Letteratura italiana: Opere di D'Annunzio

   Home        

 

Parliamo di

  Le opere di Gabriele D'Annunzio
Autore critica
Eurialo
De Michelis

 


Trionfo della morte
 

Terzo e ultimo dei Romanzi della Rosa pubblicato nel 1894. La "rosa" è il tema della voluttà, il medesimo del Piacere e dell'Innocente; che vi raggiunge i suoi sviluppi più intensi, lasciando cadere, come l'autore consapevolmente dichiara nella lettera dedicatoria, l'ovvio sforzo di costruire una favola bene composta, come già nell'Innocente. Ancor più che nel Piacere, quello stato d'animo fascinoso e cupo è in prima persona alla ribalta. Il protagonista del nuovo romanzo, Giorgio Aurispa, è un'altra incarnazione dell'Andrea Sperelli  del Piacere, anch'egli cinico, sensuale, egoista, moralmente inerte e disperatamente lucido nella propria insufficienza morale, avvinto da una passione sessuale per una donna, Ippolita, che gli brucia ogni forza dell'intelletto e della volontà. La sua disperazione carnale gli si raffigura dapprima come gelosia, così di altri uomini che possano desiderare la donna, come dei più fuggevoli pensieri che gliela tengano, accanto sì, ma estranea; e fin dalle prime pagine del libro una suggestione di suicidio e di morte balena in fondo a quella disperazione come unico scampo. Invano tenterà Giorgio di occupare la propria anima di altri affetti; nella stessa casa paterna si ritrova repulsivo a tutto, fuorché all'invito mortale che gli viene dal ritrovato ricordo di uno zio suicida. E la vita in comune con la donna amata, se calma la sua disperazione come gelosia, gliel'acuisce come tormento: per sottrarsi a questo stato non resta a lui che liberarsi della donna. Ma invano chiede Giorgio la liberazione in un tentativo di misticismo religioso e razziale, mescolandosi alla folla idolatra di Casalbordino, invano la chiede alla musica: anche da lì non riceve se non fisico disgusto, o spirituale commozione, ma, in una forma o nell'altra invito alla morte. Talché infine manda a effetto il proposito omicida e suicida, precipitandosi avvinto alla donna in un abisso. Conseguentemente costruito con continui passaggi dagli stati d'animo lieti agli stati d'animo amari, questo romanzo resta anche il massimo sforzo del D'Annunzio di "costruirsi" psicologicamente; e il tono più solito del libro, dove il senso della morte non cede mai al senso della voluttà, né viceversa, è pari all'intento specie nelle pagine della casa paterna, nell'episodio di Casalbordino, che si richiama, con qual che influsso zoliano, alle pagine più feroci del San Pantaleone, e dovunque ritorna il tema dell'angoscia mortale. Per una più completa e vera liberazione nell'arte manca tuttavia ancora una volta il senso di un effettivo (e morale) distacco del poeta dagli stati d'animo rappresentati, che restano meno rappresentati che detti; torbidamente ci si aggira di continuo in essi, ma senza considerarli mai da un punto di vista più alto. Perciò la linea del romanzo è più conseguente nel riassunto che nel testo; dove gli episodi si susseguono agli episodi, irresistibilmente descritti, ciascuno svolto per sé a tutto tondo, perdendo ogni volta il contatto con quanto segue e precede; e la scrittura, rotonda, fastosa, piena di cadenze distese, concorre per conto suo a spegnere in un ritmo livellatore il risentimento doloroso degli stati d'animo descritti. Tuttavia, di là da episodiche bellezze e pesantezze, il libro lascia un'impressione forte, e quel suono sordo e cupo non si dimentica. Curioso è che proprio in questo libro, dove si tratta di un nevrastenico e di un vinto, s'incontra per la prima volta, fin dalla lettera dedicatoria, la celebrazione del Superuomo annunziato dal Nietzsche; celebrazione bensì in modo tutto dannunziano, cioè privo di risonanze etiche, ma soltanto di egoistica e prepotente affermazione di sé.

Egli è gettato nell'oceano delle sensazioni, e, quando non vi nuota placidamente, quando si dibatte per uscirne e crede di afferrare una terra ferma o un'isola, afferra solamente un'onda più alla che lo sbalestra in là. L'elevazione morale sarà in lui un'oscura nostalgia, l'aspettazione di una dolcezza diversa dalle dolcezze già provate; ma egli non riesce mai a possederla, e nemmeno a intravederla o a presentirla. (B. Croce).

Con tutte le sue debolezze, l'opera di D'Annunzio appartiene alla storia dell'arte, e per conseguenza alla storia seria dello spirito, non all'aneddotica delle parodie che lo spirito tentò di se medesimo.
(G.A. Borgese)

 

Luigi De Bellis