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Raccolta di frammenti di Gabriele D'Annunzio con un saggio
di Eurialo De Michelis, pubblicata nel 1970. Sotto questo
titolo sono riprodotte tre prose apparse sul "Corriere
della Sera" il 25 febbraio, 3 marzo, 17 marzo 1912 nella
serie Le faville del maglio, sottotitolo "Memoranda".
Diversamente dalle altre però ognuna delle tre recava alla
fine l'indicazione "continua". Alle tre faville fa seguito
una prosa inedita, probabilmente dello stesso periodo che
ne continua il racconto: De Michelis l'ha intitolata "La
quarta favilla". Il quinto testo è il breve inedito "Note
per "la Violante..."" con il sottotitolo "La sera del
solstizio"; seguono le pagine dei "Libro segreto", del
1935, che riprendono e concludono il racconto svolgendo le
"Note". Secondo l'autore le faville avrebbero dovuto
attuare "uno studio della voce umana". Nella prima,
infatti, prendendo spunto da un rilievo di Luca della
Robbia in Santa Maria del Fiore rappresentante cinque
cantori nel pieno della loro attività, D'Annunzio scioglie
un inno alla voce umana e in particolare al piacere che
danno le belle voci: sentite una volta e mai più, esse
colpiscono e rimangono legate ai luoghi che hanno
trasformato. Affiorano i ricordi: una squallida stazione
ferroviaria austriaca acquista calore e bellezza nel suono
di un'argentina voce femminile che ne pronuncia il nome,
una moschea del Cairo si arricchisce di una melodia
infinita nella voce di un giovane lettore di testi sacri
che riporta a epoche e paesi remoti. Innumerevoli i
riferimenti dotti, i suggerimenti eruditi, le divagazioni,
tutte senza note, il che rende spesso difficile la ricerca
delle fonti che d'altra parte non è necessaria perché
citazioni, sentimenti, sogni sono sullo stesso piano come
in una favola. Il tono della favilla è festoso, solo alla
fine compare un primo accenno a un ricordo più bello degli
altri perché più doloroso. La seconda favilla si apre con
un riferimento al Libro segreto della mia memoria che
viene citato altre tre volte. Appare il ritratto della
"donna d'oltremare" sullo sfondo degli agrumi nella serra
della villa "Gli arcipressi": il luogo richiama versi di
Virgilio e la donna è l'incarnazione di Violante,
bellissima figlia e modella del pittore Palma il Vecchio
che ha posato anche per Tiziano, raffigurata in alcuni
quadri di entrambi: ella è straniera, americana, e
D'Annunzio fa una prima ampia digressione sulle belle
donne trapiantate, nelle opere d'arte, lontano dal loro
luogo di origine. La terza favilla è imperniata sulla
figura di Violante. Tra la donna e il poeta si instaura
una gara intellettuale espressa nelle battute del dialogo.
Ella, convinta di un rifiuto, chiede in dono il cane da
caccia a lui più caro, Timbra, ed è esaudita. Descrivendo
gli atteggiamenti della splendida levriera D'Annunzio ne
approfondisce la Psicologia femminea. Mentre la conduce
attraverso i giardini della nuova padrona anch'egli è
rammaricato, titubante, distratto da un'angoscia sottile
che si acuisce al suono della voce della donna, desiderata
e temuta insieme. Violante appare con capelli sciolti,
color Tiziano: che a Timbra appaiono una "criniera
selvaggia". Nella quarta favilla c'è un eccesso di
ragionamenti sull'impossibilità, per il linguaggio
letterario, di riprodurre la vita più profonda dell'animo
e sull'"ars poetica" in genere, che risente probabilmente
delle battaglie futuriste di quegli anni. Questa
digressione sembra voler introdurre il misterioso fatto
annunciato nelle prime faville e non ancora accaduto. Il
tema dei gridi delle rondini, frequente in D'Annunzio, si
carica qui d'ansia: immagini di ferocia nascosta legano
Timbra e Violante, la corsa pazza delle rondini e della
cagna; Timbra e la donna e l'uomo appoggiati l'una
sull'altro. La levriera stringe il nodo di dolcezza e di
irrequietudine che, abbandonato ogni gioco intellettuale,
unisce i due: "Era l'amore?" egli si chiede voltandosi a
guardare la donna. La vicenda è composta come un
susseguirsi di eventi eccezionali, rivelatori; vengono
registrati anche i particolari più minuti, prevalgono i
colori, le luci. L'episodio, come nota De Michelis, si
apre e si chiude su un indefinibile presentimento di
dolore, è pervaso da un'inquietudine che, al di là della
ragione, esprime la condizione dell'uomo in balia degli
eventi. Le "Note per "la Violante..."" ricominciano a metà
della terza favilla: il poeta rientra alla Capponcina
pensando alla donna; probabilmente egli torna a distanza
di anni su temi già svolti per rifarli e concludere la
storia. Nel Libro segreto, D'Annunzio riassume brevemente
le tre faville riprende la "quarta" con alcune varianti e
interpolazioni, svolge le "Note" ed espone la conclusione
della vicenda. Ma, ripreso a tanti anni di distanza, con
la volontà di terminare il racconto, il rapporto tra
Violante e il poeta scade in ovvi motivi sessuali e i
fatti diventano l'unico materiale nel Libro segreto. La
nuova impostazione falsa quella originale dettando
digressioni del tutto incoerenti. Il dono richiesto dalla
donna diventa un pegno d'amore e i due si danno un preciso
appuntamento per la notte. Il poeta, a casa, descrive le
cure che dedica al corpo, il bagno, il pranzo e inserisce
una macchinosa digressione afrodisiaca. La catastrofe
esplode tra corse, grida, azioni realistiche: Timbra,
gelosa di essere stata sacrificata alla donna, in cambio
delle sue affettuosità, le dilania a morsi il bellissimo
viso. Il concetto di Solstizio, rimasto imprecisato nelle
"Note", è qui spiegato: nella superstizione dell'autore,
il solstizio di giugno, in cui è accaduto il tragico
fatto, è la data che il destino gli ha assegnato. La
conclusione mescola toni realistici e visionari con
risultati infelici. Nell'ampio saggio De Michelis espone
dettagliatamente le vicende compositive e confronta le
varianti dei testi della "Violante". In polemica con
Mariano, e soprattutto con Capasso, egli coglie il pregio
delle faville nel loro libero divagare dentro e fuori del
racconto, nelle sensazioni minutamente scrutate e
accostate a immagini culturali. La poesia del
"particolare" era impedita dal desiderio di fare il
romanzo. Il difficile era passare dallo stato d'animo
svagatamente incantato alla descrizione di un grosso
fattaccio. Sottolineando il carattere per nulla narrativo
di questi testi il critico attribuisce la loro
incompiutezza alla difficoltà, che D'Annunzio incontrò
sempre, di sintetizzare la storia in un racconto.
A. Bon. |