IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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GIACOMO LEOPARDI

ANALISI DEL LEOPARDI


La posizione del Leopardi è quella, se non proprio di un classicista in senso stretto, certo di un letterato che si dimostra più incline a considerare il valore intrinseco e assoluto dell'opera d'arte, misurato più sulla base di criteri tradizionali - quali la ricercatezza, la nobiltà, l'eleganza dello stile - che sulla sua efficacia comunicativa presso il nuovo pubblico emergente, cioè secondo la sua modernità, popolarità, novità, originalità ecc. (aspetti e termini, questi, cari alla pubblicistica e, in genere, alla riflessione romantica).
Le affermazioni del Leopardi circa l'inadeguatezza del criterio della novità per determinare il valore di un'opera d'arte, per quanto implicite, sono rivelatrici: «i libri nuovi faranno dimenticare e sparire il vecchio: appunto, se non altro, perché essi nuovi, e vecchio quello: del che abbiamo l'esperienza quotidiana per testimonio». II «vecchio» (dove si coglie forse, riportata, una punta del disprezzo che molti pubblicisti a questo «vecchio» tributavano), travolto dal «nuovo», è quello che, se adeguatamente coltivato, si nobilita diventando «antico» (si noti il diverso spessore e il diverso segno del termine «antico», poche righe più sopra contrapposto a «moderno»]).
La sua può apparire anche una posizione latamente "aristocratica", da questo punto di vista: non lo è necessariamente, ma certo la differenza con affermazioni "democratiche" (come quelle del Berchet sul pubblico dei ceti medi) è clamorosa. Nelle ultime righe, quando parla del pubblico, sostanzialmente il Leopardi individua il medesimo pubblico di massa cui intendevano programmaticamente rivolgersi il Berchet e i romantici, ma ne dà una descrizione tutta negativa: incapace di apprezzare la «diligenza» dello stile e quelle virtù rare che si raggiungono o fortificano mediante studio e applicazione, il pubblico odierno è «negligente», trascurato, privo di «gusto», incapace di «sentire», di apprezzare e ancor più di «giudicare le bellezze degli stili». Questo di lì a poco sarà anche il pubblico che decreterà il successo del feuilleton e che al Leopardi appare da subito in tutta la sua mediocrità e corrività.
Notevoli sono anche alcune implicazioni personali, autobiografiche di questo discorso. Egli, come dirà anche ne La ginestra, è convinto che in una situazione socio-culturale come quella ottocentesca, gli ingegni più fini sono destinati a non essere apprezzati dal pubblico contemporaneo; non essendo apprezzati dal pubblico sono destinati a scomparire nella massa, nella folla dei tanti mediocri e, così, anche a non passare alla storia («obblio / preme chi troppo all'età propria increbbe», La ginestra, vv. 68-69). È a ben vedere anche la fine delle «generose illusioni» umanistiche prima e foscoliane poi, che di fronte alla prospettiva del «nulla eterno», ipotizzavano per il grande artista o per l'uomo magnanimo, un'immortalità laica, la gloria imperitura. Anche in questo senso il Leopardi si mostra ben radicalmente pessimista.
Ma al proposito del nostro attuale discorso importa notare, al di là delle connotazioni positive o negative, come il Leopardi individui con nettezza e lungimiranza la situazione del moderno mercato editoriale e le sue principali caratteristiche. Caratteristiche che all'epoca del Leopardi, in Italia, erano assai meno visibili ed accentuate di quanto non fossero allora, ad esempio, per il pubblico inglese o francese, o di quanto non siano ora per noi. Quando parla della vita effimera dei libri del suo tempo, il Leopardi certo si pone un problema di valori assoluti: i grandi libri sono destinati a essere travolti nell'anonima moltitudine, che a lui pare totalmente, crudelmente caotica. Ma intuisce aspetti "tecnici" - diciamo così - del mercato editoriale, che andranno col tempo accentuandosi: il mercato e il suo pubblico tendono a consumare sempre più rapidamente i prodotti, per sostituirli con prodotti nuovi; all'aumento delle tirature molto spesso non corrisponde la durata del libro nel tempo.
Un tipico fenomeno di quegli anni che coniuga l'aumento delle tirature con la diminuita durata delle opere è quello - già evocato - dei feuilletons, fenomeno che proprio negli anni immediatamente successivi a queste note leopardiane, esploderà in Francia. Molti di questi romanzi si consumano giornalmente, quando escono a puntate sui quotidiani, poi vengono dimenticati.
II Leopardi muoveva da una posizione che può apparire tradizionalistica, attardata e magari aristocratica e classicistica (ma non può essere invece una considerazione semplicemente acuta e veritiera, se pochi anni dopo anche lo scapigliato Carlo Dossi in una delle Note azzurre, dopo un lungo elenco di romanzi settecenteschi, osservava che uno solo di essi si era «salvato dall'oblio»?). In ogni caso, coglieva precocemente e con grande nettezza un fenomeno che proprio in quegli anni stava modificando assai più radicalmente che in passato la realtà della produzione, circolazione e fruizione delle opere letterarie e la loro stessa natura.

 

© 2009 - Luigi De Bellis