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Romanzo pubblicato nel 1910. Come numero di personaggi e
di casi, è il più folto dei romanzi dannunziani; vi si
incontrano due sorelle, Isabella e Vana, la prima vedova
ed esperta, la seconda vergine, innamorate entrambe
dell'aviatore Paolo Tarsis; e l'uomo soffre della
schiavitù sessuale che lo avvince alla prima, ma non sa
liberarsene; Vana perdutamente ama, straziata di gelosia e
di rancore; Isabella, cercando nella voluttà un assiduo
pungolo di dolore della sorella, si nutre della sofferenza
di costei, ben più, si fa incestuosa iniziatrice d'amore
al fratello Aldo. E Vana la denunzia a Paolo, per
distruggerla nel cuore di lui, ma inutilmente, onde si
uccide; Isabella, percossa violentemente dall'amante
inorridito di lei, nuovamente se lo fa schiavo, ma infine
impazzisce; e soltanto attraverso gli orridi casi Paolo
riacquista quanta libertà gli permetta di dedicarsi al suo
compito di aviatore. Torna in Paolo il Superuomo, in
Isabella la Super femmina, Giorgio e Ippolita del Trionfo
della morte, Marco e Basiliola della Nave, e come allora
l'uomo non può alzarsi a eroe senza liberarsi dalla donna;
torna il tema della voluttà, feroce in Isabella fino
all'incesto, struggente in Vana fino al suicidio.
Tuttavia, fra tante cose vecchie, il libro resta
nuovissimo nell'opera del D'Annunzio. Fra tutto quanto
resta delle false righe antiche, la novità del romanzo è
infatti di muovercisi in mezzo tenendo personaggi e
situazioni indiziari e ambigui: forse che sì forse che no;
e di tutti creare soli un'ansia fluida e indistinta, una
mollezza pungente, un alone d'ombra, dove il tono lirico
si concreta bensì in occasione dei casi narrati, ma con
perpetua e vaghissima inaderenza nel confronto di essi.
Così l'incesto qui e là sempre balena, ma non è mai detto;
così, sempre nuovo sfondo di ricordi e complicazioni
sentimentali muove il mistero dei personaggi come tessuti
cangianti; le ultime pagine, che narrano le peripezie di
Isabella impazzita, se restano di oscurissimo significato
allegorico-morale, se troppo aderiscono alla cronaca dei
veri casi occorsi alla donna di cui è detto con quasi
uguali parole nel diario autobiografico Solus ad solam,
tutt'altro che oscure vogliono essere nell'intenzione che
ancora una volta le regge di là dalla cronaca e
dall'allegoria morale: creare nuovi sfondi di orrore e
mistero alla figura della donna. "L'ignoto", "qualcosa di
vago", visi che "un sentimento misterioso modulava come
un'aria sempre eguale e sempre diversa" parole comuni
eppure con "un senso indefinito": sono immagini frequenti
nel libro. Basta il tema della voluttà, in Paolo, a creare
questo tremito, l'antico spavento dell'uomo che il piacere
affascina, e vuol sottrarsi al fascino e non può, "come il
fanciullo occupato da un indefinito orrore, che immagina
una presenza terribile al suo fianco e la vede con la
visione senza pupilla". Così basta in Isabella il tremito
dell'insaziato piacere, quando non anche in lei, nei brevi
attimi di lucidità dinanzi al male che ha fatto, "qualcosa
di pauroso e di supplichevole, qualcosa che era come un
raccapriccio confuso e come una interrogazione tremante".
Ma s'intende che il tema eroico dell'uomo, il tema
orgiastico della donna, quel che nell'uno resta di Corrado
Brando del Più che l'amore. e nell'altra di Basiliola
della Nave, sono tentazioni troppo recenti e potenti per
non intervenire a distruggere la delicata trama sensibile
che vorrebbe esser creata; e il tono vacuamente eroico è
da una parte la maggior causa di mancanza di poesia al
romanzo, come d'altra parte la sublimazione della lussuria
fino alla quasi comica teoria dell'amore che per esser
perfetto dev'essere in tre, e alla celebrazione elegiaca
del compiuto incesto. Perciò più frequenti occasioni di
poesia s'incontrano nel personaggio di Vana: una Gigliola
della Fiaccola sotto il maggio, ma più concreta per il
sentimento squisitamente dannunziano che la tiene in
piedi, la voluttà e non l'odio; piena di baleni e di
rancore, di sapienza amara, di impeto distruttore e
venefico, di pungente elegia. E soltanto, anche i motivi
di questo personaggio sono guastati qui e là (specie nella
scena della veglia funebre, e nei taciuti pensieri di lei
mentre canta) da un'onda periodica che sovrabbonda la
risentita o cangiante qualità del nuovo stile; cioè
dall'oratoria "ore rotundo" del Fuoco che dalle parti
eroiche e solari del romanzo dilaga a contaminare anche le
notturne. |