Letteratura italiana: Opere di D'Annunzio

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Parliamo di

  Le opere di Gabriele D'Annunzio
Autore critica
Eurialo
De Michelis

 


Cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D'Annunzio tentato di morire
 

Pubblicato nel 1935, finge di raccogliere, a cura di un immaginario Angelo Cocles, le pagine di appunti regalato a costui da Gabriele D'Annunzio sul punto di uccidersi; e il modo e l'ora del suicidio finge di essere la caduta dalla finestra, nell'agosto del 1922, di cui si parla in Per l'Italia degli italiani. In realtà, l'immaginazione fra scherzosa e funebre compiace lo spirito del poeta negli ultimi anni di vita, non rassegnato alla turpe vecchiaia, sentendosi mancare la ricchezza sensuale che fu la qualità più spiccata della sua anima, in lugubre attesa della morte. Il libro consta di dieci lunghi capitoli; il primo figura scritto sul punto dell'imminente suicidio, ed è la ricapitolazione dei presagi e tentativi di morte sperimentati dalla puerizia in poi. Così Il secondo amante di Lucrezia Buti fu la puerizia ricapitolata dall'angolo visuale del senso, e Il compagno dagli occhi senza cigli dall'angolo visuale della gloria; con un procedere, qui e allora, stretto a un disegno e fuor di disegno, ma riuscendo qui più di allora mal unito e male legato. Perciò cresce in confronto di allora la volontà di interpretare dovunque simboli e segni: né si sa bene se il poeta parla della morte come disgusto di sé o come glorificazione di sé, due cose che psicologicamente e tonalmente sono contrarie. Al di là di questa ambigua unità, valgono piuttosto nel primo capitolo i frammentari ricordi, quel mettere la vita come posta di ogni più lieve giuoco, quei ragionamenti (dice di una donna che lo incantò bambino) che penetrando addentro "imprimevano alle persuasioni le forme dei sogni". Anche qui insomma domina il tono languido e il modulo impressionistico che torna pure nel capitolo seguente (a cui propriamente si riferisce il lungo titolo del libro), rifacendo un'altra volta il cammino dalle Faville del maglio al Notturno. È però un cammino rifatto "a posteriori", senza l'intima urgenza di allora, anzi proprio per la consapevolezza riflessa degli effetti d'arte raggiungibili con lo slegato comporre. Altro semmai è il sapore nuovo del libro, precisamente quel motivo della vecchiaia e della lugubre morte, da cui nasce; dominante in ispecie nel tema del senso in cui più che mai si risolvono le vagheggiate donne; il senso, che altre volte il D'Annunzio si preoccupò di eludere, poi ne scoperse la spiritualità, poi se ne confessò e ne soffrì, e ora più arido e squallido glielo riporta nell'animo quanto gli resta e quanto gli manca dell'antica abbondanza sensuale: un aspetto dell'acre disgusto e della turpe vecchiaia, non più amore, ma vizio. Si capisce così che il libro arrivi ad accogliere scritti apertamente osceni; non lascivi però, ché, come nell'Intermezzo di rime, non abbandona il poeta il senso che quella è materia su cui esercitare altro giuoco, il giuoco della forma. Il pericolo per questa parte è di cascare nella mera arguzia cruschevole (nuova salvezza d'altronde dalle oscenità in quanto tali); un effetto meccanico e sgradevole di pedanteria bastano a diffonderlo su tutto il libro le preziosità tipografiche (le iniziali dei periodi in minuscolo, eccetto quelle dei capoversi), quando non riescono talvolta a dissolversi in un "incognito indistinto" di verità e falsità, seducente come effetto d'arte per quanto irrita. Ma un'altra sorta di piacevole novità viene per questa parte al libro, il ricchissimo meditare sul mestiere dell'arte, talvolta in puro ufficio di illuminazione autocritica, più spesso (o insieme) come poetico rapimento nella poesia, che aggiunge nuove occasioni di crearne fuggevoli attimi.

 

Luigi De Bellis