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Atto unico in prosa definito "poema tragico",
pubblicato nel 1899 e rappresentato nel 1905. Come il
Sogno d'un mattino di primavera, di cui nasce
gemello, si propone soltanto di suscitare un vago accordo
di immagini intorno a un paesaggio: il quale è ancora di
voluttà, ma in tono alto anziché basso, dionisiaco anziché
languido; quasi sublimazione enfatica della Femmina
lussuriosa e invincibile quale apparve nel Trionfo della
Morte. Qui è Pantea, la grande Meretrice, che naviga
per il Brenta su una nave d'oro verso Venezia, seguita da
giovani amanti folli di lei: dei quali uno è
disperatamente amato da una donna non più giovane, la
dogaressa Gradeniga, che già per lui uccise il marito, e
ora a forza di sortilegi vuole uccidere la rivale per
sottrarle l'amante. I sortilegi creano il fatto tragico,
ché altri giovani amanti salgono il Brenta per rapire la
Meretrice, e una strage si accende intorno a lei, finché
la sua nave e la sua gente rovinano in fiamme. Come sempre
dove l'immaginazione lussuriosa del D'Annunzio si dispiega
in tono alto, il breve atto è animato più da convulsione
che da vera forza di linguaggio poetico: e tanto meno c'è
rappresentazione, in quanto l'azione si svolge tutta fuori
di scena, raccontata dalle messaggere alla dogaressa.
Perciò l'opera va messa fra le minori del D'Annunzio.
L'abbondanza, la veemenza della sua vena fa pensare a
volte (com'è stato detto) a un poeta orientale, gettato
nel mezzo del mondo europeo moderno. (B. Croce)
Nessuna creatura di D'Annunzio trascende il suo creatore;
nessuna proietta la sua ombra oltre i limiti del finito.
Chiuse da un'inesorabile contorno, esse portano sulla
bocca, conte le figure allegoriche della pittura arcaica,
il loro significato. Il lettore non è mai chiamato a quel
lavoro di collaborazione, che estende sino all'infinito il
valore di un'opera d'arte. È impossibile capire un dramma
o un romanzo dannunziano diversamente da come il
D'Annunzio l'ha capito scrivendolo. (G.A.
Borgese) |