Letteratura italiana: Opere di D'Annunzio

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Parliamo di

  Le opere di Gabriele D'Annunzio
Autore critica
Eurialo
De Michelis

 


Poema paradisiaco
 

Raccolta di poesie. Gli stati d'animo sospirosi, vàguli, molli, che in senso narrativo diedero vita all'Innocente e già in senso lirico alle Elegie romane, si affermano più che mai in questa raccolta; e l'aver sostituito al lontano esempio del Goethe, com'era nelle Elegie romane, l'esempio dei simbolisti francesi, l'aver lasciato qualunque sforzo o sottinteso di costruzione narrativa, accentua la mollezza sospirosa dei temi, giardini chiusi dove vegliano pallide statue, lacrimose bontà, tristezze ignote, gesti languidi imprecisati e suggestivi. Il libro è pertanto, come risultato poetico, uno dei meno efficaci del D'Annunzio. Tuttavia la ricerca metrica e stilistica, che in tanto languore pur lo sostiene, la lirica di stile prosastico a forza di esser dimesso, i metri singhiozzanti a forza di essere rotti conservano un loro interesse nella storia della poesia dannunziana. L'impasto metrico e sintattico delle Elegie romane si rifaceva ancora al Carducci delle Odi barbare: nel Poema paradisiaco comincia non soltanto il mantrugiamento dei metri antichi dal quale sortirà poi il metro libero delle Laudi del Cielo del Mare della Terra e degli Eroi , ma come vi trova sviluppo il tono languido, che fin dal Canto novo fu l'altro registro del D'Annunzio accanto al tono solare, così vi si trovano "in nuce" il tono, i motivi, gli atteggiamenti, i giri sintattici di quella prima poesia novecentesca; la quale (ispirandosi contemporaneamente al Pascoli e ai modelli francesi da cui deriva il Poema paradisiaco) darà le sue opere più significative nel Libro della sera della domenica (Liriche) del Corazzini e nei Colloqui del Gozzano. Famose nel Poema paradisiaco le poesie per la madre, dove perfino l'affetto filiale si affida, per esprimersi, ai toni languidi e voluttuosi di ben altri amori; tuttavia, in tanta sentimentale falsità, queste poesie sono assai squisite e delicate. Il Poema paradisiaco fu compreso poi nel volume L'orto e la prora, pubblicato nel 1930 nell'Edizione Nazionale delle opere di D'Annunzio.

Se qualcosa di dolce si sente in lui, è stanchezza e tristezza di amore esaurito, della coppa della voluttà vuotata che fa sorgere una vaga malinconia e nostalgia, come specialmente nel Poema paradisiaco e nelle Elegie romane. Se qualcosa di fresco, è il rinnovarsi della vita dopo le crisi nelle convalescenze... Si rinfrescano e si rinnovano le forze sensitive, ma rinasce l'uomo di prima. (B. Croce)

Ritengo veramente originale D'Annunzio del quale tanti son presi, e senza dubbio ci sono pochi scrittori nei quali si scoprano altrettanto prontamente le vacche e gli uccelli della cui carne si sono nutriti. (Unamuno). Qui tutta la tensione lirica del D'Annunzio sbocca nella pura vocalità rimata. (F. Flora)

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Raccolta di liriche composte a partire dal 1891, pubblicata nel 1893; il titolo, dal latino paradisius = giardino, letteralmente equivale a'"Poema dei giardini'. II Poema è costituito da una lirica dedicatoria Alla Nutrice e da 5 sezioni; Prologo ( 5 liriche), Hortus conclusus (9), Hortus larvarum (17), Horutus animae (17), Epilogo (5). In termini un pò schematici si può dire che questa raccolta costituisce il rovesciamento tematico del Canto novo: la natura, privilegiata qui nella sua emblematica dimensione di hortus, di spazio chiuso del giardino, « perde il turgore le espansioni paniche per manifestarsi come atmosfera quieta, un pò sfatta, esausta che si precisa nella scelta dell'autunno e deIl'aprile (Autunno, Aprile, O rus!). Il Dannunzio appare qui alle prese con la tematica decadente, ma segnata di rievocazione nostalgica, con aspirazioni epidermiche a una sorta di purezza e di spiritualizzazione delle passioni, che si traducono in un linguaggio e in una versificazione sapientissimi, accordati su toni dimessi, come di colloquio e di confessione» Per i poeti crepuscolari il Poema ,paradisiaco sarà fondamentale punto di riferimento.

La lirica Consolazione può essere considerata, insieme con la lirica Ai lauri che la precede di un paio di giorni, la capostipite della produzione «buona», vagheggiante, non sappiamo con quanta verità, il ritorno alla vita semplice degli affetti familiari (vedi anche Il buon messaggio). L'impressione che si riceve ad una prima lettura della lirica è quella di trovarsi di fronte a un canto di grande suggestione sentimentale e musicale e nello stesso tempo schietto e genuino: un canto che, per usare le parole quasi programmatiche dello stesso D'Annunzio, è veramente di «una / grazia... vaga e negletta alquanto» (vv. 63-64 ). In realtà, al di là dell'apparente ingenuità sentimentale e sotto l'apparente immediatezza espressiva, la lirica rivela un laborioso studio di immagini e di eleganze e una sapiente e calcolata ricerca di «effetti», tutti volti a irretire il lettore nell'ambiguo e un po' falso sentimentalismo delle cose buone e dei semplici valori familiari. Nel componimento, infatti, il D'Annunzio dispiega tutta una serie di espedienti tecnico-espressivi che sono tipici della stagione «paradisiaca» e che esaltano la sostanza sentimentale, voluttuosa e dolce, tanto da risultare qua e là sdolcinata, della situazione. Le immagini, in primo luogo, sono quelle più atte a far scattare la molla del sentimento e a commuovere la fantasia del lettore. Tutte, inoltre, sono funzionali all'atmosfera morbida e disfatta che il poeta vuole suggerire: la madre vecchia, pallida e stanca, il figlio scapestrato che torna, atteso, dopo tanto tempo, il giardino abbandonato, il «lento sol di settembre», le «cose del passato», « le cattive cose», il «tempo lontano», la «vita semplice e profonda», «la lieve ostia che monda», «il fantasma d'un april defunto», «il pallore di qualche primavera dissepolta», « il cembalo», « le lunghe dita ceree de l'ava», «le tende scolorate», «l'odore di viole un po' passate» e simili. La tecnica, poi, è sorvegliatissima e non meno funzionale: il discorso poetico si snoda piano e lento, libero da ogni durezza sintattica e da ogni preziosismo lessicale, fino ad attingere un andamento da linguaggio parlato che si concilia con lo stato d'animo, languido e disposto al bene, del poeta. Ottimi risultati, in questa direzione, sono già conseguiti con il ricorso frequente agli enjambements e con il ricorso ancora più frequente alla spezzatura del verso mediante brevi proposizioni (anche tre per verso: vedi v. 3: «Vieni; usciamo. Tempo è di rifiorire»). Ma ad accentuare il tono smorzato e voluttuosamente stanco della lirica, contribuiscono soprattutto la ripresa a distanza di interi nessi o di singole parole («Vieni; usciamo» vv. 3 e 5, con «usciamo» ripreso al v. 18; « Ti dirò come sia dolce...» .w. 7 e 13; «certe cose» vv. 8 e 13; «Bisogna che tu...», vv. 23, 25 e 25-26; «Sogna», vv. 29, 33, 37 e 45; ecc.) e la ripetizione, spesso condotta sino all'esasperazione, di parole l'una appresso all'altra («sorriderà, se tu sorriderai», v. 12; «un po' di sole / un po' di sole», vv. 23-24; «l'anima tua sogna. / Sogna, sogna mia cara anima» [con tanto di contrapposizione nella ripetizione, giacché «l'anima tua» e «mia cara anima» si riferiscono sempre alla madre], vv. 28-29; « Io vivrò della tua vita. / In una vita semplice... io rivivrò», vv. 33-35; «Mancava, / allora, qualche corda; qualche corda / ancora manca», vv. 49-51; ecc.). Così operando, non senza sfiorar l'artificio, il D'Annunzio mostra di aver messo a frutto, nel suo sperimentalismo, la lettura dei simbolisti francesi, molte voci dei quali, tra l'altro, risuonano chiaramente nel componimento (vedi vv. 44 e 52).
 

 

Luigi De Bellis