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Raccolta di versi pubblicati nel 1883 (data editoriale:
1884). Nel primo ricco periodo della poesia dannunziana si
può considerarla un "intermezzo", se non proprio
disorientato, di ricerca. È caduta infatti l'esplodente
originalità del Canto novo, che travolgeva, adattandolo a
sé, qualunque modello. Lo squillante lodatore della gioia
animale di vivere, ora momentaneamente spossato e deluso,
"animal triste", aderisce con fatica ai nuovi panni; quasi
incerto di ciò che si convenga al suo animo attuale,
sembra cercare in altri poeti, specie nei Fiori del male
di Baudelaire, non già soltanto uno spunto che dia l'avvio
al suo proprio contenuto, ma addirittura gli atteggiamenti
psicologici su cui svolgere la immotivata disposizione al
canto, che, unica dell'antico se stesso, gli resta
genuina. Naturalmente, ciò va inteso con discrezione, e
non è caso che i sonetti, di tono sensualmente deluso,
siano tanto più autentici dei due poemetti, in martelliani
e in ottave: dove gli idilli del Canto novo si effondono
in una narratività, cui ancora potrebbe dirsi modello lo
Stecchetti di Postuma, se non fosse il decoro
squisitamente formale che fa battere l'accento, non sul
pathos effusivo, non sulla suggestione della materia, ma
sul distacco e sull'eleganza della fattura. Parimenti nei
sonetti (dove pur la materia è tanto più vera nell'animo
attuale del poeta), come il senso dell'esercizio metrico
sovrabbonda il canto effettivo, così il parnassiano decoro
nobilita anche qui ciò che nei sonetti giovanili si rifece
dallo Stecchetti ma comunica agli atteggiamenti
sentimentali un'impassibilità che impedisce il pudore e il
fremito del modello baudelairiano. Perciò poté accendersi
intorno a questo libro una polemica, rimasta famosa, sui
limiti della verecondia in arte, avendo egualmente ragione
chi, come il Chiarini, restava urtato dalla crudezza della
materia sessuale, e chi, come il Lodi, sentiva riscattata
la pornografia da quel distacco parnassiano, da quella
impassibilità. Con l'Intermezzo di rime cominciava quello
che fu per lunghi anni il rovello del D'Annunzio, specie
nei romanzi: lo sforzo cioè di costruirsi come poesia
psicologica e sentimentale, al modo dei poeti analitici
confessori di sé, al modo che era stato degli estremi
romantici. A cominciare dal 1894 la raccolta si chiamò
semplicemente Intermezzo. Nel 1929 fu inclusa, con Canto
novo e le Elegie romane, nell'Edizione nazionale delle
opere del D'Annunzio, col titolo Femmine e muse.
L'Intermezzo ha una grande importanza nella poesia del
D'Annunzio, non solo perché svela il primo vero turbamento
del poeta, ma anche perché ha una tersa e nativa tonalità
dannunziana. (F. Flora).
Libro, in gran parte, di oratoria afrodisiaca, più che
d'arte. (L. Russo)
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