Vagar mi fai co' miei
pensier su l'orme
che vanno al nulla
eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van
con lui le torme |
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Il calar della sera provoca nel
poeta una serie di riflessioni,
un vagare da un pensiero
all'altro che, quasi passo dopo
passo, approda alla coscienza
della morte e del definitivo
annullamento che essa comporta.
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delle cure onde meco
egli si strugge;
e mentre io guardo la
tua pace, dorme
quello spirto guerrier
ch'entro mi rugge. |
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E intanto fugge (nel duplice
significato di "si allontana dal
pensiero" e "passa, trascorre")
questa età, questo tempo tristo,
malvagio (reo); e assieme a lui
passano e quasi si allontanano
dalla coscienza gli affannosi
pensieri (le torme delle cure)
in mezzo ai quali esso assieme a
me si consuma. «L'espressione,
fortemente condensata, non è
perspicua, anche se suggestiva:
l'opera distruggitrice delle
cure si esercita sul poeta, ma
viene trasferita sul tempo,
perché è il tempo del poeta, che
si consuma per esse» (Puppo).
L'inquieto travaglio che scuote
per solito l'animo del poeta, si
placa (dorme) nella
contemplazione della sera.
Scrive Mario Fubini:
Tutto il sonetto è dominato dal
forse iniziale che il poeta non
sa né vorrebbe chiarire: nella
pace, che il suo sguardo
contempla, il suo cuore sente
appagato un antico voto (la
fatai quiete) e la sua ragione
scopre il fine a cui tende ogni
forma di vita (al nulla eterno):
egli constata questo accordo tra
sensibilità e ragione, tra la
vita propria e la vita
dell'universo, ma non ne ricerca
le cause e neppure si chiede se
esso sia l'effetto di una
illusione o risponda ad una
realtà. Il miracolo per quanto
spesso rinnovato resta per lui
sempre miracolo, sì da apparire
ad un tempo familiare e
misterioso: e familiare e
misterioso è il tono di tutto il
sonetto (forse... a me sì cara
vieni), così come familiari e
misteriosi restano i moti più
profondi dell'animo nostro, così
come familiari e misteriosi ci
appaiono alcuni fenomeni della
natura, nella loro costante
successione, sempre attesi, e
pur sempre accolti da un
rinnovato moto d'affetto.
Così il senso di mistero,
proprio della sera, viene ad
acquistare in questo sonetto,
che ne è dominato, un valore più
profondo: al progressivo
scomparire dei singoli
spettacoli della vita terrena
avvolti dalla luce serale, che a
poco a poco si spegne, si
accompagna il progressivo
separarsi del poeta dalle cure
del giorno. Via via che si
diffondono le tenebre sulla
terra la sua coscienza si va
facendo più chiara e più pura:
né sapremmo dire se quella
chiarezza pacata gli venga da
quello spettacolo, in cui le
singole cose scompaiono
nell'infinita atmosfera, o se da
un'intima forza. Qualche cosa
della natura più che umana della
sera si trasfonde nell'animo suo
e gli permette di contemplare
gli uomini e sé medesimo con uno
sguardo che non è umano,
|
... e intanto fugge
Questo reo tempo, e van
con lui le torme
Delle cure onde meco
egli si strugge: |
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qualcosa della sua umanità si
comunica alla misteriosa forza
che domina il creato, sì che
egli può vagheggiarla come una
persona cara e immaginarla
corteggiata come una creatura
umana:
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E quando ti corteggian
liete
Le nubi estive e i
zeffiri sereni. |
|
Fin dalle quartine, in cui il
poeta contemplando uno
spettacolo di cieli infiniti si
stacca dalle cose terrene (quale
immensa prospettiva ci apre il
verso Le nubi estive e i zeffiri
sereni!) sentiamo che la poesia
non si esaurisce in una
contemplazione puramente
estetica della sera, ma vuole
darci il senso di una di quelle
contemplazioni, con cui
l'intelletto umano abbraccia
l'infinito universo. In quei
momenti diceva Jacopo «la mente
nostra contrae un non so che di
celeste»; e noi non ci sentiamo
turbati, quando da quegli
stupendi spettacoli siamo
portati a contemplare non più
qualcosa di sensibile, ma un
concetto, che solo alla mente si
rivela:
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Vagar mi fai co' miei
pensieri su l'orme
Che vanno al nulla
eterno... |
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La meditazione del poeta non è
guidata da una volontà
speculativa, si sviluppa da
quella semplice contemplazione
di uno spettacolo naturale, pare
si lasci guidare dalle cose
stesse: e, ciononostante, serba
la virtù purificatrice di ogni
meditazione, per cui il nulla
eterno, scoperto fine di ogni
vita, non turba il poeta, ma gli
dà quella calma che ogni
concetto suol dare. Come lontano
ormai da lui è il suo tempo, a
cui pure è così legata la sua
vita, come lontani i fremiti del
suo spirito guerriero! Ormai una
identica pace è nell'eterno,
imperturbabile universo e nella
sua mente, che ne ha inteso il
segreto.
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E mentre io guardo la
tua pace, dorme
Quello sputo guerrier
ch'entro mi rugge. |
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Dall'abituale solitudine, che il
primo verso e il «sempre giungi
invocata» fanno presentire, alla
sorpresa della scoperta pace,
all'affettuoso saluto, alla
amorosa contemplazione, fino
alla meditazione e al giudizio
sul proprio tempo e su sé
stesso, il poeta ci si presenta
così in una graduale
purificazione di affetti e di
pensieri: e alla fine del
sonetto ci sta dinanzi un nuovo
Foscolo che dal cruccio e
dall'ira d'ogni giorno ha saputo
sollevarsi alla contemplazione
dell'universo e al giudizio del
proprio tempo e di sé medesimo.
Lo spettacolo dell'infinito non
lo ha invitato a dissolvere in
esso la propria persona, non ha
sommerso la velleità di
pensiero. Pur nella commossa
contemplazione, la Sera è
rimasta creatura distinta da
lui, compresa dal suo sguardo e
dal suo intelletto: ancora negli
ultimi versi ben distinta
vediamo la figura del poeta di
fronte alla pace infinita della
sera.
Non si chieda al Foscolo il
dolce naufragare nel mare
dell'infinito: non si ripeta per
questo sonetto quanto per
L'Infinito leopardiano
mirabilmente ha scritto il De
Sanctis:
È una vera contemplazione, opera
dell'immaginazione con la sua
ripercussione nel sentimento,
com'è lo spirito religioso...
Appunto perché la contemplazione
è opera combinata
dell'immaginazione e del
sentimento, e non giunge fino al
concetto, e non dà alcuna
spiegazione, vi alita per entro
un certo spirito misterioso
proprio delle visioni religiose.
Il mistero aggiunge all'effetto.
Ti sta avanti non so che di
formidabile che ti spaura, un al
di là dall'idea e dalla forma.
Tu non puoi concepirlo e non
puoi immaginarlo. Vedi solo la
sua ombra. Così i primi
solitari. scopersero l'Iddio!
Il Foscolo non aspira al dolce
oblio di sé medesimo, ma alla
purificazione delle sue
passioni: non vagheggia il venir
meno della coscienza, bensì quei
momenti, in cui essa dalla
contemplazione dell'universo è
fatta più chiara e più pura. Non
alla soglia della religione ci
conduce con la sua poesia, ma
alla soglia della filosofia e
della storia: e il senso di
mistero che abbiamo notato in
questo sonetto, non è già quello
che l'uomo avverte nella
scoperta di un Dio ignoto, ma
quello che accompagna ogni
meditazione, che ci liberi dalla
nostra particolare e piccola
individualità.