Letteratura italiana: Opere di D'Annunzio

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Parliamo di

  Le opere di Gabriele D'Annunzio
Autore critica
Eurialo
De Michelis

 


Giovanni Episcopo
 

Romanzo pubblicato nel 1892. Il protagonista, che narra di sé in prima persona, è un tipo dostoevskiano di "umiliato e offeso", succube di un amico prepotente e sanguigno, Wanzer, e della moglie, Ginevra, cui lo lega una sensualità avvilente e miserabile; avendo per unico bene lo struggente amore per il figlio decenne, Ciro, che col muto soffrire dell'avvilimento di lui lo eccita all'impeto di ribellione per cui infine ucciderà Wanzer, diventato amante di Ginevra. Evidentemente il breve romanzo è ispirato dalla lettura dei libri del Dostoevskij, Delitto e castigo, Krotkaja, Umiliati e offesi; perciò è scritto a convulso monologo, rompendo la prosa stata di così sontuosa magniloquenza nel Piacere. Ma del modello gli manca ciò che l'arricchiva dall'intimo, il senso complesso della vita e dell'animo umano; la sensualità, e gli aspetti vilmente feroci della sensualità, ancora come nel San Pantaleone, è l'unica corda viva del Giovanni Episcopo: meno genuina, perché vuole mascherarsi di vittimismo cristiano. Ne risulta un senso molliccio, falso, appiccicoso, dove si salva soltanto l'intuizione della prepotente sessualità di Ginevra, il bianco e feroce sole intorno alla miseria fisica del protagonista, le disgustevoli piaghe del suocero, come tante turpitudini fisiche del San Pantaleone: un'intuizione tuttavia che s'intravvede, senza mai arrivare a espressione; e la rotta scrittura del monologo, volendo nascere come convulso singhiozzo del pover'uomo che parla, si risolve in un modo di ritmare la pagina non meno goduto per sé del parnassianesimo altrove, una macchinetta che va avanti per conto suo indipendentemente dal sentimento che vorrebbe esserci sotto. Nella prefazione al romanzo s'incontra il celebre motto "O rinnovarsi o morire", alla luce del quale conviene giudicare il libro, se non in sé, nella storia dell'evoluzione della poesia dannunziana; bisogno di rinnovarsi, dopo Il piacere, nel senso di una prosa più intimamente modulata e variamente orchestrata, nel senso medesimo dell'approfondimento sentimentale e morale tentato nell'Intermezzo di rime. Il problema del D'Annunzio era dunque narrare casi e persone quanto più lontani dallo schema idoleggiato di sé che era stato Andrea Sperelli. Ora come ora il tentativo si può considerare fallito, e certamente devia dalla rigida linea di svolgimento dal Canto novo alla Laus vitae; ma è quell'ansia di rinnovamento fuori della più recente sua formula che riporta continuamente il D'Annunzio dal solare al languido e viceversa, anzi essa stessa nasce dalla coesistenza perpetua di quei due toni ed è il legame segreto di ciascuno dei due. E non importa se, per apprezzare il Giovanni Episcopo nella storia della poesia dannunziana, bisogna guardare molto avanti, pensandolo come aurorale e inefficace premessa alle Faville del maglio e al Notturno. Il romanzo fu poi incluso con Terra vergine nell'Edizione Nazionale delle opere di D'Annunzio sotto il titolo Le primavere della mala pianta (1931).

Il D'Annunzio, per inclinazioni particolari del suo ingegno fine propenso a sensualità e a passionalità quasi alessandrine, era esposto più d'ogni altro fra noi al pericolo di lasciarsi sedurre dalle qualità del romanzo russo: e vi si è infatti abbandonato, trasmodando. Nel Giovanni Episcopo c'è quasi un'ebrezza del nevrotismo russo. (Capuana). È un'allegoria di lussuria; e dove questo non è, anfana nell'insincero e nel passivo. (
F. Flora
).

Giovanni Episcopo più che ogni altra opera dannunziana ha la rigorosa coerenza della falsità, senza la grazia neanche di uno di quei sorrisi o toni violenti di paesaggio che pur hanno trovato nel D'Annunzio un interprete mirabile e che sono stati da lui modulati altre volte in maestrevole accordo con lo stato d'animo fondamentale del racconto. (L. Russo)

 

Luigi De Bellis