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(e
altri studii del vivere inimitabile). È il tomo II delle
Faville del maglio pubblicato nel 1928. Dà il titolo al
libro e ne occupa la giusta metà una lunga prosa, datata
1900; di cui anche i brani eventualmente pubblicati sul
"Corriere della sera" negli anni 1911-1914 come sparse
Faville (e per cui manca un raffronto preciso) tendono a
costruirsi intorno a un solo tema: un inquieto
presentimento di solitudine e di gloria còlto anch'esso,
come il tema del Secondo amante di Lucrezia Buti, nei
presagi dell'adolescenza: dalla passione per Napoleone ai
crucci e alle battaglie di collegio, fino al culminante
episodio del poeta fanciullo che dalla prigione evade sui
tetti fra le rondini, sotto la pioggia. Anche qui la
prosa, come tutte le Faville, nasce (o afferma di nascere)
nelle pause intromesse a un'altra opera maggiore, che qui
è Il Fuoco, il romanzo per eccellenza del dominatore
trionfante; ma il tono umbratile, il ripiegamento e la
malinconia propri delle Faville non ne sono guastati, se
ne accrescono invece, perché i sentimenti superumani del
romanzo sono appena un registro del contrappunto che si
esercita nella nuova prosa, come dall'oggi all'ieri, così
da quei sentimenti solari al turbamento e all'amara pietà
per il caso umano che bussa alla porta del Superuomo sotto
la veste di un antico compagno di collegio, Dario, il
preferito, che la vita ha reso tanto vile e pietoso quanto
lui, D'Annunzio, ha esaltato di vittorioso orgoglio "Il
compagno dagli occhi senza cigli", è detto nel titolo:
particolarità fisica cara alla consuetudine antica, e oggi
ritrovata nell'uomo quasi repulsiva, ma indicibilmente
commista a pietà e all'amore di una volta. Quel continuo
trapassare da un tono all'altro, che è la musica delle
Faville, quel rimemorare (com'è detto nel Secondo amante
di Lucrezia Buti) che non è "aver vissuto né rivivere ma è
vivere nel vivere"; il dato e l'impianto del componimento
è una miniera di occasioni al metodo e al respiro della
nuova musa dannunziana. Anche qui le parole cruschevoli
tornano in bocca del fanciullo cruccioso; ma "le avevo
proferito in contraddizione di me, come ora ne dicevo
altre in dissidio con me, straniere alla mobilissima vita
del mio essere profondo, sonore e false e tuttavia toccate
da non so che soffio d'un mio affanno inconsapevole, d'una
mia segreta smania, d'una indistinta mia scontentezza". E
tornando dall'ieri all'oggi, dal fanciullo all'uomo è
scritto più innanzi: "Parlo come chi, avendo paura nel
buio, crede di poter tenere a ciancia le tenebre e le
larve". Quel soffio d'affanno e quasi quella paura del
buio tengono in piedi il componimento di pagina in pagina,
meglio dell'accennato proposito che sarebbe potuto essere,
in sé, non meno autocelebratorio di quelli del Fuoco. Lo
stesso ambiente del collegio, tante volte descritto,
soltanto qui diventa una sola e favolosa cosa con quel
soffio d'affanno. Poco altro giova aggiungere di Dario
fanciullo: che, come già Frontino (nel Secondo amante di
Lucrezia Buti) non era se non il commento malinconico e
tenero della rapace sensualità del fanciullo poeta, così
Dario è la malinconia dell'orgogliosa solitudine; e
l'aspetto miserabile di Dario uomo è la molla di tutto il
resto, ma poeticamente, per sé, convince meno, quanto meno
la malinconia aderisce al sentimento che il poeta ha della
propria solitudine attuale. Infatti il centro poetico del
D'Annunzio autobiografo dei suoi anni puerili, come di
tutto il D'Annunzio delle Faville, non è la sensualità né
l'orgoglio, ma la malinconia, di entrambi, magari
malinconia solo in quanto presentimento fatale. E soltanto
nuoce al componimento quanto gli resta (un'onda oratoria
di più, una sontuosità di cadenze) dell'invenzione a tutto
tondo e della scrittura spiegata delle opere maggiori.
Delle altre prose del libro (fra cui alcune di epoca
posteriore agli anni delle Faville), giova ricordare "Di
un maestro avverso", dedicata al Carducci, "Della malattia
e dell'arte musica", in ricordo del Giacosa; ma
soprattutto "Esequie della giovinezza", dove il senso di
favola di malinconia e di cruccio dominante nelle Faville
si raccoglie con infinita grazia nell'immaginato ritorno
presso la madre, nelle parole di favola ("Ah, come vi
siete fatto attendere!", che son le parole della Bella
Addormentata al Principe Azzurro) in cui la pena e il
desiderio di lei gli si esprime tacendo. Nel volume è
accolto infine un componimento in versi, "Encomio del
bronzo", già apparso in rivista nel 1906; trattasi di
sonore quartine endecasillabe, che invano tentano
riafferrare la musica di quelle accolte in Alcione, e
ripetono un'ennesima celebrazione dell'Artista-Creatore. |