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Raccolta di poesie in celebrazione di una favoleggiata
Isotta, e su altri simili temi che ne ripetono il tono. Il
tentativo di una poesia romantica confessione di sé, già
accennato nell'Intermezzo di rime, è qui abbandonato
radicalmente per un tipo di poesia puro giuoco parnassiano
di immagini già stilizzate e poetiche, che hanno la
preziosa perfezione delle cose vuote; ma raggiungendo, nel
giuoco virtuosistico, un rigore di stile, uno splendore,
che è impegno di raffinatissima arte. Il poema d'Isotta
narra in nona rima la storia di un primo bacio sullo
sfondo di una campagna d'autunno, e poi in ballate un
altro bacio presso un fonte primaverile; con un ricalco di
forme quattrocentesche, la cui grazia è proprio nel senso
delle forme riassaporate come tali, completamente di là (o
di qua) dal sentimento che vi si finge. Per certe poesie
della seconda parte del libro, e più in ispecie a
proposito della irreligiosa poesia di Eleabani, è lo
stesso autore a chiarire in nota il carattere di "semplice
e pura ed anche, se si vuole, oziosa esercitazione di
stile e di metrica"; e sotto questo aspetto il volume può
considerarsi il canzoniere di quell'Andrea
Sperelli, protagonista del Piacere, il quale, anche
scrivendo poesie, "più che il pensiero, amava
l'espressione". Tale sarà, in un sonetto aggiunto
all'edizione 1890 del libro, il celeberrimo credo estetico
del D'Annunzio: "O poeta, divina è la Parola; - ne la pura
Bellezza il ciel ripose - ogni nostra letizia; e il Verso
è tutto". Questo giuoco non resta però sempre un freddo
giuoco metrico: più sensibile commozione lo anima dove si
estenua in ritmi musicalmente leggeri, come nelle brevi
strofette dei "Rondò" e delle "Romanze", in cui nessuna
immagine, nessun sentimento si atteggia oltre la
gentilezza di un madrigale o di una vignetta; il massimo
che possa adeguarsi dall'interno a ciò che regge il giuoco
leggero. Nascono così "Dolcemente muor Febbraio", "Quante
volte in su' mattini", e tutti gli altri luoghi del libro
che più o meno si avvicinano all'eleganza di queste due
liriche. A cominciare dall'edizione del 1890, forse anche
per sfuggire il ricordo della lunga irrisione gettata
sull'opera da Edoardo Scarfoglio in una cronaca intitolata
Risatta al Pomidauro (la cosa finì allora in un duello),
il libro cambiò titolo scindendosi in due parti distinte,
L'isotteo e La Chimera, ciascuna delle quali aumentata di
altre liriche.
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