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Uguale
titolo, e derivato dalle medesime fonti dantesche, ha una
tragedia in cinque atti, in versi. Francesca da Rimini, di
D'Annunzio rappresentata nel 1901 da Eleonora Duse, e
pubblicata l'anno seguente. "Poema di sangue e di
lussuria" la definisce il D'Annunzio nel "Commiato" in
terzine che le fa séguito in volume, e come tale riassume
i principali motivi della musa dannunziana: felicissima
opera in ciò che non li gonfia per esaltarli, e nemmeno
vuole addolcirli, ma esplicitamente li estenua nella
musica e nel sospiro dell'amorosa voluttà. L'azione mette
in scena il famoso episodio narrato da Dante, aggiuntavi
la leggenda del matrimonio per procura narrato dal
Boccaccio nel suo Comento dantesco; aggiuntavi per di più
la figura di un minor fratello di Paolo e Giangiotto,
Malatestino, anch'egli innamorato di Francesca, e
denunziatore, per gelosia, della tresca. Teatralmente,
molto lodato è l'atto IV (dove il maligno Malatestino
ordisce la trama in cui cadranno gli amanti), il più
attento a mettere in piedi un'azione, a soffocare gli
spunti musicali nelle brevi e asciutte parole che la
sostengono. E non è a dire che un'altra musica non si
formi in quell'asciuttezza aderente con amaro fervore
all'antico tema dannunziano della voluttà crudele;
tuttavia il meglio dell'opera è altrove, nell'amoroso
languore di Francesca, così immedesimato col paesaggio
arboreo marino o fluviale, da far giustamente avvicinare
la tragedia alle tre odi iniziali della Città del
Silenzio; e precisamente nei luoghi di più aperta musica e
lirismo: nella voluttuosa malinconia del presentimento
d'amore, nel colloquio tra Francesca e la sorella (atto
I), nei colloqui d'amore con Paolo (atto II e III). Meno
felice il colloquio dell'atto V, perché il tema d'amore,
non più sostenuto dallo struggimento e dalla malinconia di
chi desidera ma non ha, scivola nel tono enfatico e
celebrativo del più vacuo D'Annunzio. Un'altra ispirazione
collaterale s'incontra nei cinque atti, riempiente i vuoti
dell'azione e del tema poetico: la dilettazione di rifare
modi, forme, costrutti nobilmente antichi, e qui del tempo
in cui si svolge l'azione: l'estremo Duecento. Anche per
questa parte non mancano all'opera pagine di grande
finezza, ma, nel complesso riescono oziose e pesanti al
nostro gusto di oggi come il "falso antico" in
architettura. Proprio questo tuttavia fu l'aspetto
dell'opera che doveva visibilmente influenzare tanto
teatro minore del nostro primo Novecento, dalla Cena delle
beffe del Benelli al Beffardo del Berrini; e si capisce,
perché assai più difficile sarebbe stato imparare il
segreto della sua più vera poesia. Precede la tragedia,
nel testo a stampa, una canzone a Eleonora Duse, nello
stile di Elettra.
Nella Francesca da Rimini il lettore troverà alcune pagine
di Musica pura; la ferocia medievale delle armi e la
sensuale soavità degli amori sono due note care al più
genuino poeta, e qui sono accolte e trasfigurate, ma
talvolta anche vanificate, in un superiore gusto
dell'arcaico e del prezioso. (L.
Russo). |