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Poema
di Gabriele D'Annunzio (1863-1938), di cui non fu scritta
altro che la terza parte, "La notte di Caprera",
pubblicata in volume nel 1901 come terza parte del poema
che si annunziava, e poi nel libro di Elettra col titolo
"La notte di Caprera". Scritta in un metro e in un ritmo
che ambiscono rifare quelli delle canzoni di gesta, si
risolve, come sempre codeste ricerche di speciosa
rozzezza, in effetti di nuova preziosità, tuttavia a loro
modo efficaci. Vi si tratteggia Garibaldi che, ritiratosi
a Caprera dopo la campagna di Napoli, ripensa le passate
battaglie, specie quelle per la difesa di Roma nel 1849;
finché, scosso da un lamento di agnello sperduto nella
notte, ne va in traccia e lo riconduce all'ovile, pago di
ciò. Questa rappresentazione evangelica suona falsa,
perché non è tale che proprio costi la celebrazione del
Dittatore non scivoli in medi e toni di Superuomo,
particolarmente inadeguati alla figura del celebrato. Ma,
inadeguato sarebbe anche giudicare soltanto da questo
punto di vista la poesia del D'Annunzio - che una volta di
più va ricercata nella descrizione dei giardini voluttuosi
in cui scoppia la strage, nella voluttà di morte che empie
i giovinetti garibaldini sotto lo sguardo dell'eroe, in
frequenti tocchi di idillio. |