Letteratura italiana: Opere di D'Annunzio

   Home        

 

Parliamo di

  Le opere di Gabriele D'Annunzio
Autore critica
Eurialo
De Michelis

 


Notturno
 

Opera scritta nel 1916, nell'immobilità e nel buio cui il poeta era costretto dalla ferita all'occhio conseguente a un volo di guerra, e pubblicata nel 1921. Più che un diario è una ritmata successione di sogni, allucinazioni, sensazioni, movimenti lirici, senza cura di narrativo disegno fuorché talvolta nell'interno di singoli episodi, ma trovando il proprio disegno nello stesso rapido ritmo del trascorrere da visione a visione, da ritmo a ritmo, dall'angusta costrizione della realtà a tutto ciò che ne evade. Il fondamentale impressionismo lirico e visivo, la sensorietà e frammentarietà, sempre impliciti nel prosatore anche dove, da Terra vergine al Fuoco, mirò a un qualche modo di racconto e di costruzione, diventano qui modulo esplicito; e se a ciò abbia cooperato l'esempio delle generazioni più giovani (il futurismo, l'impressionismo vociano, la prosa fra lirica e meditativa che sarà detta "rondista"), è questione che non pregiudica il problema, quanto viceversa quei giovani (e tanto più dunque il D'Annunzio) abbiano dedotto l'esempio dall'urgenza lirica e impressionistica dell'antico D'Annunzio, sempre più rivelatasi come tale nelle Faville del maglio. Una rapidità di trapassi (dice l'"Annotazione" al Notturno) ignota al mio più ardimentoso lirismo" e suggerita dalle stesse condizioni della malattia; così infatti, ciò che era occasione materiale del comporre diventa occasione poetica; parimenti quell'ombra di morte, ombra delle cose invisibili, ombra notturna che già diede nuovi ritmi e toni alla musa solare di Alcione, più si addensa intorno al cruccio del confinato nel buio. "Bellezza della notte, quante volte t'ho perduta!", grida con disperato rammarico, in uno dei movimenti lirici più pungenti del libro. Questo tono cruccioso, anzi disperato, anzi propriamente notturno, dà unità fantastica all'opera; in esso si inseriscono per modularlo i temi funebri, morti invidiate o compiante, corrompimenti cadaverici, ritorni allucinati di spettri, e dinanzi alla morte un'attonita fissità senza scampo neanche di lacrime. Il funerale del compagno giurato, Giuseppe Miraglia, è l'episodio più lungamente tenuto in quest'ordine di pensieri; troppo lungo tuttavia, e di un effetto che riscontrarlo "vero" non significa poeticamente riuscito: proprio perché troppo insiste in quel solo ordine di pensieri. Ma basta un nulla per alzare immediatamente l'episodio a grande altezza lirica; quando, navigando verso il cimitero, lacera d'un tratto la fissità del superstite il ricordo di antiche sere comuni: "Sere d'estate, sere di luna; gondole piene di donne che non eran nostre; malinconia e disdegno". Tale infatti è il fascino sempre risorgente del diario notturno: il ripullulante inserirsi, nel tono funebre che ne costituisce la trama, di altri temi come sua infinita modulazione, tutti i temi del D'Annunzio, riassumibili in uno solo, l'innamorato e sensuale amore della vita sensibile, come pausa, grido, sospiro, illusione, ricordo, risolvendosi in musica. Così, in quest'ombra che incupisce la voce, la stessa giustificazione della sensualità come spirito-senso acquista anch'essa un suono malinconico e cupo, dove l'autocelebrazione persiste ma quasi fatta autocompianto, indicibilmente sui limiti dello specifico approfondimento "umano" (etico) e, invece, dell'incantato trasalire in musica e sogno. Altrettanto deve dirsi dell'inseparabile tema, l'autocelebrazione superumana che qui, nel tempo di guerra, è uno solo col tema eroico, anche quando (l'incendio della Landa) ridiventa pura fantasia e lode della simbolica fiamma. Anche qui importa soprattutto il tono d'ombra che persiste negli episodi eroici (come quello del contadino che, per non rivelare il guado ai nemici, camminando nel punto del guado si piega a poco a poco sino ad affogare), se non altro per quel risospirarli dal fondo amaro del letto, e riassorbe le tonalità più imperiose dell'eccitazione superumana, e per contrario (come anche in Alcyone) il sopravvivere del tono superumano nei luoghi "umani", se non altro come ammirazione della propria umanità, ma a sua volta anch'esso, come il tema sensuale, condotto a una soavità di tocco, quasi di compianto e rammarico di sé: "L'alterezza è sempre pronta a insorgere, ahimè. Una mano dolce e severa la raumilia". Che poi il pericolo di questo atteggiamento sia il languore dolciastro che ebbe il sentimento umano nel Poema paradisiaco e il misticismo nella Contemplazione della morte, ciò si vede soprattutto nelle pagine dedicate alla madre e alla figlia con l'antica cadenza voluttuosa di ben altri amori; ma è un pericolo di singoli luoghi, che non compromette la coerenza fantastica di quelle pagine in complesso. È lo "spiritualizzamento" di cui parla la Licenza; per cui il sentimento come tale sfuma nella musica, più sottilmente e sensualmente sensibile, del sentimento. Altro non occorre dire, come guida alla lettura di questa poeticissima opera; tutta percorsa di gridi lirici, spesso espliciti, più spesso assorbiti, e di un ritmo musicale che, come talvolta si raccoglie in veri e propri ritmi al confine del verso (fra cui fu subito celebre "Essere un bel pino italico - sopra un colle romano" ecc.), così conduce le singole evocazioni a spegnersi in cadenze quasi sussurrate, che ne prolungano l'eco nelle pause; ed è poi la giustificazione musicale di quel comporre a frammenti.

Il Notturno che doveva essere il libro della guerra, la vera contemplazione della morte, è il giornale di un sensitivo costretto al buio. (F. Flora)

-------------

Raccolta di meditazioni e ricordi, in forma di prosa, redatta nel 1916 durante il periodo di immobilità e cecità al quale il D'Annunzio fu costretto in seguito ad un incedente aereo. D'Annunzio le compose scrivendo su cartigli, su strisce di carta (circa 10.000, pare) che in seguito vennero messi in ordine dalla figlia. La prima edizione è del 1916, senza il diretto controllo dell'autore; quella definitiva è del 1921.


Ferito tra feriti

Il Notturno ha una particolare fisionomia nel panorama della produzione dannunziana: é il testo in cui in modo particolare risultano evidenti una componente riflessiva e meditativa, il superamento della tensione superomistica che pervade quasi tutte le altre opere di D'Annunzio, l'esperienza del dolore vissuta come occasione di bilancio della propria vita e di scoperta degli altri.

Confrontata con i moduli abituali del D'Annunzio prosatore questa pagina (e, nel complesso, tutto il Notturno) si distingue per la snellezza e l'essenzialità del periodare, per il prevalere dell'andamento paratattico, per il quasi costante ricorso al tempo presente, che conferisce alla scrittura l'immediatezza di un'esperienza nel suo farsi, e comunica un'impressione di contemporaneità fra enunciato e vissuto.

A spiegare questo superamento dei moduli narrativi precedenti non bastano le motivazioni di ordine pratico (privo della vista, D'Annunzio doveva scrivere su sottili strisce di carta); vale piuttosto la pena di ricordare che dopo i romanzi, già nelle prime Faville del maglio egli si era orientato verso una prosa meno sofisticata, tutta nutrita di memorie e di impressioni; ed inoltre non sono da sottovalutare eventuali suggestioni esercitate su di lui da talune esperienze delle giovani generazioni: ad esempio, certo impressionismo dei vociani e la pubblicazione del Porto sepolto di Ungaretti.
 

 

Luigi De Bellis