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Raccolta di poesie. Gli stati d'animo sospirosi, vàguli,
molli, che in senso narrativo diedero vita all'Innocente e
già in senso lirico alle Elegie romane, si affermano più
che mai in questa raccolta; e l'aver sostituito al lontano
esempio del Goethe, com'era nelle Elegie romane, l'esempio
dei simbolisti francesi, l'aver lasciato qualunque sforzo
o sottinteso di costruzione narrativa, accentua la
mollezza sospirosa dei temi, giardini chiusi dove vegliano
pallide statue, lacrimose bontà, tristezze ignote, gesti
languidi imprecisati e suggestivi. Il libro è pertanto,
come risultato poetico, uno dei meno efficaci del
D'Annunzio. Tuttavia la ricerca metrica e stilistica, che
in tanto languore pur lo sostiene, la lirica di stile
prosastico a forza di esser dimesso, i metri singhiozzanti
a forza di essere rotti conservano un loro interesse nella
storia della poesia dannunziana. L'impasto metrico e
sintattico delle Elegie romane si rifaceva ancora al
Carducci delle Odi barbare: nel Poema paradisiaco comincia
non soltanto il mantrugiamento dei metri antichi dal quale
sortirà poi il metro libero delle Laudi del Cielo del Mare
della Terra e degli Eroi , ma come vi trova sviluppo il
tono languido, che fin dal Canto novo fu l'altro registro
del D'Annunzio accanto al tono solare, così vi si trovano
"in nuce" il tono, i motivi, gli atteggiamenti, i giri
sintattici di quella prima poesia novecentesca; la quale
(ispirandosi contemporaneamente al Pascoli e ai modelli
francesi da cui deriva il Poema paradisiaco) darà le sue
opere più significative nel Libro della sera della
domenica (Liriche) del Corazzini e nei Colloqui del
Gozzano. Famose nel Poema paradisiaco le poesie per la
madre, dove perfino l'affetto filiale si affida, per
esprimersi, ai toni languidi e voluttuosi di ben altri
amori; tuttavia, in tanta sentimentale falsità, queste
poesie sono assai squisite e delicate. Il Poema
paradisiaco fu compreso poi nel volume L'orto e la prora,
pubblicato nel 1930 nell'Edizione Nazionale delle opere di
D'Annunzio.
Se qualcosa di dolce si sente in lui, è stanchezza e
tristezza di amore esaurito, della coppa della voluttà
vuotata che fa sorgere una vaga malinconia e nostalgia,
come specialmente nel Poema paradisiaco e nelle Elegie
romane. Se qualcosa di fresco, è il rinnovarsi della vita
dopo le crisi nelle convalescenze... Si rinfrescano e si
rinnovano le forze sensitive, ma rinasce l'uomo di prima.
(B. Croce)
Ritengo veramente originale D'Annunzio del quale tanti son
presi, e senza dubbio ci sono pochi scrittori nei quali si
scoprano altrettanto prontamente le vacche e gli uccelli
della cui carne si sono nutriti. (Unamuno). Qui tutta la
tensione lirica del D'Annunzio sbocca nella pura vocalità
rimata. (F. Flora)
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Raccolta di liriche
composte a partire dal 1891, pubblicata nel 1893; il
titolo, dal latino paradisius = giardino, letteralmente
equivale a'"Poema dei giardini'. II Poema è costituito da
una lirica dedicatoria Alla Nutrice e da 5 sezioni;
Prologo ( 5 liriche), Hortus conclusus (9), Hortus
larvarum (17), Horutus animae (17), Epilogo (5). In
termini un pò schematici si può dire che questa raccolta
costituisce il rovesciamento tematico del Canto novo: la
natura, privilegiata qui nella sua emblematica dimensione
di hortus, di spazio chiuso del giardino, « perde il
turgore le espansioni paniche per manifestarsi come
atmosfera quieta, un pò sfatta, esausta che si precisa
nella scelta dell'autunno e deIl'aprile (Autunno, Aprile,
O rus!). Il Dannunzio appare qui alle prese con la
tematica decadente, ma segnata di rievocazione nostalgica,
con aspirazioni epidermiche a una sorta di purezza e di
spiritualizzazione delle passioni, che si traducono in un
linguaggio e in una versificazione sapientissimi,
accordati su toni dimessi, come di colloquio e di
confessione» Per i poeti crepuscolari il Poema
,paradisiaco sarà fondamentale punto di riferimento.
La lirica Consolazione può essere considerata, insieme con
la lirica Ai lauri che la precede di un paio di giorni, la
capostipite della produzione «buona», vagheggiante, non
sappiamo con quanta verità, il ritorno alla vita semplice
degli affetti familiari (vedi anche Il buon messaggio).
L'impressione che si riceve ad una prima lettura della
lirica è quella di trovarsi di fronte a un canto di grande
suggestione sentimentale e musicale e nello stesso tempo
schietto e genuino: un canto che, per usare le parole
quasi programmatiche dello stesso D'Annunzio, è veramente
di «una / grazia... vaga e negletta alquanto» (vv. 63-64
). In realtà, al di là dell'apparente ingenuità
sentimentale e sotto l'apparente immediatezza espressiva,
la lirica rivela un laborioso studio di immagini e di
eleganze e una sapiente e calcolata ricerca di «effetti»,
tutti volti a irretire il lettore nell'ambiguo e un po'
falso sentimentalismo delle cose buone e dei semplici
valori familiari. Nel componimento, infatti, il D'Annunzio
dispiega tutta una serie di espedienti tecnico-espressivi
che sono tipici della stagione «paradisiaca» e che
esaltano la sostanza sentimentale, voluttuosa e dolce,
tanto da risultare qua e là sdolcinata, della situazione.
Le immagini, in primo luogo, sono quelle più atte a far
scattare la molla del sentimento e a commuovere la
fantasia del lettore. Tutte, inoltre, sono funzionali
all'atmosfera morbida e disfatta che il poeta vuole
suggerire: la madre vecchia, pallida e stanca, il figlio
scapestrato che torna, atteso, dopo tanto tempo, il
giardino abbandonato, il «lento sol di settembre», le
«cose del passato», « le cattive cose», il «tempo
lontano», la «vita semplice e profonda», «la lieve ostia
che monda», «il fantasma d'un april defunto», «il pallore
di qualche primavera dissepolta», « il cembalo», « le
lunghe dita ceree de l'ava», «le tende scolorate»,
«l'odore di viole un po' passate» e simili. La tecnica,
poi, è sorvegliatissima e non meno funzionale: il discorso
poetico si snoda piano e lento, libero da ogni durezza
sintattica e da ogni preziosismo lessicale, fino ad
attingere un andamento da linguaggio parlato che si
concilia con lo stato d'animo, languido e disposto al
bene, del poeta. Ottimi risultati, in questa direzione,
sono già conseguiti con il ricorso frequente agli
enjambements e con il ricorso ancora più frequente alla
spezzatura del verso mediante brevi proposizioni (anche
tre per verso: vedi v. 3: «Vieni; usciamo. Tempo è di
rifiorire»). Ma ad accentuare il tono smorzato e
voluttuosamente stanco della lirica, contribuiscono
soprattutto la ripresa a distanza di interi nessi o di
singole parole («Vieni; usciamo» vv. 3 e 5, con «usciamo»
ripreso al v. 18; « Ti dirò come sia dolce...» .w. 7 e 13;
«certe cose» vv. 8 e 13; «Bisogna che tu...», vv. 23, 25 e
25-26; «Sogna», vv. 29, 33, 37 e 45; ecc.) e la
ripetizione, spesso condotta sino all'esasperazione, di
parole l'una appresso all'altra («sorriderà, se tu
sorriderai», v. 12; «un po' di sole / un po' di sole», vv.
23-24; «l'anima tua sogna. / Sogna, sogna mia cara anima»
[con tanto di contrapposizione nella ripetizione, giacché
«l'anima tua» e «mia cara anima» si riferiscono sempre
alla madre], vv. 28-29; « Io vivrò della tua vita. / In
una vita semplice... io rivivrò», vv. 33-35; «Mancava, /
allora, qualche corda; qualche corda / ancora manca», vv.
49-51; ecc.). Così operando, non senza sfiorar
l'artificio, il D'Annunzio mostra di aver messo a frutto,
nel suo sperimentalismo, la lettura dei simbolisti
francesi, molte voci dei quali, tra l'altro, risuonano
chiaramente nel componimento (vedi vv. 44 e 52).
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