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Scelte dalle 1050 lettere della raccolta di Mario Guabello
(ora proprietà di Bianca Borletti) col criterio di
illuminare l'opera giovanile del poeta, vanno dal 9 giugno
1887 al 15 novembre 1892, e sono state pubblicate a
Firenze nel 1954. Queste 276 lettere sono fra le sue cose
più spontanee, letterariamente stupende, e vi è contenuta
tutta la fenomenologia dell'amore, così mutevole,
esaltante e pietoso, descritto a colori smaglianti.
Abbiamo la riconferma che per D'A. non poteva esistere
altra sincerità fuori del legame fisico con la donna e
l'intento di tenersela avvinta per farne materia di
sensazioni, esperienze, motivo di ispirazione artistica,
nell'unico rapporto possibile di padrone e schiava.
Ricompaiono tutti i motivi eterni dell'amore e gli stimoli
del godimento: "L'ora fugge, per sempre; la giovinezza
fugge, per sempre"; "Non tanto io rimpiango i giorni
felici quanto mi dolgo de' giorni che ora passano
inutilmente per la felicità"; le vane promesse: "Io ti
giuro, per la tua bocca, io ti giuro che ti serberò
fedeltà di anima e di corpo, sempre". E anche il tono
falso, ben noto: "Oh le rose! E le fontane! E le madonne
del Botticelli! E la bocca di Barbarella! E l'ignuda
bellezza di Bibli!" e il suo consueto misto di
decadentismo e preziosismo: "Così malata e stanca tu mi
piaci. Io penso che morta tu raggiungerai il supremo lume
della bellezza; esanime ed esangue!", le solite
commistioni: "Sogno Roma e languo di nostalgia. Oh piazza
di Spagna, divino tepidario cattolico della flirtation!",
il credersi unico in tutto: " (l'Amore)... una specie di
prodigiosa infermità che fiorisce soltanto nel mio
essere". A tratti sgorga la polla della poesia: "È una
sera di giugno quieta. Cantano i grilli. L'orto è stellato
di lucciole innumerevoli. Gli aranci odorano forte. Il
mare tace"; guarda la natura partecipe dei suoi
sentimenti: mandando un fiore, dice che "è così profumato
che spesso nel calice io trovo qualche insetto morto di
voluttà e di ebbrezza". Benché con penna ineguale, è ben
viva anche la donna (che si chiama Elvira Natalia
Fraternali, nata nel 1862 e andata sposa nel 1884 a Ercole
Leoni) con le sue partecipazioni e le sue intuizioni,
attentissima: una volta gli scrive (come appare dalle
citazioni di sue lettere fatte da D'Annunzio) che egli
rappresenta "una commedia ignobile", un'altra volta: "Non
so se tu mi ami", e non le pare "spontaneo" quel che le
scrive il poeta. Per D'Annunzio arriva infatti il momento
della sazietà e della lassitudine; la violenza della
passione e delle pagine cede il posto ai dubbi; ai
presentimenti, alle accuse; scade la bellezza e la
sincerità che l'aveva ispirata. "Io ti perdono il male che
mi facesti!" "e le altre, incredibili, parole nell'ultima
lettera del poeta, di un moralismo di questa fatta: Sii
cauta, nella vita. Fa' che, se mi giungerà qualche notizia
di te, io riconosca sempre l'Eletta che amai e che amo
sopra tutte". Una storia davvero esemplare dell'amore:
incanti della voluttà, perfidia, ipocrisia. V'è poi il
problema critico, del rapporto fra alcune opere (San
Pantaleone, Il trionfo della morte, Il fuoco, ecc.) e
queste lettere. Stretta sempre la connessione, in
D'Annunzio, fra biografia ed espressione d'arte, sempre
operante l'ambizione di fare della propria vita una opera
d'arte; nelle lettere, la passione per la donna e per lo
scrivere sembra nascere dalla medesima radice. Molto di
quanto è narrato nel Trionfo della morte è trasposizione
senza pudore intimo della realtà; Barbara è diventata
Ippolita Sanzio; brani di lettere di entrambi sono passate
tali e quali nel romanzo ("Ho trasfusa nel mio capitolo
l'impressione di freschezza avuta dalla tua lettera"). Ma
il nodo del romanzo, amore-morte, la schiavitù dei sensi
superata con la morte dei due amanti, non corrisponde alla
realtà; anche se nelle lettere fa capolino il desiderio
del poeta di morire ("Se i fati vorranno che io non ti
abbia, ho già fermamente risoluto di morire. Moriresti tu,
con me?", si tratta di un atteggiamento letterario. Mentre
l'amore dei due, nella realtà, seguì l'andamento naturale
e lo stacco fu imposto dalla donna, nel romanzo essi sono
inchiodati a una tragicità interna, a un conflitto
superabile solo nella morte, imposta dall'uomo. Evidenti i
rapporti delle lettere, anche con altre opere: "passavano
i pellegrini andando a Miglianico per la festa di San
Pantaleone". |