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UGO FOSCOLO
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JACOPO ORTIS (Personaggio)
Protagonista del romanzo Ultime
lettere di Jacopo Ortis .
È, più che un personaggio
artistico autonomo un ritratto
romanzesco che l'autore si è
compiaciuto di dare di se
medesimo e a cui ha affidato
pensieri e sentimenti suoi
propri in periodi diversi della
sua vita e perciò non sempre
coerenti fra loro.
Nelle sue linee essenziali,
Jacopo è l'immagine del Foscolo
tra il 1797 e il 1802, anni di
amori tempestosi e di
peregrinazioni attraverso
l'Italia contesa dagli
stranieri; più di una volta
questa immagine risorgerà nella
vita del poeta, anche negli anni
più maturi, ed egli, nonostante
la proclamata saggezza, la
riconoscerà come la sua più
autentica.
In Jacopo ravvisiamo più di un
tratto comune agli eroi
dell'Alfieri: ché l'insegnamento
alfieriano ha una parte capitale
nell'esperienza del Foscolo.
Eroe alfieriano in ambiente
borghese, Jacopo vive sin
dall'inizio sbalzato fuori dai
confini della vita normale:
sopravvissuto a se stesso dopo
la catastrofe di Campoformio, si
chiude nella "solitudine antica
dei suoi colli", i Colli
Euganei, null'altro ormai
attendendo che la pace del
sepolcro. Ma, giovane ancora,
non può soffocare i fremiti di
ribellione che lo assalgono
contro gli stranieri traditori,
contro gli italiani vili, contro
la natura stessa, che sembra
avere imposto al mondo la sola
legge della forza; e nemmeno può
respingere l'estremo
allettamento della vita, a cui
pensava di aver rinunciato, e
che gli si presenta con la
figura della " divina fanciulla
", Teresa.
Ma l'amore, che per poco
l'inebria, non può che
affrettare la catastrofe: Teresa
non sarà mai sua, non solo
perché promessa ad altri, ma
perché egli, il profugo
perseguitato, non può pensare di
unire la propria vita a quella
dl lei.
Due volte l'amore lo caccerà
dalla sua solitudine, e " senza
patria disperato amante ", esule
senza fede e senza disegni, egli
andrà vagando per l'Italia
schiava, fino a che, sul punto
di proseguire con altri profughi
per la Francia, prenderà la
risoluzione improvvisa di
tornare alla terra di Teresa e
sua, e non lontano da Teresa e
dalle tombe dei suoi si
ucciderà, classicamente,
trafiggendosi con un pugnale.
Così il suicidio sta al
principio e al termine della
storia di Jacopo che, a rigore,
non ha uno sviluppo: ma la
figura dell'eroe alfieriano, che
procede con gli occhi fissi
verso la morte, acquista con lui
qualche lineamento nuovo, meno
rigido e più umano.
La morte vagheggiata appare a
Jacopo come colei che concilia e
che placa, che riconduce i figli
ai padri e raccoglie intorno ai
morenti e agli estinti l'animo
di quanti li hanno amati: si
fissa perciò non nel gesto
eroico dell'individuo solitario,
ma nell'immagine consolatrice
del sepolcro.
Per tutto il romanzo l'esule,
che di tutto e di tutti ha
disperato, porta la nostalgia
verso un consorzio umano che
ponga fine al suo isolamento: e,
se scopre che gli individui e le
nazioni sono mossi da cieco
egoismo e che le celebrate virtù
son puri nomi, la sua negazione
si arresta di fronte a quella
che per lui è la sola virtù, la
Compassione: " Tu, o
Compassione, sei la sola virtù;
tutte le altre sono virtù
usuraie ". Al di là del mondo,
da lui respinto, egli intravede
un universo armonico: e di
quell'universo egli sembra avere
più che un presentimento, nelle
immagini di bellezza, a cui il
suo cuore ancora si apre.
Accanto a questo Jacopo vive
pero un giovane melanconico e
sentimentale, che rispecchia gli
spiriti del Foscolo diciottenne,
autore di quella Laura, le cui
pagine sono rimaste nell'opera
più matura: e vive anche un
altro Jacopo, quello delle
pagine aggiunte nelle edizioni
del 1816 e 1817, un Jacopo che
ha ormai dissolto il fantasma
del suicidio e nella lettera del
17 marzo, sa dare agli Italiani
un alto e virile insegnamento.
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