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Raccolta, pubblicata nel 1918, di orazioni guerresche,
tenute sul fronte italiano dal novembre 1917 al maggio
1918. In confronto al volume Per la più grande Italia, si
può notare lume una maggiore scioltezza e semplicità
dell'oratore; il che parve da attribuire all'influsso
esercitato su lui dal particolare pubblico su cui voleva
influire, i soldati in arme; ma se è questo, lo è in
quanto veniva incontro alle esigenze propriamente
espressive delle contemporanee prose, dalle Faville del
maglio al Notturno, superato l'impaccio del parlare agli
altri, di arringare per persuadere, egli che, come la
Sirenetta della Gioconda, non sa parlare se non per sé,
"per cantare solamente". Perciò l'alone di pre-poesia o
post-poesia avvertibile in Per la più grande Italia tanto
più lievita la prosa dei nuovi discorsi, in immagini
sempre tremanti d'amore della cara Italia come creatura
amata, del Veneto invaso, "fra tutti i paesi d'Italia...
il più umano, il più dolce a chi l'ama, il più sensibile a
chi lo tocca". Ma se questo è tema vivo della poesia del
D'Annunzio, accade anche a esso tuttavia ciò che accadeva
al tema mistico nella Contemplazione della morte: di
divenire poi mera occasione a un'ebbrezza di
dissolvimento: "Morire non basta", dice il poeta ai
soldati; nel testo è un ovvio richiamo all'energico agire,
in realtà è anelito di donarsi oltre l'ultimo dono: "Ora
comprendete, meglio che leggendo le favole, che cosa sia
trasfigurazione e che cosa sia rapimento". Così acquista
senso lirico quell'indicare il più alto frutto della
guerra in qualche cosa di diverso dagli acquisti
guerrieri: "la grande causa non è la causa del suolo, è la
causa dell'anima, è la causa dell'immortalità".
Naturalmente codesta ebbrezza di sacrificio in se medesimo
amato finisce per esaurirsi applicandolo a una materia di
scottante politica, in funzione esortatoria; onde il senso
delusorio di tante clausole, che sono gridi lirici e si
esprimono come programmi d'azione, vacui fuorché
nell'impeto che li conduce. Perciò, fra le migliori qui
accolte, è l'orazione "Alle reclute del 1899" (e alcuni
tratti dell'altra "Alle reclute del 1900"), condotta al
principio e alla fine in modi espliciti di canto.
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