Composto fra il settembre 1802 e
gli inizi d'aprile del 1803 e
pubblicato per la prima volta
nell'edizione Destefanis delle
Poesie (1803), questo sonetto
fonde i dati della cultura e del
gusto del tempo (cioè
(orientamento neoclassico) con
la "materia affettiva", con i
sentimenti più profondamente
vissuti dal poeta. Ne consegue
che la celebrazione dell'isola
natale Zacinto è realizzata
mediante il ricorso a dati
culturali-mitologici che non
restano ornamentazione ma sono
vissuti dal poeta come elementi
della propria esperienza umana,
paradigmi coi quali
confrontarsi: il mito di Ulisse
può essere letto dal Foscolo in
una dimensione autobiografica. È
questa la dimensione con la
quale il sonetto si conclude, e
(ossessione della morte in
esilio e illacrimata lo collega
al sonetto In morte del fratello
Giovanni.
Nota metrica: sonetto, con
schema ABAB nelle quartine e ME
CED nelle terzine.
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Né più mai toccherò le
sacre sponde
ove il mio corpo
fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te
specchi nell'onde
del greco mar da cui
vergine nacque |
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Né più
mai: è un incipit di
particolare efficacia; «pare che
il poeta, cominciando, continui
un discorso fatto tra sé e sé, e
dia sfogo a una commozione già
piena» (De Robertis).
Le sponde di Zacinto sono
oggettivamente sacre, perché -
come verrà chiarito in seguito -
in quei luoghi nacque Venere, e
perché sono state celebrate
dalla poesia di Omero; e
inoltre, sul piano soggettivo,
perché Zacinto è la patria del
poeta, la terra madre «che lo
raccolse infante e lo nutriva»
(Sepolcri, v. 34).
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Venere, e fea quelle
isole feconde
col suo primo sorriso,
onde non tacque
le tue limpide nubi e le
tue fronde
l'inclito versò di colui
che l'acque
cantò fatali, ed il
diverso esiglio
per cui bello di fama e
di sventura
baciò la sua petrosa
Itaca Ulisse. |
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Venere, dea della bellezza
nacque, secondo la mitologia,
dalla spuma del mare Jonio e con
la sua benevola disposizione (ma
col suo primo sorriso suggerisce
immagini di gioiosa luminosità e
grazia) rese fertili e
rigogliose quelle terre, sì che
(onde) la poesia di Omero
(l'inclito verso, soggetto) non
poté fare a meno di celebrare
(non tacque) la serenità del suo
clima e lo splendore della sua
vegetazione; la poesia di Omero
è poi definita come il poema
famoso (inclito verso),
l'Odissea, di colui che celebrò
le peregrinazioni per mare
(acque) di Ulisse volute dai
fati (fatali) e il suo errare in
luoghi diversi (diverso esiglio),
in seguito a cui (per cui) egli,
reso celebre dalle sventure
sopportate, approdò alla sua
patria, la petrosa Itaca, e ne
baciò il suolo.
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Tu non altro che il
canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a
noi prescrisse
il fato illacrimata
sepoltura. |
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A Zacinto toccherà una sorte
diversa da quella di Itaca, che
ha visto il ritorno del "figlio"
Ulisse, in quanto il fato ha
decretato (prescrisse) per il
poeta una sepoltura non
confortata dalle lacrime
(illacrimata) dei superstiti,
cioè in terra d'esilio, tra
straniere gemi (cfr. In morte
del fratello Giovanni, v. 13).
Il plurale a noi sottolinea
un'enfatizzazione della
personalità del poeta, qui in
posizione agonistica contro il
fato come nei Sepolcri (v. 145)
lo sarà contro lo squallore
morale del vulgo.
Questo sonetto è stato oggetto
di particolare interesse e di
indagini critiche condotte con
le più diverse metodologie. Ci
limitiamo per ora a mettere in
evidenza alcuni dati
"oggettivi", fermo restando che
sulla loro valutazione e
interpretazione si può poi
discutere.
1) Il sonetto ha una particolare
(insolita, si direbbe)
struttura. Inizia e si conclude
con dei versi che pongono in
primo piano la condizione, la
figura del poeta: i vv. 1-2 (con
il vocativo «Zacinto mia» del v.
3) che perentoriamente («Né più
mai») enunciano la sorte che
poeta sente incombere su di lui,
e i vv. 12-14 che la
ribadiscono. C'è quindi un
ricongiungimento tra l'inizio e
la fine, una sorta di
circolarità (sottolineata anche
dalla simmetria fra i due
vocativi: v. 3 «Zacinto mia», v.
13 «o materna mia terra»).
Tra questo inizio e questa fine,
tra questi due estremi, c'è
tutta la parte centrale del
sonetto (ben 9 versi su 14),
dedicata a una tematica
mitologico-classica che si
dipana con u procedimento per
così dire ad incastro, o a
scatole cinesi: Zacinto
suggerisce il ricordo c Venere,
Venere quello di Omero, Omero
quello di Ulisse, Ulisse quello
di Itaca.
2) Questa sequenza di
riferimenti e di richiami
potrebbe risultare decorativa,
suggerir soltanto da suggestioni
culturali e letterarie, se non
ricevesse invece ben più
complesso significato e ben più
intima motivazione dai vv. 9-11,
nei quali si stabiliscono i
rapporti Zacinto/Itaca e
Foscolo/Ulisse. Un rapporto che
è nel contempo di somiglianza e
di differerenza, di coincidenza
e di opposizione: Foscolo aspira
al ritorno a Zacinto come Ulisse
ad Itaca, ma contrariamente a
questi non realizzerà questa
aspirazione; il suo esilio è in
questo senso diverso da quello
di Ulisse (e l'aggettivo si
carica quindi dì un significato
che si aggiunge a quello del
latino diversus = "che vaga di
qua e di là": esempio, questo,
della densità e varietà di
significati, della polisemia del
linguaggio poetico). Questo
insieme di riferimenti
mitoligici si lega quindi al
vissuto del poeta: deriva da
questo la caratteristica
specificità, la cifra
particolare del neoclassicismo
foscoliano, che è nel contempo
suggestione letteraria ed
esperienza biografica, dato
culturale e dato sentimentale,
affettivo
3) Assieme al rapporto esplicito
Foscolo/Ulisse, se ne può
intuire anche uno implicito
Foscolo/Omero, per opposizione:
Omero è stato il cantore del
ritorno di Ulisse, dell'errar
che si conclude col bacio della
«petrosa Itaca»; Foscolo invece
è il cantore del non ritorno del
mancato ricongiungimento con la
«materna terra». Sostitutivo di
questo ricongiungimento mancato
è il «canto», la poesia.
4) Particolare attenzione merita
- considerandolo anche
separatamente da tutto il conti
sto = il v. 10, «bello di fama e
di sventura», riferito ad
Ulisse/Foscolo; in esso viene
data un'efficace e suggestiva
definizione dell'eroe romantico:
dalla lotta contro l'avverso
destino, dalla sofferenza, dalla
"sventura" derivano la sua
superiorità rispetto all'uomo
come ne e il suo fascino.