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Tragedia in cinque atti in prosa di D'Annunzio,
rappresentata nel 1899 da Eleonora Duse ed Ermete Zacconi
e pubblicata nello stesso anno. Vorrebbe essere un'altra
glorificazione del Superuomo, ma anche qui, come nella
Gioconda, è semmai la glorificazione della Superfemmina:
amplificazione torbida ed enfatica dell'invincibile potere
della femmina sull'uomo avvinto, come una nuova Ippolita
del Trionfo della morte e Pantea del Sogno d'un tramonto
d'autunno; soltanto resa ancora più torbida perché
rappresenta il sesso, e insieme la Gloria, il delirante
Potere. La tragedia mette in scena un eroe, Ruggero
Fiamma, che combatte per la signoria di Roma contro un
dominatore già vecchio, Cesare Bronte; al quale strappa
infine il potere e, splendida amante, la Comnèna; ma com'è
in costei il suo pungolo e la sua forza, come in lei egli
è tutto perduto senza nemmeno la possibilità di liberarsi
uccidendola, così è lei sola insaziabile di voluttà di
dominio, pronta a favorire la morte del primo amante
quando il suo astro declina, e poi a uccidere ella stessa
Ruggero Flamma e darne il cadavere in pasto alla folla
ribelle quando nella medesima situazione egli non sa
proporle se non l'amore e l'esilio. Altra aggiunta
confusione viene all'opera dalle velleità "politiche" che
la gonfiano, non meno vacue che nelle Vergini delle Rocce,
ma sostituendo alla stilizzazione la magniloquenza; talché
è da annoverarsi senz'altro fra le peggiori del
D'Annunzio. La tragedia fu riunita con La città morta e La
Gioconda, nella traduzione francese del 1903, sotto il
titolo Les victoires mutilées (Le vittorie mutilate).
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