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Opera scritta nel 1916, nell'immobilità e nel buio cui il
poeta era costretto dalla ferita all'occhio conseguente a
un volo di guerra, e pubblicata nel 1921. Più che un
diario è una ritmata successione di sogni, allucinazioni,
sensazioni, movimenti lirici, senza cura di narrativo
disegno fuorché talvolta nell'interno di singoli episodi,
ma trovando il proprio disegno nello stesso rapido ritmo
del trascorrere da visione a visione, da ritmo a ritmo,
dall'angusta costrizione della realtà a tutto ciò che ne
evade. Il fondamentale impressionismo lirico e visivo, la
sensorietà e frammentarietà, sempre impliciti nel
prosatore anche dove, da Terra vergine al Fuoco, mirò a un
qualche modo di racconto e di costruzione, diventano qui
modulo esplicito; e se a ciò abbia cooperato l'esempio
delle generazioni più giovani (il futurismo,
l'impressionismo vociano, la prosa fra lirica e meditativa
che sarà detta "rondista"), è questione che non pregiudica
il problema, quanto viceversa quei giovani (e tanto più
dunque il D'Annunzio) abbiano dedotto l'esempio
dall'urgenza lirica e impressionistica dell'antico
D'Annunzio, sempre più rivelatasi come tale nelle Faville
del maglio. Una rapidità di trapassi (dice l'"Annotazione"
al Notturno) ignota al mio più ardimentoso lirismo" e
suggerita dalle stesse condizioni della malattia; così
infatti, ciò che era occasione materiale del comporre
diventa occasione poetica; parimenti quell'ombra di morte,
ombra delle cose invisibili, ombra notturna che già diede
nuovi ritmi e toni alla musa solare di Alcione, più si
addensa intorno al cruccio del confinato nel buio.
"Bellezza della notte, quante volte t'ho perduta!", grida
con disperato rammarico, in uno dei movimenti lirici più
pungenti del libro. Questo tono cruccioso, anzi disperato,
anzi propriamente notturno, dà unità fantastica all'opera;
in esso si inseriscono per modularlo i temi funebri, morti
invidiate o compiante, corrompimenti cadaverici, ritorni
allucinati di spettri, e dinanzi alla morte un'attonita
fissità senza scampo neanche di lacrime. Il funerale del
compagno giurato, Giuseppe Miraglia, è l'episodio più
lungamente tenuto in quest'ordine di pensieri; troppo
lungo tuttavia, e di un effetto che riscontrarlo "vero"
non significa poeticamente riuscito: proprio perché troppo
insiste in quel solo ordine di pensieri. Ma basta un nulla
per alzare immediatamente l'episodio a grande altezza
lirica; quando, navigando verso il cimitero, lacera d'un
tratto la fissità del superstite il ricordo di antiche
sere comuni: "Sere d'estate, sere di luna; gondole piene
di donne che non eran nostre; malinconia e disdegno". Tale
infatti è il fascino sempre risorgente del diario
notturno: il ripullulante inserirsi, nel tono funebre che
ne costituisce la trama, di altri temi come sua infinita
modulazione, tutti i temi del D'Annunzio, riassumibili in
uno solo, l'innamorato e sensuale amore della vita
sensibile, come pausa, grido, sospiro, illusione, ricordo,
risolvendosi in musica. Così, in quest'ombra che incupisce
la voce, la stessa giustificazione della sensualità come
spirito-senso acquista anch'essa un suono malinconico e
cupo, dove l'autocelebrazione persiste ma quasi fatta
autocompianto, indicibilmente sui limiti dello specifico
approfondimento "umano" (etico) e, invece, dell'incantato
trasalire in musica e sogno. Altrettanto deve dirsi
dell'inseparabile tema, l'autocelebrazione superumana che
qui, nel tempo di guerra, è uno solo col tema eroico,
anche quando (l'incendio della Landa) ridiventa pura
fantasia e lode della simbolica fiamma. Anche qui importa
soprattutto il tono d'ombra che persiste negli episodi
eroici (come quello del contadino che, per non rivelare il
guado ai nemici, camminando nel punto del guado si piega a
poco a poco sino ad affogare), se non altro per quel
risospirarli dal fondo amaro del letto, e riassorbe le
tonalità più imperiose dell'eccitazione superumana, e per
contrario (come anche in Alcyone) il sopravvivere del tono
superumano nei luoghi "umani", se non altro come
ammirazione della propria umanità, ma a sua volta
anch'esso, come il tema sensuale, condotto a una soavità
di tocco, quasi di compianto e rammarico di sé:
"L'alterezza è sempre pronta a insorgere, ahimè. Una mano
dolce e severa la raumilia". Che poi il pericolo di questo
atteggiamento sia il languore dolciastro che ebbe il
sentimento umano nel Poema paradisiaco e il misticismo
nella Contemplazione della morte, ciò si vede soprattutto
nelle pagine dedicate alla madre e alla figlia con
l'antica cadenza voluttuosa di ben altri amori; ma è un
pericolo di singoli luoghi, che non compromette la
coerenza fantastica di quelle pagine in complesso. È lo "spiritualizzamento"
di cui parla la Licenza; per cui il sentimento come tale
sfuma nella musica, più sottilmente e sensualmente
sensibile, del sentimento. Altro non occorre dire, come
guida alla lettura di questa poeticissima opera; tutta
percorsa di gridi lirici, spesso espliciti, più spesso
assorbiti, e di un ritmo musicale che, come talvolta si
raccoglie in veri e propri ritmi al confine del verso (fra
cui fu subito celebre "Essere un bel pino italico - sopra
un colle romano" ecc.), così conduce le singole evocazioni
a spegnersi in cadenze quasi sussurrate, che ne prolungano
l'eco nelle pause; ed è poi la giustificazione musicale di
quel comporre a frammenti.
Il Notturno che doveva essere il libro della guerra, la
vera contemplazione della morte, è il giornale di un
sensitivo costretto al buio. (F.
Flora)
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Raccolta di meditazioni e
ricordi, in forma di prosa, redatta nel 1916 durante il
periodo di immobilità e cecità al quale il D'Annunzio fu
costretto in seguito ad un incedente aereo. D'Annunzio le
compose scrivendo su cartigli, su strisce di carta (circa
10.000, pare) che in seguito vennero messi in ordine dalla
figlia. La prima edizione è del 1916, senza il diretto
controllo dell'autore; quella definitiva è del 1921.
Ferito tra feriti
Il Notturno ha una particolare fisionomia nel panorama
della produzione dannunziana: é il testo in cui in modo
particolare risultano evidenti una componente riflessiva e
meditativa, il superamento della tensione superomistica
che pervade quasi tutte le altre opere di D'Annunzio,
l'esperienza del dolore vissuta come occasione di bilancio
della propria vita e di scoperta degli altri.
Confrontata con i moduli abituali del D'Annunzio prosatore
questa pagina (e, nel complesso, tutto il Notturno) si
distingue per la snellezza e l'essenzialità del periodare,
per il prevalere dell'andamento paratattico, per il quasi
costante ricorso al tempo presente, che conferisce alla
scrittura l'immediatezza di un'esperienza nel suo farsi, e
comunica un'impressione di contemporaneità fra enunciato e
vissuto.
A spiegare questo superamento dei moduli narrativi
precedenti non bastano le motivazioni di ordine pratico
(privo della vista, D'Annunzio doveva scrivere su sottili
strisce di carta); vale piuttosto la pena di ricordare che
dopo i romanzi, già nelle prime Faville del maglio egli si
era orientato verso una prosa meno sofisticata, tutta
nutrita di memorie e di impressioni; ed inoltre non sono
da sottovalutare eventuali suggestioni esercitate su di
lui da talune esperienze delle giovani generazioni: ad
esempio, certo impressionismo dei vociani e la
pubblicazione del Porto sepolto di Ungaretti.
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