Letteratura italiana: Opere di D'Annunzio

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Parliamo di

  Le opere di Gabriele D'Annunzio
Autore critica
Eurialo
De Michelis

 


Francesca da Rimini
 

Uguale titolo, e derivato dalle medesime fonti dantesche, ha una tragedia in cinque atti, in versi. Francesca da Rimini, di  D'Annunzio rappresentata nel 1901 da Eleonora Duse, e pubblicata l'anno seguente. "Poema di sangue e di lussuria" la definisce il D'Annunzio nel "Commiato" in terzine che le fa séguito in volume, e come tale riassume i principali motivi della musa dannunziana: felicissima opera in ciò che non li gonfia per esaltarli, e nemmeno vuole addolcirli, ma esplicitamente li estenua nella musica e nel sospiro dell'amorosa voluttà. L'azione mette in scena il famoso episodio narrato da Dante, aggiuntavi la leggenda del matrimonio per procura narrato dal Boccaccio nel suo Comento dantesco; aggiuntavi per di più la figura di un minor fratello di Paolo e Giangiotto, Malatestino, anch'egli innamorato di Francesca, e denunziatore, per gelosia, della tresca. Teatralmente, molto lodato è l'atto IV (dove il maligno Malatestino ordisce la trama in cui cadranno gli amanti), il più attento a mettere in piedi un'azione, a soffocare gli spunti musicali nelle brevi e asciutte parole che la sostengono. E non è a dire che un'altra musica non si formi in quell'asciuttezza aderente con amaro fervore all'antico tema dannunziano della voluttà crudele; tuttavia il meglio dell'opera è altrove, nell'amoroso languore di Francesca, così immedesimato col paesaggio arboreo marino o fluviale, da far giustamente avvicinare la tragedia alle tre odi iniziali della Città del Silenzio; e precisamente nei luoghi di più aperta musica e lirismo: nella voluttuosa malinconia del presentimento d'amore, nel colloquio tra Francesca e la sorella (atto I), nei colloqui d'amore con Paolo (atto II e III). Meno felice il colloquio dell'atto V, perché il tema d'amore, non più sostenuto dallo struggimento e dalla malinconia di chi desidera ma non ha, scivola nel tono enfatico e celebrativo del più vacuo D'Annunzio. Un'altra ispirazione collaterale s'incontra nei cinque atti, riempiente i vuoti dell'azione e del tema poetico: la dilettazione di rifare modi, forme, costrutti nobilmente antichi, e qui del tempo in cui si svolge l'azione: l'estremo Duecento. Anche per questa parte non mancano all'opera pagine di grande finezza, ma, nel complesso riescono oziose e pesanti al nostro gusto di oggi come il "falso antico" in architettura. Proprio questo tuttavia fu l'aspetto dell'opera che doveva visibilmente influenzare tanto teatro minore del nostro primo Novecento, dalla Cena delle beffe del Benelli al Beffardo del Berrini; e si capisce, perché assai più difficile sarebbe stato imparare il segreto della sua più vera poesia. Precede la tragedia, nel testo a stampa, una canzone a Eleonora Duse, nello stile di Elettra.

Nella Francesca da Rimini il lettore troverà alcune pagine di Musica pura; la ferocia medievale delle armi e la sensuale soavità degli amori sono due note care al più genuino poeta, e qui sono accolte e trasfigurate, ma talvolta anche vanificate, in un superiore gusto dell'arcaico e del prezioso. (L. Russo).

 

Luigi De Bellis