Letteratura italiana: Opere di D'Annunzio

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Parliamo di

  Le opere di Gabriele D'Annunzio
Autore critica
Eurialo
De Michelis

 


Il compagno dagli occhi senza cigli
 

(e altri studii del vivere inimitabile). È il tomo II delle Faville del maglio pubblicato nel 1928. Dà il titolo al libro e ne occupa la giusta metà una lunga prosa, datata 1900; di cui anche i brani eventualmente pubblicati sul "Corriere della sera" negli anni 1911-1914 come sparse Faville (e per cui manca un raffronto preciso) tendono a costruirsi intorno a un solo tema: un inquieto presentimento di solitudine e di gloria còlto anch'esso, come il tema del Secondo amante di Lucrezia Buti, nei presagi dell'adolescenza: dalla passione per Napoleone ai crucci e alle battaglie di collegio, fino al culminante episodio del poeta fanciullo che dalla prigione evade sui tetti fra le rondini, sotto la pioggia. Anche qui la prosa, come tutte le Faville, nasce (o afferma di nascere) nelle pause intromesse a un'altra opera maggiore, che qui è Il Fuoco, il romanzo per eccellenza del dominatore trionfante; ma il tono umbratile, il ripiegamento e la malinconia propri delle Faville non ne sono guastati, se ne accrescono invece, perché i sentimenti superumani del romanzo sono appena un registro del contrappunto che si esercita nella nuova prosa, come dall'oggi all'ieri, così da quei sentimenti solari al turbamento e all'amara pietà per il caso umano che bussa alla porta del Superuomo sotto la veste di un antico compagno di collegio, Dario, il preferito, che la vita ha reso tanto vile e pietoso quanto lui, D'Annunzio, ha esaltato di vittorioso orgoglio "Il compagno dagli occhi senza cigli", è detto nel titolo: particolarità fisica cara alla consuetudine antica, e oggi ritrovata nell'uomo quasi repulsiva, ma indicibilmente commista a pietà e all'amore di una volta. Quel continuo trapassare da un tono all'altro, che è la musica delle Faville, quel rimemorare (com'è detto nel Secondo amante di Lucrezia Buti) che non è "aver vissuto né rivivere ma è vivere nel vivere"; il dato e l'impianto del componimento è una miniera di occasioni al metodo e al respiro della nuova musa dannunziana. Anche qui le parole cruschevoli tornano in bocca del fanciullo cruccioso; ma "le avevo proferito in contraddizione di me, come ora ne dicevo altre in dissidio con me, straniere alla mobilissima vita del mio essere profondo, sonore e false e tuttavia toccate da non so che soffio d'un mio affanno inconsapevole, d'una mia segreta smania, d'una indistinta mia scontentezza". E tornando dall'ieri all'oggi, dal fanciullo all'uomo è scritto più innanzi: "Parlo come chi, avendo paura nel buio, crede di poter tenere a ciancia le tenebre e le larve". Quel soffio d'affanno e quasi quella paura del buio tengono in piedi il componimento di pagina in pagina, meglio dell'accennato proposito che sarebbe potuto essere, in sé, non meno autocelebratorio di quelli del Fuoco. Lo stesso ambiente del collegio, tante volte descritto, soltanto qui diventa una sola e favolosa cosa con quel soffio d'affanno. Poco altro giova aggiungere di Dario fanciullo: che, come già Frontino (nel Secondo amante di Lucrezia Buti) non era se non il commento malinconico e tenero della rapace sensualità del fanciullo poeta, così Dario è la malinconia dell'orgogliosa solitudine; e l'aspetto miserabile di Dario uomo è la molla di tutto il resto, ma poeticamente, per sé, convince meno, quanto meno la malinconia aderisce al sentimento che il poeta ha della propria solitudine attuale. Infatti il centro poetico del D'Annunzio autobiografo dei suoi anni puerili, come di tutto il D'Annunzio delle Faville, non è la sensualità né l'orgoglio, ma la malinconia, di entrambi, magari malinconia solo in quanto presentimento fatale. E soltanto nuoce al componimento quanto gli resta (un'onda oratoria di più, una sontuosità di cadenze) dell'invenzione a tutto tondo e della scrittura spiegata delle opere maggiori. Delle altre prose del libro (fra cui alcune di epoca posteriore agli anni delle Faville), giova ricordare "Di un maestro avverso", dedicata al Carducci, "Della malattia e dell'arte musica", in ricordo del Giacosa; ma soprattutto "Esequie della giovinezza", dove il senso di favola di malinconia e di cruccio dominante nelle Faville si raccoglie con infinita grazia nell'immaginato ritorno presso la madre, nelle parole di favola ("Ah, come vi siete fatto attendere!", che son le parole della Bella Addormentata al Principe Azzurro) in cui la pena e il desiderio di lei gli si esprime tacendo. Nel volume è accolto infine un componimento in versi, "Encomio del bronzo", già apparso in rivista nel 1906; trattasi di sonore quartine endecasillabe, che invano tentano riafferrare la musica di quelle accolte in Alcione, e ripetono un'ennesima celebrazione dell'Artista-Creatore.

 

Luigi De Bellis