Letteratura italiana: Opere di D'Annunzio

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Parliamo di

  Le opere di Gabriele D'Annunzio
Autore critica
Artal
Mazzotti

 


Lettere a Barbara Leoni
 

Scelte dalle 1050 lettere della raccolta di Mario Guabello (ora proprietà di Bianca Borletti) col criterio di illuminare l'opera giovanile del poeta, vanno dal 9 giugno 1887 al 15 novembre 1892, e sono state pubblicate a Firenze nel 1954. Queste 276 lettere sono fra le sue cose più spontanee, letterariamente stupende, e vi è contenuta tutta la fenomenologia dell'amore, così mutevole, esaltante e pietoso, descritto a colori smaglianti. Abbiamo la riconferma che per D'A. non poteva esistere altra sincerità fuori del legame fisico con la donna e l'intento di tenersela avvinta per farne materia di sensazioni, esperienze, motivo di ispirazione artistica, nell'unico rapporto possibile di padrone e schiava. Ricompaiono tutti i motivi eterni dell'amore e gli stimoli del godimento: "L'ora fugge, per sempre; la giovinezza fugge, per sempre"; "Non tanto io rimpiango i giorni felici quanto mi dolgo de' giorni che ora passano inutilmente per la felicità"; le vane promesse: "Io ti giuro, per la tua bocca, io ti giuro che ti serberò fedeltà di anima e di corpo, sempre". E anche il tono falso, ben noto: "Oh le rose! E le fontane! E le madonne del Botticelli! E la bocca di Barbarella! E l'ignuda bellezza di Bibli!" e il suo consueto misto di decadentismo e preziosismo: "Così malata e stanca tu mi piaci. Io penso che morta tu raggiungerai il supremo lume della bellezza; esanime ed esangue!", le solite commistioni: "Sogno Roma e languo di nostalgia. Oh piazza di Spagna, divino tepidario cattolico della flirtation!", il credersi unico in tutto: " (l'Amore)... una specie di prodigiosa infermità che fiorisce soltanto nel mio essere". A tratti sgorga la polla della poesia: "È una sera di giugno quieta. Cantano i grilli. L'orto è stellato di lucciole innumerevoli. Gli aranci odorano forte. Il mare tace"; guarda la natura partecipe dei suoi sentimenti: mandando un fiore, dice che "è così profumato che spesso nel calice io trovo qualche insetto morto di voluttà e di ebbrezza". Benché con penna ineguale, è ben viva anche la donna (che si chiama Elvira Natalia Fraternali, nata nel 1862 e andata sposa nel 1884 a Ercole Leoni) con le sue partecipazioni e le sue intuizioni, attentissima: una volta gli scrive (come appare dalle citazioni di sue lettere fatte da D'Annunzio) che egli rappresenta "una commedia ignobile", un'altra volta: "Non so se tu mi ami", e non le pare "spontaneo" quel che le scrive il poeta. Per D'Annunzio arriva infatti il momento della sazietà e della lassitudine; la violenza della passione e delle pagine cede il posto ai dubbi; ai presentimenti, alle accuse; scade la bellezza e la sincerità che l'aveva ispirata. "Io ti perdono il male che mi facesti!" "e le altre, incredibili, parole nell'ultima lettera del poeta, di un moralismo di questa fatta: Sii cauta, nella vita. Fa' che, se mi giungerà qualche notizia di te, io riconosca sempre l'Eletta che amai e che amo sopra tutte". Una storia davvero esemplare dell'amore: incanti della voluttà, perfidia, ipocrisia. V'è poi il problema critico, del rapporto fra alcune opere (San Pantaleone, Il trionfo della morte, Il fuoco, ecc.) e queste lettere. Stretta sempre la connessione, in D'Annunzio, fra biografia ed espressione d'arte, sempre operante l'ambizione di fare della propria vita una opera d'arte; nelle lettere, la passione per la donna e per lo scrivere sembra nascere dalla medesima radice. Molto di quanto è narrato nel Trionfo della morte è trasposizione senza pudore intimo della realtà; Barbara è diventata Ippolita Sanzio; brani di lettere di entrambi sono passate tali e quali nel romanzo ("Ho trasfusa nel mio capitolo l'impressione di freschezza avuta dalla tua lettera"). Ma il nodo del romanzo, amore-morte, la schiavitù dei sensi superata con la morte dei due amanti, non corrisponde alla realtà; anche se nelle lettere fa capolino il desiderio del poeta di morire ("Se i fati vorranno che io non ti abbia, ho già fermamente risoluto di morire. Moriresti tu, con me?", si tratta di un atteggiamento letterario. Mentre l'amore dei due, nella realtà, seguì l'andamento naturale e lo stacco fu imposto dalla donna, nel romanzo essi sono inchiodati a una tragicità interna, a un conflitto superabile solo nella morte, imposta dall'uomo. Evidenti i rapporti delle lettere, anche con altre opere: "passavano i pellegrini andando a Miglianico per la festa di San Pantaleone".

 

Luigi De Bellis