|
È il sottotitolo del libro secondo della Penultima ventura
di Gabriele D'Annunzio contenente i messaggi e discorsi
dell'impresa di Fiume, fino al 31 dicembre 1919; uscì nel
1932. Quelli del primo arrivo nella "Città olocausta" sono
i peggiori; il tremito dell'azione appena compiuta è molto
più ebbro che non lo comporti il tentativo di esprimerlo;
l'ebbrezza del D'Annunzio non ha tempo di liberarsi in
poesia, pre-poesia o post-poesia, ha tempo solo di
contemplarsi allo specchio: e smentita certamente dalla
realtà, sembra risonare in accenti futili e vani. Migliori
accenti l'ebbrezza troverà poi, corsa da baleni di riso,
quasi di giovine sfida contro i nemici e la sorte;
frammentaria tuttavia, impedita o deviata nelle estenuanti
alternative in cui si risolveva il folgorante gesto
iniziale: sicché per questa parte quella che rimane la più
alta, quasi favolosa, quasi soltanto un mito di poesia,
fra le azioni belliche del D'Annunzio, non ha
un'invenzione lirica che le sia pari, sia pure soltanto
sul piano dei discorsi delle precedenti raccolte: Per la
più grande Italia, La Riscossa, Il sudore di sangue. O
veramente una ne ha, un discorso che infatti è rimasto
nella memoria di tutti; quello dove non l'ebbrezza si
esprime, o anche l'ebbrezza, ma nella specie dell'aperta
irrisione contro il Capo del Governo italiano, il Nitti,
primo denigratore e nemico della bellissima impresa, al
quale, nelle lotte politiche seguenti, rimase il nomignolo
che in quel discorso gli è dato: "Cagoia". A un tipo
diverso di scrittura, preziosamente decorativa, appartiene
un'altra prosa del libro, che pur si distingue fra le
altre, "Laude della Povertà", scritta per accompagnare
un'offerta di denaro a favore dei poveri di Fiume. |