LA POESIA PATRIOTTICA
Nessuno
dei nostri poeti risorgimentali
raggiunse l’altezza dell’ode
manzoniana “Marzo 1821” o della
canzone leopardiana “All’Italia”
e, meno che mai, dei “Sepolcri”
del Foscolo, ma tutti sono da
ricordare per la sincerità dei
sentimenti espressi, per il
calore e l’entusiasmo con cui
inneggiarono ai valori della
libertà, indipendenza, unità
della patria, per il vivo senso
della dignità della propria
nazione.
Fra i numerosi autori ricordiamo
Luigi Mercantini (“La
spigolatrice di Sapri”, “Inno di
Garibaldi”, ecc.), Arnaldo
Fucinato (“La resa di Venezia”),
Goffredo Mameli (“Fratelli
d’Italia”).
Il maggiore fu senz’altro
Giovanni Berchet. Nato a Milano
nel 1783, da famiglia di origine
svizzera, studiò lingue moderne
e ciò gli consentì di avere
approcci diretti con le
letterature europee e di
maturare con maggiore
consapevolezza che non altri la
propria adesione al movimento
romantico, che difese, in
polemica con i neoclassicisti,
sia nella “Lettera semiseria di
Grisostomo” sia sul
“Conciliatore”. Partecipò
attivamente alla vita delle
sette segrete e per sfuggire
alla repressione austriaca del
1821 riparò in Francia e a
Londra e in questi Paesi compose
le sue più famose opere. Nel
1829 si trasferì a Bruxelles in
Belgio e solo nel 1846 poté far
ritorno in patria, stabilendosi
prima in Toscana e poi a Milano,
ove nel '48 fece parte del
Governo provvisorio. Al ritorno
degli Austriaci fu nuovamente
costretto a fuggire e si recò a
Torino, ove visse fino alla
morte avvenuta nel 1851.
Nel poemetto “I profughi di
Parga” il Berchet rievoca con
accorati accenti di viva
commozione la vicenda dei
cittadini della città albanese
che abbandonarono la loro terra
dopo che gli Inglesi, nel 1819,
l’avevano ceduta ai Turchi.
Le “Romanze” sono ispirate alla
triste condizione dell’Italia
asservita allo straniero e
cantano la nostalgia degli
esuli: “Clarina” è una fanciulla
che piange per la sorte del
fidanzato costretto ad
abbandonare la patria per il
tradimento di Carlo Alberto;
“Matilde” tenta disperatamente
di allontanare dalla mente
l'immagine di un bell’ufficiale
che la tormenta nei sogni perché
quell’amore sarebbe sacrilego,
in quanto il giovane fa parte
della schiera degli oppressori;
“Giulia” è una madre costretta a
piangere per la sorte di
entrambi i suoi figli, che sono
uno in esilio e l’altro
arruolato per forza
nell’esercito austriaco e quindi
nella possibile condizione di
potersi scontrare su due fronti
opposti; nel “Rimorso” una donna
italiana si pente amaramente di
avere sposato un tedesco. Ma le
due romanze più famose sono
certamente il “Romito del
Cenisio” e il “Trovatore”. Nella
prima il poeta immagina che il
padre di Silvio Pellico, esule
solitario, sveli la triste
condizione degl’Italiani ad uno
straniero che vuole visitare il
nostro paese; nella seconda un
giovane poeta medievale è
cacciato in bando dal suo
signore perché reo di essere
innamorato della bella
castellana:
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Va per la selva bruna
solingo il trovator
domato dal rigor
della fortuna.
La faccia sua sì bella
la disfiorò il dolor;
la voce del cantor
non è più quella. |
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Le “Fantasie” sono un poemetto
in cinque romanze in cui un
esule italiano rievoca in sogno
gli avvenimenti gloriosi del
nostro medioevo relative alle
lotte dei Comuni per la libertà
e l’indipendenza dall’imperatore
Federico Barbarossa (“Il
giuramento di Pontida”, “La
battaglia di Legnano”, “La pace
di Costanza”) e lamenta la
triste presente condizione
degl’Italiani asserviti agli
Austriaci.