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È il primo libro di Gabriele D'Annunzio pubblicato nel
1879, anno nel quale egli aveva tuttavia già scritto
un'ode a Umberto I. Sono tutte odi barbare: non solo i
metri, ma altresì il linguaggio, le immagini, le movenze
sintattiche, qui e là interi emistichi, derivano con
estrema evidenza dalle Odi barbare del Carducci, a cui è
dedicato il secondo componimento. Si può citare d'altronde
una testimonianza dello stesso autore (in lettera del 1880
a Giuseppe Chiarini), che fa risalire alla lettura delle
Odi barbare carducciane, compiuta nel novembre 1878,
l'esplodente vocazione alla poesia da cui nacque Primo
vere. Il libro non passò inosservato, ché Giuseppe
Chiarini, allora critico autorevole, lo segnalò con gran
lode (sul "Fanfulla della domenica", 2 maggio 1880),
nonostante le riserve soprattutto moralistiche, dovute
alla materia in prevalenza sensuale. Tuttavia, se qualche
cosa stupisce ancor oggi nelle esercitazioni
scolasticamente carducciane del poeta sedicenne, non
potrebbero essere luoghi di raggiunta poesia, ma proprio
la libera baldanza con cui nell'austero modello son
riversati contenuti gioiosamente sensuali, e proprio in
questo dannunziani. Anche il frequente paesaggio,
suggerito anch'esso dall'esempio del Carducci, assume in
questo clima tutto un altro spirito. Nel 1880 uscì di
Primo vere una seconda edizione, "corretta con penna e
fuoco e aumentata", in cui alle odi barbare si alternano
composizioni rimate, che risentono ormai non soltanto più
del Carducci, ma altresì dell'esperienza stecchettiana
vissuta nel frattempo dal D'Annunzio nel volumetto In
memoriam Primo vere fu incluso poi dall'autore col titolo
Di grammatica in retorica nell'Edizione Nazionale delle
sue opere (1930) che riproduce l'esatta edizione del 1880.
Molti di questi versi rivelano luminosamente attitudini
alla poesia non comuni. (Chiarini)
Nessuna poesia, dopo quella dei mélici egei, meritò come
questa d'esser chiamata canto. (M.
Bontempelli)
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