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Tragedia in cinque atti in prosa rappresentata a Parigi da
Sarah Bernhardt nel 1898, e pubblicata in italiano e in
francese nello stesso anno. Sullo sfondo di un paesaggio
sitibondo (Argo e Micene) e suggestivo per antichi ricordi
di lussuria e delitti, la tragedia mette in scena un
poeta, Alessandro, pieno di pietà per la moglie cieca,
Anna, ma innamorato di una fanciulla, Bianca Maria, che lo
ricambia con pari rimorso e pietà verso la cieca; ma il
fratello di Bianca Maria, Leonardo, ossesso da incestuoso
amore per lei, un po'per gelosia di Alessandro, un po'per
liberarsi (come Giorgio v., del Trionfo della morte
dell'orrenda passione, la uccide. Anche questo dramma,
come il Sogno d'un mattino di primavera, vuol essere
"teatro di poesia"; ragion per cui la complicata storia dà
mero pretesto a gesti, sonore immagini, cadenze e parole.
In tanta azione, manca l'azione, e a ciò serve il
personaggio di Anna, la cieca, che nulla vede e tutto
vede, che di sé e di tutti patisce, sempre in scena e
centro dell'opera, proprio lei che per definizione è fuori
dalla macchina della vicenda. Vero è che il tema
celebrativo del Superuomo si impersona due volte nel
dramma, in Alessandro, il poeta disposto a infrangere, di
là dal Bene e dal Male, i divieti della pietà per
realizzare sé nell'amore con Bianca Maria; e in Leonardo,
il fratello incestuoso, non per l'incesto, ma per il
delitto con cui se ne libera: concezione tanto importante
nell'ideologia del Dannunzio, che già eguale appare nella
leggenda di Umbelino e Pantea intromessa nelle Vergini
delle Rocce, e, figurando La città morta essere l'opera a
cui lavora il poeta protagonista del Fuoco, vi assumerà
addirittura il titolo La vittoria dell'uomo. Tuttavia,
nella tragedia del 1898, sia in Alessandro sia in
Leonardo, il tema superumano si contamina di troppe
lacrime e sospiri, quasi il clima del Poema paradisiaco,
timido ancora di affermarsi spiegato come sarà poi nella
Gioconda e in Più che l'amore. Perciò il tono più vero
dell'opera, quel perenne sospiro di voluttà, di sacrificio
e di autocelebrazione che scivola nell'autoelegia, è
riconoscibile particolarmente nel personaggio della
sacrificata per eccellenza, Anna la cieca. E non importa
che anche a essa manchi la concretezza fantastica di
personaggio realistico, senza riuscire d'altra parte a
risolvere in pura suggestione di musica lo schema
tradizionale che concorre a formarla. La città morta, con
La Gloria e La Gioconda, fu compresa sotto il titolo Le
vittorie mutilate nella trad. francese del 1903. |