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Racconto scritto nel 1913, e pubblicato in volume nel 1916
col sopratitolo Aspetti dell'Ignoto. Continua lo sforzo
del Forse che sì forse che no di raggiungere, di là dai
personaggi e dai fatti, un'analisi fluida e indistinta,
come nella trama senza racconto delle Faville del maglio;
ma vi si adegua con più coerenza, quanto meno si
costruisce in vera e propria vicenda (premessa sviluppo e
conclusioni) restando però in margine alle occasioni che
crea al trasalire dell'ombra. Il fatto nudo e crudo è
raccolto perciò in poche pagine: una specie di Maria
Tarnovska nel romanzo Circe della Vivanti, che gira di
albergo in albergo con un losco figuro che la domina, e
col ricchissimo fidanzato che colui le procurò; il quale,
avvelenato di morfina, indotto a sottoscrivere una grossa
assicurazione sulla vita in favore della fidanzata, è
infine ucciso in una procurata disgrazia; e poiché nasce
il sospetto del delitto, il losco socio tiene incatenata
la donna con la minaccia di denunziare sé e lei; ed ella
che lo abomina, di nulla ormai le importa, talché finisce
per uccidersi. La storia interessa il D'Annunzio soltanto
per gli sfondi cupi che sommuove intorno alla donna
nell'animo di colui che rievoca in prima persona il
desiderio suscitatogli da due incontri con lei,
coincidenti con due tentati suicidi di lei, il secondo
mortale; e il racconto è fatto solo di balenanti
intuizioni: quel pallore di morte, quella fredda energia e
mollezza della fosca donna, in contrappunto con le
immagini che suscita la sua bellezza, culminanti nella
scena del canile, quando fra i bianchi levrieri ella
sembra rinnovare il mito di Leda fra i cigni. "Ogni
apparenza era apparizione al fervore de' miei sensi", è il
commento di un luogo del racconto, ed è tutto il suo
modulo: i pallidi personaggi diventano come "quei fantasmi
che si formano da certe disgregazioni dello spirito su
l'orlo della follia e che agghiacciano il malato con una
presenza intermittente". La trama di cui è fatta la pagina
è infinitamente cangevole; il dispettoso corruccio è anche
qui - come nel Secondo amante di Lucrezia Buti e nel
Compagno dagli occhi senza cigli - acredine, cattiveria,
ira, e una certa asciuttezza della scrittura, ma sempre
come sfumature di una grazia che se ne accresce; così la
fosca donna dice le cose crudeli "con non so che sorriso
timido". E non importa, anzi è pregio dell'opera, che il
racconto, nato da niente, condotto su niente, finisca e
culmini in niente; nient'altro che la visita della donna
ai bei cani di Desiderio Moriar, il narratore autobiografo,
quando la donna gli si trasfigura in Leda e i cani in
cigni; e subito dopo, senza altro perché, la notizia del
suicidio. Difetto è invece, dove le trascoloranti
sensazioni al limite fra il visibile e l'invisibile sono
stati d'animo bensì, ma definiti in immagini troppo
corporee; o per farsi eterei sfumano in delusoria vacuità;
o comunque un'onda periodica troppo copiosa tradisce il
fluttuare delle sensazioni e dei ricordi. Segue il
racconto una Licenza, lunga due volte e mezzo, che fa
opera a sé.
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