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È l'ultimo libro di Gabriele D'Annunzio (1863-1938),
pubblicato nel 1936. Raccoglie gli scritti del poeta
durante la guerra etiopica; cominciato dal messaggio in
francese "Ai buoni Cavalieri latini di Francia e d'Italia"
(segue il testo italiano di due principali brani del
messaggio), che ripete atteggiamenti e parole della
"Confessione dell'ingrato" contenuta nell'edizione 1932
del Sudore di sangue in rinfaccio accorato
dell'ingiustizia alla "sorella latina". Perciò riappare
nel libro l'"Ode per la Resurrezione latina", del 1914,
già compresa nei Canti della guerra latina. In quanto
scrittura letteraria, sono notevoli i modi prestigiosi in
cui s'atteggia il messaggio, sviluppati di lì a poco nella
Favola del sordomuto che fu miracolato nell'anno di grazia
1266; non senza qualche buon accento nella rievocazione di
Ernesto Monaci o di Guglielmo Oberdan. Gli altri scritti,
del libro, attinenti più davvicino alla guerra, rinnovano
a loro modo, e cioè nella naturale stanchezza della
vecchiaia, l'ebbrezza lirica della guerra e dell'amore
all'Italia: con continue rivendicazioni (come sempre il
D'Annunzio "politico") di sue parole degli anni vili: dal
Più che l'amore, cui appartiene anche il titolo "Teneo te
Africa", e dalle Canzoni delle gesta d'oltremare. Un altro
schietto motivo si affaccia qui e là, il rammarico di non
poter combattere, cui si unisce la cupa tristezza per la
"turpe vecchiaia" che tenne l'animo del poeta negli ultimi
anni. Motivi di una schiettezza però soltanto psicologica:
semmai, la volontà specifica dell'artista si afferma negli
aspetti meno grati di questi scritti, la gonfiezza
profetica e oratoria, non attenuata ma accresciuta
dall'arguzia erudita; aspetti meno grati, ma rispettabili
all'umano lettore del Canto novo, di Alcyone, del
Notturno, come cenere (per usare un'immagine cara al
D'Annunzio) in cui sono spente le faville ma non il tepore
della "bella fiamma". |