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 Autore Luigi De Bellis   
     

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UGO FOSCOLO

DEI SEPOLCRI


vv. I-22: Viene proposto mediante due interrogazioni (vv. 1-3; vv. 3-15) il tema principale: se sia possibile (il che implicherebbe un'esistenza individuale ultraterrena) che l'uomo dopo la morte tragga conforto dalla tomba. La prima domanda contiene già, nella sua formulazione, le immagini e i concetti che ricorrono poi continuamente nel testo: la natura che distrugge e crea = albero che cresce presso il sepolcro; la società civile, che cerca di perpetuare con gli onori funebri l'esistenza dei defunti = «urne» e «pianto»; l'assolutezza della morte = «sonno ... duro». La seconda, più ampia, fa emergere - sia pur attraverso le negazioni («non fecondi», non danzeran », ecc.) l'insieme dei motivi che per Foscolo esprimono con la massima intensità l'esperienza del vivere (la percezione della natura come grande organismo produttore, le aspettative del futuro, l'amore, la creatività artistica) e introduce nel testo la persona stessa del poeta («per me», v. 4). La risposta viene dalla serie che segue (vv. 16-22) di asserzioni: nell'uomo che muore si spegne ogni possibilità di speranza (che è fiducia nel futuro, progettazione); anche il ricordo è destinato a perdersi; la materia si tramuta incessantemente per una sua forza interna; non c'è cosa nell'universo che si sottragga al passare del tempo e ai cambiamenti che esso produce.

vv. 23-50: Il tema è ripreso in una diversa prospettiva, in cui acquista rilievo il riconoscimento di quel bisogno psichico profondo che spinge ciascun vivo a immaginare se stesso da morto, ancora presente nel compianto degli amici. Il rapporto che perdura tra l'amico e l'estinto è un'illusione soggettiva, rafforzata dalle cure che si prestano alla tomba; ma l'illusione è anche «realtà», poiché nella coscienza dell'amico l'estinto sopravvive effettivamente. È questo il modo in cui gli umani possono attingere a una parziale trascendenza («celeste dote è negli umani», v. 31); essa è negata soltanto al malvagio, che può confidare - se crede in una vita ultraterrena - nel perdono di Dio, ma non in un ricordo affettuoso che resti di lui sulla terra.
Anche in questo secondo episodio il tema è svolto mediante interrogative retoriche (vv. 21-25; vv. 26-29) a cui seguono le asserzioni. Si configurano due immagini del «sepolcro», l'una in positivo e l'altra in negativo: la tomba che ha un valore morale perché dà conforto ai vivi (si trova nella terra natale dove il morto era conosciuto e amato; è contrassegnata dalla lapide che preserva l'identità personale; è adornata dall'albero che ha qui le connotazioni di una figura femminile) e la tomba inutile del malvagio (i simboli sono rovesciati: terreno incolto e abbandonato, nessuna lapide né figura di donna).

vv. 51-90: Con un forte stacco, segnato dall'avversativa iniziale («Pur», v. 51) si passa alle argomentazioni polemiche, che investono, oltre alla «nuova legge» , la degradazione morale della società milanese. L'episodio si articola in due quadri contrapposti: il ritratto di Parini, esempio di una vita consacrata esclusivamente all'esercizio dell'arte poetica (vista come sacra per la nobiltà della funzione che le è propria, di incivilimento); la descrizione di un cimitero che gli uomini hanno dimenticato e in cui agisce perciò incontrastata la forza degli elementi naturali (le tombe sono rovine, i cadaveri affiorano insepolti, gli animali vi cercano istintivamente covile e cibo).

vv. 91-150: Altro stacco. Dal presente ci si rivolge al passato e si ripercorre la vicenda dei riti funebri che segnarono le fasi della storia umana (vv. 91-129); ma dal passato si torna a formulare, per contrasto, un severo giudizio sul presente: la tomba è inutile quando i vivi, per la loro mediocrità, non siano in grado di raccoglierne il messaggio (ed è quanto accade nel Regno italico). L'intero episodio si può ulteriormente segmentare così: rappresentazione delle età primitive e antiche, quando gli umani attraverso le istituzioni civili e la creazione dei culti e dei riti abbandonarono i comportamenti ferini, puramente istintuali (vv. 91-103); polemica contro le immaginazioni e i culti funebri del cattolicesimo (vv. 104-114); proposizione di modelli positivi non-cattolici: gli antichi sepolcreti pagani e i moderni cimiteri inglesi che visibilmente esprimono l'accettazione naturale e serena della morte (vv. 114-134); celebrazione dell'eroe antinapoleonico Nelson (vv. 134-136); contrapposizione tra la figura, isolata e perciò « eroica » del poeta che scrive parole di libertà, e la società servile che lo circonda (vv. 137-150).

vv. 151-212: Ampio episodio, di cui è enunciato nei primi versi (vv. 151-154) il tema: le tombe degli uomini grandi non hanno soltanto un valore affettivo, ma suscitano in chi abbia a sua volta un animo grande il desiderio di emulazione che spinge a tentare imprese eccellenti, nel campo del pensiero o dell'arte o - meglio ancora - dell'azione patriottica. L'articolazione interna è la seguente: rappresentazione idealizzata di Firenze, città privilegiata sia per la vitalità dell'ambiente fisico sia soprattutto per la sua gloriosa tradizione, concretamente manifesta in Santa Croce dove stanno i sepolcri monumentali degli Italiani illustri (vv. 154-188); ritratto esemplare (con valore di modello) di Alfieri, che trae ispirazione dal passato, spera nel futuro, ma disdegna il presente (vv. 188-197); rapido passaggio, per analogia, a un altro tempo, quello della Grecia antica: l'idea di patria che viene suggerita dalle tombe di Santa Croce è la stessa che spinse i Greci a combattere e morire a Maratona (vv. 197-212).

vv. 213-234: La scena si è spostata fuori d'Italia, nelle regioni dell'Ellade in cui ebbero origine i miti. Compaiono ancora due immagini di poeti: Ippolito Pindemonte, che ha viaggiato per quei luoghi cogliendone direttamente le suggestioni omeriche, e l'autore stesso (escluso dall'isola greca in cui nacque) che prevede il suo destino simile a quello di Aiace. Trattato ingiustamente nel suo tempo, anch'egli spera in una gloria che dovrà essergli riconosciuta dagli uomini futuri. La raffigurazione delle Muse, che custodiscono i sepolcri ma continuano a cantare anche quando questi siano distrutti dal tempo (vv. 230-234), esprime un passaggio concettuale: dall'esaltazione della memoria storica che si tramanda presso ogni popolo (e di cui i monumenti e i culti sono parte), ma che può interrompersi quando una civiltà sia distrutta, si passa a quella dell'arte, il più duraturo dei prodotti umani e perciò l'unico mezzo di sopravvivenza. Le Muse mantengono vivo (« animatrici » = datrici di vita) quel pensiero umano che in sé è mortale; compito del poeta è evocare (= chiamare fuori della tomba) i grandi trapassati.

vv. 235-295: Esemplificazione tratta dal mito troiano. Elettra, una donna mortale amata da Giove, ottiene dal dio di sopravvivere almeno per fama. Ciò è reso possibile dalla poesia di Omero, che tramanda il ricordo della guerra di Troia e quindi anche dei discendenti di Elettra. Nella poesia i valori umani durano perenni, «perenni» almeno quanto l'umanità («e finché il Sole / risplenderà su le sciagure umane», vv. 294-295).

Il carme secondo le intenzioni dell'autore. Il testo dei Sepolcri usci accompagnato da alcune note dell'autore. Qui tra l'altro Foscolo enunciava il principio essenziale della sua poetica, consistente nel tentativo di trasporre un discorso concettuale in parole e rievocazioni che toccassero i sentimenti del lettore: «Ho desunto questo modo di poesia da' Greci i quali dalle antiche tradizioni traevano sentenze morali e politiche, presentandole non al sillogismo de' lettori, ma alla fantasia del cuore».
Pochi mesi dopo, rispondendo in una lettera-articolo del 26 giugno 1807 all'abate francese Aimé Guillon, che aveva pubblicato sul «Giornale italiano» (n. 173, 22 giugno 1807) una recensione negativa, egli aggiunse altri chiarimenti, oggi per noi utilissimi, sulle intenzioni che l'avevano guidato nel comporre il carme. Dalla Lettera stralciamo qualcuno dei passi più importanti: tra questi in primo luogo l'«estratto» in cui Foscolo compendia i concetti che egli ha voluto esprimere.

«I monumenti inutili a' morti giovano a' vivi perché destano affetti virtuosi lasciati in eredità dalle persone dabbene: solo i malvagi, che si sentono immeritevoli di memoria, non la curano; a torto dunque la legge accomuna le sepolture de' tristi e dei buoni, degl'illustri e degl'infami.
Istituzione delle sepolture nata col patto sociale. Religione per gli estinti derivata dalle virtù domestiche. Mausolei eretti dall'amor della patria agli Eroi. Morbi e superstizioni de' sepolcri promiscui nelle chiese cattoliche. Usi funebri de' popoli celebri. Inutilità de' monumenti alle nazioni corrotte e vili.
Le reliquie degli Eroi destano a nobili imprese, e nobilitano le città che le raccolgono: esortazioni agl'italiani di venerare i sepolcri de' loro illustri concittadini; que' monumenti ispireranno l'emulazione agli studi e l'amor della patria, come le tombe di Maratona nutriano ne' Greci l'abborrimento a' Barbari.
Anche i luoghi ov'erano le tombe de' grandi, sebbene non vi rimanga vestigio, infiammano la mente de' generosi. Quantunque gli uomini di egregia virtù sieno perseguitati vivendo, e il tempo distrugga i lor monumenti, la memoria delle virtù e de' monumenti vive immortale negli scrittori, e si rianima negl'ingegni che coltivano le muse. Testimonio il sepolcro d'Ilo, scoperto dopo tante età da' viaggiatori che l'amor delle lettere trasse a peregrinar alla Troade; sepolcro privilegiato da' fati perché protesse il corpo d'Elettra da cui nacquero i Dardanidi autori dell'origine di Roma, e della prosapia de' Cesari signori del mondo. L'autore chiude con un episodio sopra questo sepolcro ».
Le idee non sono nuove, ammette Foscolo, ma è il modo di combinarle che le rende poetiche: «L'estratto mostrerà come questo componimento, spogliato che sia delle immagini dello stile e degli affetti, rimanga senza un'unica idea nuova. Ma il numero delle idee è determinato; la loro combinazione è infinita: e chi meglio combina meglio scrive. Ricchissima sorgente di combinazioni era a' poeti greci e latini l'applicazione delle storie e delle favole alla morale». A proposito dell'oscurità, che Guillon e altri gli avevano rimproverato, risponde che la tessitura del carme dipende dalle transizioni: «E le transizioni sono ardue sempre a chi scrive, e sovente a chi legge; specialmente in una poesia lirica, e d'un autore che, non so se per virtù o per vizio, transvolat in medio posita, ed afferrando le idee cardinali, lascia a' lettori la compiacenza e la noia di desumere le intermedie». (Dunque Foscolo volle evitare una concatenazione diffusa ed esplicita del discorso, preferendo dar rilievo solo ai motivi dominanti e affidandosi a connessioni e rispondenze analogiche).
Come si attuano concretamente, nel linguaggio poetico, le transizioni? Esse sono «formate da tenuissime modificazioni di lingua e da particelle che acquistano senso e vita diversa secondo gli accidenti, il tempo e il luogo in cui son collocate».
Infine Foscolo segnala - ed è un elemento di cui bisogna tener conto quando ci si accinge a interpretare i Sepolcri - la laicità e la politicítà che lo distinguono dagli altri poeti «sepolcrali», essendosi egli proposto di «predicare non la resurrezione de' corpi, ma delle virtù»: «Young' ed Hervey meditarono sui sepolcri da cristiani: i loro libri hanno per iscopo la rassegnazione alla morte il conforto d'un'altra vita. Gray scrisse da filosofo; la sua elegia ha per iscopo di persuadere l'oscurità della vita e la tranquillità della morte; quindi gli basta un cimitero campestre. L'autore considera i sepolcri politicamente; ed ha per iscopo di animare l'emulazione politica degli italiani con gli esempi delle nazioni che onorano la memoria e i sepolcri degli uomini grandi».

La composizione dei Sepolcri: le circostanze politiche, le influenze letterarie e filosofiche

Tra il marzo e il maggio 1806, tornando dalla Francia in Italia (con una sosta a Parigi dove fece visita ad Alessandro Manzoni e Giulia Beccaria), Foscolo prima di stabilirsi a Milano trascorse un breve periodo a Venezia per incontrarvi la madre e gli amici, tra cui il poeta Ippolito Pindemonte e la sua prima protettrice, Isabella Teotochi Albrizzi. Dalle discussioni che si svolgevano in questo ambiente sulle nuove leggi funerarie francesi (il decreto di Saint Cloud, del 1804, che proibiva le sepolture nei centri abitati e regolamentava l'uso delle epigrafi) e sulla loro imminente estensione all'Italia (che avvenne nel settembre 1806) egli fu sollecitato a comporre Dei sepolcri, un'epistola - o carme - in 295 endecasillabi sciolti indirizzata a Pindemonte (il quale a sua volta stava componendo in ottave un poema, poi interrotto, che avrebbe dovuto intitolarsi I cimiteri). Il carme, probabilmente terminato già nell'autunno 1806, uscì a Brescia presso l'editore Bettoni nell'aprile 1807.
La somma di esperienze, di motivi poetici, di scelte ideologiche che confluiscono in questo componimento foscoliano è densissima. Semplificando, cerchiamo per ora di distinguerne le componenti di fondo.

- Sul piano letterario, sia tematico sia stilistico, Foscolo si ricollega da un lato al filone settecentesco dei poeti di gusto "sepolcrale", soprattutto inglesi, tra cui ha particolare peso Thomas Gray, autore della Elegia scritta in un cimitero campestre, che era stata tradotta da Melchiorre Cesarotti; d'altro lato, all'indirizzo e alla sperimentazione, anche metrica, dei classicisti italiani: Parini, Alfieri, soprattutto Monti. Tuttavia egli tende (come vedremo più avanti dalle sue dichiarazioni) a risalire ambiziosamente alle origini stesse della tradizione poetica occidentale, riproducendo alcuni modi di Pindaro e della poesia omerica, di cui tentava negli stessi anni la traduzione.

- Sul piano concettuale, Foscolo esprime nei Sepolcri più compiutamente e conclusivamente una concezione materialistica che già era emersa nell'Ortis e negli ultimi sonetti (Alla sera, T82). L'esistenza degli uomini è vista come parte di un ordine naturale che si fonda sulla trasformazione della materia, senza finalismo: non c'è una trascendenza al di là della natura; la natura è mutamento continuo delle cose (ciascuna delle quali vive e muore nel tempo) e, insieme, appare statica poiché le cose si riproducono e si avvicendano ripetitivamente. Accanto a questa visione dell'universo fisico, su cui agisce l'influenza antica di Lucrezio, c'è invece una visione della storia suggerita da Vico: la storia, di cui gli uomini sono i soggetti attivi, procede secondo un'evoluzione che li porta dalla ferinità originaria all'elaborazione di comportamenti e valori culturali. Ma questa stessa umana storia è inserita nell'ordine naturale, sia perché intere civiltà possono scomparire distrutte dal passare del tempo, sia perché forse può avere fine il genere umano. Fra questi due elementi del suo pensiero - la fissità onnipotente della natura che crea e distrugge e il valore delle azioni umane che si concretano, sempre provvisoriamente, nel corso storico Foscolo avverte una opposizione. Ma il suo impegno concettuale nel carme non è certo rivolto alla fondazione di un nuovo e coerente sistema filosofico, quanto piuttosto alla ricerca di una « moralità », che abbia il suo presupposto nell'accettazione non passiva della morte: per Foscolo si tratta infatti di vedere su quali nuove basi sia possibile che gli individui e i popoli, pur essendo sottoposti alla legge del naturale decadimento e della scomparsa, diano un senso alla loro esistenza e siano motivati ad agire positivamente.

- Sul piano politico, Foscolo assume una posizione antinapoleonica e antifrancese: in quest'ottica celebra le figure prerivoluzionarie di Parini e di Alfieri (qui presentati come maestri di italianità) e attribuisce una funzione esemplare per i tempi moderni alla civiltà inglese (pur essendo consapevole - come si ricava da altri testi - delle sue tendenze imperialistiche). Inoltre il carme non esprime posizioni isolate e personali, ma si richiama a una tematica che era stata dibattuta in Francia tra il 1794 e il 1804 da una abbondante pubblicistica. L'esigenza di premiare mediante i monumenti funebri la grandezza conseguita in vita e di riconoscere anche in questa forma le differenze di merito era stata avanzata per lo più da ambienti di orientamento controrivoluzionario e conservatore, ma aveva accolto anche motivi civili ispirati al culto giacobino delle virtù pubbliche. L'esaltazione dei « sepolcri » si inserisce comunque in un contesto di atteggiamenti mentali ormai contrari all'egualitarismo e inclini piuttosto a rivalutare l'importanza dell'emulazione, degli esempi, della tradizione, dei riti.
 

 

© 2009 - Luigi De Bellis