Letteratura italiana: Opere di D'Annunzio

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Parliamo di

  Le opere di Gabriele D'Annunzio
Autore critica
Eurialo
De Michelis

 


La Leda senza cigno
 

Racconto scritto nel 1913, e pubblicato in volume nel 1916 col sopratitolo Aspetti dell'Ignoto. Continua lo sforzo del Forse che sì forse che no di raggiungere, di là dai personaggi e dai fatti, un'analisi fluida e indistinta, come nella trama senza racconto delle Faville del maglio; ma vi si adegua con più coerenza, quanto meno si costruisce in vera e propria vicenda (premessa sviluppo e conclusioni) restando però in margine alle occasioni che crea al trasalire dell'ombra. Il fatto nudo e crudo è raccolto perciò in poche pagine: una specie di Maria Tarnovska nel romanzo Circe della Vivanti, che gira di albergo in albergo con un losco figuro che la domina, e col ricchissimo fidanzato che colui le procurò; il quale, avvelenato di morfina, indotto a sottoscrivere una grossa assicurazione sulla vita in favore della fidanzata, è infine ucciso in una procurata disgrazia; e poiché nasce il sospetto del delitto, il losco socio tiene incatenata la donna con la minaccia di denunziare sé e lei; ed ella che lo abomina, di nulla ormai le importa, talché finisce per uccidersi. La storia interessa il D'Annunzio soltanto per gli sfondi cupi che sommuove intorno alla donna nell'animo di colui che rievoca in prima persona il desiderio suscitatogli da due incontri con lei, coincidenti con due tentati suicidi di lei, il secondo mortale; e il racconto è fatto solo di balenanti intuizioni: quel pallore di morte, quella fredda energia e mollezza della fosca donna, in contrappunto con le immagini che suscita la sua bellezza, culminanti nella scena del canile, quando fra i bianchi levrieri ella sembra rinnovare il mito di Leda fra i cigni. "Ogni apparenza era apparizione al fervore de' miei sensi", è il commento di un luogo del racconto, ed è tutto il suo modulo: i pallidi personaggi diventano come "quei fantasmi che si formano da certe disgregazioni dello spirito su l'orlo della follia e che agghiacciano il malato con una presenza intermittente". La trama di cui è fatta la pagina è infinitamente cangevole; il dispettoso corruccio è anche qui - come nel Secondo amante di Lucrezia Buti e nel Compagno dagli occhi senza cigli - acredine, cattiveria, ira, e una certa asciuttezza della scrittura, ma sempre come sfumature di una grazia che se ne accresce; così la fosca donna dice le cose crudeli "con non so che sorriso timido". E non importa, anzi è pregio dell'opera, che il racconto, nato da niente, condotto su niente, finisca e culmini in niente; nient'altro che la visita della donna ai bei cani di Desiderio Moriar, il narratore autobiografo, quando la donna gli si trasfigura in Leda e i cani in cigni; e subito dopo, senza altro perché, la notizia del suicidio. Difetto è invece, dove le trascoloranti sensazioni al limite fra il visibile e l'invisibile sono stati d'animo bensì, ma definiti in immagini troppo corporee; o per farsi eterei sfumano in delusoria vacuità; o comunque un'onda periodica troppo copiosa tradisce il fluttuare delle sensazioni e dei ricordi. Segue il racconto una Licenza, lunga due volte e mezzo, che fa opera a sé.
 

 

Luigi De Bellis