IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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LA LETTERATURA MINORE

NIEVO: LE CONFESSIONI DI UN ITALIANO


Intreccio


Scritte fra il dicembre 1857 e l'agosto 1858, Le confessioni d'un italiano vengono pubblicate a cura di Erminia Fuà Fusinato solo nel 1867, dopo la morte di Ippolito Nievo, con variazioni arbitrarie e un titolo modificato, Le confessioni di un ottuagenario. Nelle intenzioni dell'editore Le Monnier i1 nuovo titolo doveva evitare che il testo venisse considerato l'ennesimo prodotto della prolifica pubblicistica garibaldina di quegli anni, ma non rende giustizia a uno degli intenti basilari dell'autore, quello di collaborare sul piano culturale con una grande proposta di pedagogia romanzesca alla costruzione del nuovo stato unitario.
Le confessioni d'un italiano seguono le vicende del protagonista-narratore Carlo Altoviti, vero fulcro strutturale del libro, per tutto l'arco della sua lunghissima vita: dal momento del suo arrivo da piccolo orfano «in un canestro» presso gli zii al castello friulano di Fratta, sino a quando «sereno e allegro dopo tante disgrazie, all'età non tanto allegra di ottantatré anni» prende definitivamente commiato dai suoi lettori. Tuttavia l'autobiografia fittizia delle Confessioni non si chiude sul racconto dei casi individuali del protagonista, e assume invece un caratteristico andamento corale. Nel libro le storie dei singoli sono strettamente interrelate, con una scelta compositiva che richiama i moduli di diverse grandi autobiografie settecentesche (da Casanova a Goldoni) e del romanzo ottocentesco classico. In essa si riflette inoltre una visione del mondo che ha ben presenti le influenze del contesto ambientale sul destino degli individui.
Ecco allora che nel romanzo eventi pubblici e privati, storia collettiva e sentimenti personali, si intrecciano e si alternano di continuo. I primi cinque capitoli dedicati all'infanzia e adolescenza di Carlino - prima grande scoperta dell'età infantile nella nostra letteratura - non raccontano solo delle sue avventure (la scoperta del mare, la sua partecipazione adulta nelle vicende del tragicomico assedio di Fratta) e del sofferto e complicato amore per la capricciosa e affascinante cugina Pisana, ma mettono in scena anche un ampio affresco sociale del Friuli feudale negli ultimi anni della Repubblica di San Marco.
La narrazione procede su un doppio binario: seguendo l'inquieta vita del protagonista, fitta di svolte e mutamenti (la storia delle sue tante professioni, del burrascoso rapporto con Pisana, di una vicenda familiare che porta il piccolo orfano dell'inizio del libro a diventare patriarca di una grande famiglia), il romanzo rappresenta le diverse stagioni storiche che si succedono fra l'arrivo di Napoleone e la sconfitta di Novara nel 1848, ovvero dal tempo del «galvanismo napoleonico» al tempo della «pressura austriaca» (come Nievo scriverà nel pamphlet, pubblicato anonimo a Milano, Venezia e la libertà d'Italia).
Prima studente a Padova, poi cancelliere di nuovo a Fratta, Carlino va compiendo la propria educazione politica e sentimentale fra equivoci, entusiasmi e pene d'amore, mentre Napoleone cala in Italia (capp. VI-X). Grazie all'appoggio di un influente padre mercante, ricomparso d'improvviso dall'Oriente, diventa segretario della Municipalità negli ultimi mesi di vita della Repubblica veneziana. Dopo la delusione di Campoformio, Pisana (che credeva ormai perduta dopo il suo matrimomio con il vecchio aristocratico Navagero) ritorna da lui, ma dopo un «mese smemorato» di passione, in cui dimentica i destini collettivi, è costretto alla fuga (capp. X-XIV). L'impegno patriottico lo porta in seguito attraverso l'Italia delle repubbliche napoleoniche e giacobine: dalla Cisalpina alla Partenopea. Divenuto intendente di Finanza a Bologna, si dimette quando Napoleone si fa incoronare imperatore (capp. XV-XVIII). Tornato a Venezia, sentendosi accusato ingiustamente di simpatie conservatrici, si ammala e guarisce grazie al ritorno presso di lui della Pisana, che lo riaccompagna nei luoghi dell'infanzia (solo, e provvisoriamente, l'ultimo di una lunga serie di ricongiungimenti in una vicenda d'amore sempre altalenante). Qui, cede all'insistenza altruistica della donna e sposa Aquilina, una fanciulla semplice e concreta (cap. XIX). Nel frattempo è caduto Napoleone. Carlo dopo alcuni anni di vita familiare ritirata, allo scoppio dei moti del '20 - '21, ormai padre di due figli, raggiunge il generale Guglielmo Pepe e, presso Rieti, viene ferito, imprigionato e condannato ai lavori forzati. Perde la vista e, riacquistata la libertà ancora grazie a Pisana, è costretto all'esilio a Londra, dove la donna lo accudisce e arriva a chiedere l'elemosina per lui. Ma mentre Carlo recupera la vista grazie alle cure del dottor Lucilio, il fisico della donna, fiaccato dalle fatiche, non regge (cap. XX). Carlo trascorre infine gli ultimi anni della sua vita a Venezia tra i ricordi del passato, la progressiva scomparsa degli amici e di alcuni figli nelle lotte d'indipendenza, partecipando ancora in prima persona all'esperienza della Repubblica veneziana di Manin (capp. XXI-XXIII).

La "matassa" del libro e della vita


Affollamento di personaggi, ramificazione delle storie (a quella di Carlo e Pisana si intrecciano quelle di Lucilio, medico e patriota che ama Clara, sorella di Pisana, costretta a farsi monaca perché la famiglia non le ha consentito di sposarlo; di Giulio Del Ponte, giovane poeta innamorato di Pisana; della sorella Aglaura, miracolosamente ritrovata; dei figli e di tante altre figure minori e minime), inquietudine geografica (una serie di distacchi e ritorni da Fratta e Venezia, prima quasi a tracciare la mappa di una possibile Italia unita, poi oltre i confini nazionali, con il forzato soggiorno londinese di Carlo, e infine al di là di quelli europei - quasi a compensare l'immobilità del protagonista invecchiato - con il diario dell'esilio americano del figlio Giulio): la struttura dell'intreccio delle Confessioni non mette in evidenza chiare geometrie, né partizioni indiscutibili. È lo stesso narratore a dircelo: «La vita d'un uomo raccontata così alla buona non porge motivo alcuno onde essere spartita a disegno». Ma a spiegare questa irregolarità strutturale non bastano le sue proteste di «modestia e quasi ignoranza letteraria», né tutti i passaggi dell'intreccio del romanzo possono essere ricondotti all'intento realistico ripetutamente dichiarato sin dal proemio («io scrivo per dire la verità, e non per dilettare la gente con fantasie prettamente poetiche»). Il realismo delle Confessioni infatti non consiste in uno sforzo di rappresentazione verosimile e oggettiva (non di rado infatti l'azione assume tratti di eccezionalità avventurosa), e cerca piuttosto di richiamare l'attenzione del lettore sulla dinamica fondamentale dell'esistenza. Le immagini della «matassa», del «viluppo», che s'incontrano di frequente nel testo («Aveva un bel piluccarmi le idee, un bel voltare e rivoltare questa matassa di destini, di nascite, di morti e di trasformazioni!»), ricordano che la vita - come il libro - non ha una forma elegantemente geometrica. Il gioco di accostamenti e confronti fra destini diversi (fra Carlo e i propri coetanei, fra la generazione che li ha preceduti e quella che li segue), che è uno dei principi-chiave dell'organizzazione narrativa delle Confessioni, mette si in luce l'intervento nelle vicende umane di una Provvidenza laica, ma rivela al contempo che si tratta di una Provvidenza dal cammino non facilmente interpretabile, che più di una volta sembra cedere il passo all'azione di un caso bizzarro e dispettoso. Nel romanzo ottimismo risorgimentale e pessimismo esistenziale appaiono così intimamente e problematicamente intrecciati.
La tecnica del riuso e della combinazione di generi diversi (romanzo storico, melodramma e romanzo nero, libro di viaggi, romanzo picaresco, Bildungsroman o romanzo di formazione) caratteristica dell'opera non è solo dettata da una volontà di gioco ironico con la memoria letteraria dei lettori, ma consente anche di trasmettere all'intreccio un procedere inquieto, tra lunghe stasi e svolte improvvise, che cerca di restituire fedelmente non i dettagli superficiali, ma la logica intima dell'esistenza.

La voce narrante


Un narratore molto anziano, un «novantenne vegliardo», si incontra anche nei Cento anni di Giuseppe Rovani, apparso nelle appendici alla «Gazzetta di Milano» a partire dall'11 aprile 1857: un esempio che può avere inciso sull'invenzione dell'ottuagenario, al quale peraltro Nievo conferisce uno spessore psicologico sconosciuto al narratore rovaniano.
L'immagine più evidente che le Confessioni presentano della loro voce narrante un'autorevolezza senile caratterizzata da serenità pacificata e superiorità affettuosa, ma distante rispetto al se stesso di un tempo - è un'immagine parziale. L'originalità della rappresentazione psicologica nelle Confessioni, che costituisce una delle loro maggiori ragioni d'interesse, risiede appunto nel gioco di prospettive che s'instaura tra protagonista e narratore, nel quale il giudizio distaccato si accompagna a piccole e grandi complicità. È soprattutto sul versante privato del racconto dell'ottuagenario che tale gioco si manifesta. La sua "confessione" è insieme scritto apologetico e memoriale ironico: nel tracciare il proprio autoritratto il narratore indossa alternativamente i panni del serio moralista ipersensibile e dell'osservatore malizioso e divertito. Questa alternanza di toni e atteggiamenti dà forma a una confessione non eroica - come quelle alfieriane e foscoliane -, ma onesta, di un'onestà comune, carica delle debolezze di ognuno, nella quale la severità si fonde all'umorismo, l'autoanalisi a volte si spinge in profondità, a volte lascia delle zone d'ombra. L'intento pedagogico, esemplare, che informa le Confessioni non mortifica affatto lo sforzo di penetrazione psicologica. Carlo Altoviti certo vuole essere un modello di uomo nuovo che possa costruire e far vivere lo stato unitario, ma proprio la scelta di farne un personaggio non eroico, ma medio, consente a Nievo di dare risalto alla ricchezza contraddittoria della sua interiorità.

Stile


La scelta linguistica operata dal Nievo delle Confessioni appare orientata in senso antimanzoniano: rifiuta l'opzione fiorentina a favore di una lingua più mobile e composita, che fonde - con esiti anche moderni, ma non sempre armonici ed equilibrati - componenti dialettali diverse (venete, lombarde, toscane) e ricorre spesso alla mescolanza dei registri, accostando liberamente l'aulico al colloquiale, in sintonia con l'alternanza di toni - idillico, drammatico, umoristico, patetico, grottesco che caratterizza la narrazione.

 

© 2009 - Luigi De Bellis