Letteratura italiana: Opere di D'Annunzio

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Parliamo di

  Le opere di Gabriele D'Annunzio
Autore critica
Eurialo
De Michelis

 


Forse che si forse che no
 

Romanzo pubblicato nel 1910. Come numero di personaggi e di casi, è il più folto dei romanzi dannunziani; vi si incontrano due sorelle, Isabella e Vana, la prima vedova ed esperta, la seconda vergine, innamorate entrambe dell'aviatore Paolo Tarsis; e l'uomo soffre della schiavitù sessuale che lo avvince alla prima, ma non sa liberarsene; Vana perdutamente ama, straziata di gelosia e di rancore; Isabella, cercando nella voluttà un assiduo pungolo di dolore della sorella, si nutre della sofferenza di costei, ben più, si fa incestuosa iniziatrice d'amore al fratello Aldo. E Vana la denunzia a Paolo, per distruggerla nel cuore di lui, ma inutilmente, onde si uccide; Isabella, percossa violentemente dall'amante inorridito di lei, nuovamente se lo fa schiavo, ma infine impazzisce; e soltanto attraverso gli orridi casi Paolo riacquista quanta libertà gli permetta di dedicarsi al suo compito di aviatore. Torna in Paolo il Superuomo, in Isabella la Super femmina, Giorgio e Ippolita del Trionfo della morte, Marco e Basiliola della Nave, e come allora l'uomo non può alzarsi a eroe senza liberarsi dalla donna; torna il tema della voluttà, feroce in Isabella fino all'incesto, struggente in Vana fino al suicidio. Tuttavia, fra tante cose vecchie, il libro resta nuovissimo nell'opera del D'Annunzio. Fra tutto quanto resta delle false righe antiche, la novità del romanzo è infatti di muovercisi in mezzo tenendo personaggi e situazioni indiziari e ambigui: forse che sì forse che no; e di tutti creare soli un'ansia fluida e indistinta, una mollezza pungente, un alone d'ombra, dove il tono lirico si concreta bensì in occasione dei casi narrati, ma con perpetua e vaghissima inaderenza nel confronto di essi. Così l'incesto qui e là sempre balena, ma non è mai detto; così, sempre nuovo sfondo di ricordi e complicazioni sentimentali muove il mistero dei personaggi come tessuti cangianti; le ultime pagine, che narrano le peripezie di Isabella impazzita, se restano di oscurissimo significato allegorico-morale, se troppo aderiscono alla cronaca dei veri casi occorsi alla donna di cui è detto con quasi uguali parole nel diario autobiografico Solus ad solam, tutt'altro che oscure vogliono essere nell'intenzione che ancora una volta le regge di là dalla cronaca e dall'allegoria morale: creare nuovi sfondi di orrore e mistero alla figura della donna. "L'ignoto", "qualcosa di vago", visi che "un sentimento misterioso modulava come un'aria sempre eguale e sempre diversa" parole comuni eppure con "un senso indefinito": sono immagini frequenti nel libro. Basta il tema della voluttà, in Paolo, a creare questo tremito, l'antico spavento dell'uomo che il piacere affascina, e vuol sottrarsi al fascino e non può, "come il fanciullo occupato da un indefinito orrore, che immagina una presenza terribile al suo fianco e la vede con la visione senza pupilla". Così basta in Isabella il tremito dell'insaziato piacere, quando non anche in lei, nei brevi attimi di lucidità dinanzi al male che ha fatto, "qualcosa di pauroso e di supplichevole, qualcosa che era come un raccapriccio confuso e come una interrogazione tremante". Ma s'intende che il tema eroico dell'uomo, il tema orgiastico della donna, quel che nell'uno resta di Corrado Brando del Più che l'amore. e nell'altra di Basiliola della Nave, sono tentazioni troppo recenti e potenti per non intervenire a distruggere la delicata trama sensibile che vorrebbe esser creata; e il tono vacuamente eroico è da una parte la maggior causa di mancanza di poesia al romanzo, come d'altra parte la sublimazione della lussuria fino alla quasi comica teoria dell'amore che per esser perfetto dev'essere in tre, e alla celebrazione elegiaca del compiuto incesto. Perciò più frequenti occasioni di poesia s'incontrano nel personaggio di Vana: una Gigliola della Fiaccola sotto il maggio, ma più concreta per il sentimento squisitamente dannunziano che la tiene in piedi, la voluttà e non l'odio; piena di baleni e di rancore, di sapienza amara, di impeto distruttore e venefico, di pungente elegia. E soltanto, anche i motivi di questo personaggio sono guastati qui e là (specie nella scena della veglia funebre, e nei taciuti pensieri di lei mentre canta) da un'onda periodica che sovrabbonda la risentita o cangiante qualità del nuovo stile; cioè dall'oratoria "ore rotundo" del Fuoco che dalle parti eroiche e solari del romanzo dilaga a contaminare anche le notturne.

 

Luigi De Bellis