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Romanzo incompiuto pubblicato in parte tra il 1938 e il
1941 su "Letteratura"; edito in volume con un saggio
introduttivo di G. Contini nel 1963 e, con l'aggiunta di
due brani inediti, nel 1970. In un paese immaginario
dell'America del Sud, appena uscito da una lunga guerra
contro un paese vicino, l'ingegnere hidalgo Gonzalo
Pirobutirro dà libero sfogo ai suoi rancori. Rinchiuso
nella vecchia dimora avita dai muri screpolati e dai campi
ormai sterili, s'abbandona ad attacchi d'ira contro il
mondo che lo circonda: i "peones" ladri e ubriaconi, i
piccoli borghesi che sfruttano le dissolutezze del popolo
per assecondarne i vizi, gli arricchiti di guerra, i
militari bellicisti, gli uomini d'affari che spiano la
rovina dei nobili per depredarli. La sua collera non
risparmia neppure la madre, che egli picchia, insulta,
umilia accusandola di lasciarsi imbrogliare dal suo buon
cuore, dal suo orgoglio di madre e di nobile, dalla sua
preoccupazione di conservare la villa, anche a costo di
portare alla rovina la famiglia. Ultimo degli
individualisti e ultimo dei Pirobutirro, Gonzalo rifiuta
la protezione dell'Istituto di vigilanza notturna,
incaricato di sorvegliare i possedimenti dei grandi
proprietari terrieri del paese, così come respinge i saggi
consigli del dottore che vede in lui un ottimo partito per
una delle sue numerose figlie. Il racconto, rimasto
incompiuto, doveva continuare con la fuga di Gonzalo e
l'assedio alla sua proprietà da parte degli uomini
dell'Istituto di vigilanza notturna. La madre sarebbe
morta durante l'assedio con il sospetto che Gonzalo fosse
stato l'istigatore dell'aggressione. Il "dolore" di
Gonzalo è quello dell'intellettuale lucido, il cui rifiuto
del mondo in cui vive può giungere fino al desiderio di
autodistruzione e di annullamento totale; nello stesso
tempo, la sua sofferenza è parte di una sofferenza
universale, legata all'infanzia e al carattere passionale
della "madre" italiana. In questo libro violento e
grottesco, satirico ed esasperato, Gadda mette in gioco,
con una raffinatissima operazione espressionistica, una
pluralità di livelli e di codici linguistici (dall'aulico
al colloquiale, dal tecnico al dialettale) accostati con
effetti di straniamento, in un continuo processo di
deformazione e arricchimento della fissità della lingua
comune. Il plurilinguismo gaddiano, il "pastiche"
linguistico, non è però pura operazione formale. La realtà
è caos disarmonia, dice l'autore: la scrittura polisemica
di quest'opera che ha inciso profondamente sugli sviluppi
della letteratura italiana, non fa che rendere,
poeticamente, la drammaticità dell'esistenza.
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Intreccio
Il libro si apre con un ampio primo capitolo a carattere
storico-ambientale che narra la situazione del Maradagàl,
dove un potente Nistitùo de Vigilancia para la Noche
assolda i reduci della guerra contro il Parapagàl per
vigilare sulle ville dei possidenti (cui vengono dedicate
pagine assai gustose). IL discorso cade quindi sul
dottore, che un giorno viene chiamato alla villa
Pirobutirro per una visita a Gonzalo. Di Gonzalo, sul cui
conto il dottore rievoca pettegolezzi e dicerie, viene
tracciato un impietoso e incomprensivo ritratto: si
narrano le sue stranezze, le sue manie, e si crea suspense
insistendo sul fatto che la Signora (sua madre) abbia
paura di lui. Il secondo capitolo sviluppa motivi
analoghi: il dottore si incammina verso la villa, incontra
una contadina, tale Battistina, che descrive la paura
della signora nei confronti del figlio che le guarda in
modo sinistro gli orecchini di brillanti e ha terribili
accessi d'ira, e la minaccia. Giunto alla villa il medico
incontra finalmente Gonzalo. Il capitolo terzo è tutto
dedicato alla visita (constatata l'assenza di ogni «male
visibile», il dottore non comprende che ad affliggere il
paziente è un «male invisibile») e ai discorsi del medico,
che insiste perché il paziente compia una gita in macchina
con lui e sua figlia Pepita, e di Gonzalo che è inorridito
dalla proposta e avrebbe invece bisogno, forse, di trovare
una parola di conforto e comprensione. Sta di fatto che i
discorsi di Gonzalo introducono il suo punto di vista su
alcuni motivi (sue manie e fobie) precedentemente
affrontati: egli teme per l'incolumità della vecchia
madre, che la notte spesso rimane sola in villa, detesta i
peones di cui ella si circonda, cova del rancore per la
prodigalità di lei, è ossessionato dall'idea della villa e
del muro che ne delimita il possesso, ecc. Il capitolo
quarto prosegue lo scandaglio dell'animo di Gonzalo: egli
appare preoccupato per la solitudine della madre, ma si
mostra restio ad accettare l'idea di pagare il Nistitùo
perché sorvegli la villa.
La seconda parte si apre con un primo capitolo in cui
domina la figura della madre, di cui si adotta il punto di
vista: anch'ella è in preda all'angoscia, per la
solitudine, la vecchiaia, il ricordo del figlio morto in
guerra, la presenza inquietante dell'altro figlio, di cui
è tracciato un ulteriore, cupo ritratto spirituale. Nel
secondo capitolo madre e figlio si incontrano: si
approfondiscono i motivi della reciproca incomprensione e
dell'incomunicabilità. Poi secondo il punto di vista di
Gonzalo si apre un'ampia divagazione sulla società
maradagalese, sul disordine del mondo sociale. Il terzo
capitolo è dedicato ancora ai rapporti tra Gonzalo e la
madre e all'approfondimento del «male oscuro» di lui: egli
vorrebbe mostrare l'affetto che al fondo lo lega alla
madre; l'abbraccia; ma l'arrivo di un oltraggioso peone in
casa ne scatena l'ira violenta. Si rievocano altre
consimili scene di violenza (Gonzalo calpesta un ritratto
del padre). Nel capitolo quarto si narra di un furto in
casa del cavalier Trabatta, che non si era voluto
associare al Nistitùo, e che ora assolda due baldi giovani
perché vigilino sulla sua villa. Un giorno una riunione di
villici nella villa di Gonzalo è sentita da questi come un
intollerabile oltraggio, una profanazione del proprio
luogo di solitudine e di dolore. Gonzalo ne è prostrato ed
esacerbato («Nella casa, il figlio, avrebbe voluto
custodita la gelosa riservatezza dei loro due cuori soli.
L'ira lo prese. Ma la constatazione di quella pluralità
sconcia lo vinse: si senti mortificato, stanco»), un
«disperato dolore» lo invade, perde il controllo, minaccia
la madre («Avrebbe voluto inginocchiarsi e dire:
"perdonami, perdonami! Mamma, sono io!". Disse: "Se ti
trovo ancora una volta nel braco dei maiali, scannerò te e
loro"») e quindi parte. Nel quinto e ultimo capitolo si
narra come la Signora venga scoperta moribonda nella
villa, dopo aver subito una misteriosa aggressione. Qui il
romanzo si interrompe.
Strutture e tecniche narrative
La descrizione dell'intreccio mostra come uno dei
procedimenti più significativi del romanzo sia
l'alternarsi di diversi punti di vista che concorrono
tutti a tracciare un ritratto poliedrico e problematico di
Gonzalo, il protagonista alter ego dello scrittore (punti
di vista del medico e per suo tramite di vari villici,
della Battistina, della madre, di Gonzalo stesso). Lo
stesso espediente (la drastica divergenza dei punti di
vista) appare funzionale a rappresentare uno dei motivi
principali del romanzo, la disperata solitudine del
figlio, frutto di incomunicabilità e incomprensione con la
madre e col mondo intero (ma da subito è chiaro ad esempio
che il medico non capisce Gonzalo: «Il figlio della
signora lo attendeva! Probabilmente per un nulla, per una
delle solite ubbie: come poteva essere la fifa di
morire... Ma se stava da papa!»). Il sistema dei
personaggi si struttura di conseguenza su un rapporto di
molteplice antagonismo di Gonzalo con tutta o quasi la
schiera di personaggi che ruotano attorno a lui e allo
spazio simbolico della villa: più drastico e irrimediabile
è il rapporto conpeones, villici, rappresentanti del
Nistitùo e della società maradagalese variamente evocati;
più contraddittorio (perché comprende un desiderio, in
Gonzalo, di apertura e di contatto, però costantemente
represso e frustrato) è il rapporto col medico, chiamato
in villa forse nella speranza di riceverne conforto (ma
forse solo per sedare l'ipocondria), e naturalmente con la
madre. Nei confronti di questa si evidenzia un rapporto di
amore-odio, attrazione-repulsione, che si fonda
soprattutto su oscuri traumi infantili rinnovati
simbolicamente dal rapporto che essa instaura con i peones
di cui si circonda e che perpetuamente violano lo spazio
al tempo stesso detestato e sacro della villa. Da notare,
sul piano delle strutture temporali, le analessi
sull'infanzia di Gonzalo: «una infanzia malata»,
caratterizzata da «una sensitività morbosa, abnorme», da
«un ritardo nello sviluppo», che determina la convinzione
«di essere un deficiente», e dalla povertà, dalla carenza
d'affetto, da numerose manie e fobie (motivi rievocati
soprattutto al capitolo n, 4). Tali analessi aprono una
prospettiva su un'epoca in cui il rapporto madre/figlio,
nel computo di debolezze e violenze, appare capovolto, per
la fragilità del bimbo e l'indifferenza della donna
(allora giovane e ambiziosa, quant'è ora vecchia e
indifesa). La dimensione spaziale poi è caratterizzata -
come detto - soprattutto dalla presenza ossessiva della
villa: spazio chiuso (motivo ricorrente: il muro di cinta)
sia perché Gonzalo vorrebbe farne un sacrario del proprio
dolore, sia perché tutti guardano alla villa come luogo
della diversità, della malattia, delle tenebre; ma anche
spazio violato, sia nella prospettiva soggettiva di
Gonzalo per l'irruzione dei peones, sia in assoluto per
l'omicidio che vi viene compiuto. La villa poi si colloca
in un contesto caotico di molteplici ville protette e
minacciate dalla presenza del Nistitùo (organizza furti
contro i non associati a scopo intimidatorio, come accade
al Trabatta; del resto è simbolo del Partito Fascista). Il
tutto a sua volta in un contesto sudamericano (il
Maradagàl) che rimanda in modo trasparente alla Brianza.
Motivi
Tutti i motivi principali della Cognizione del dolore
ruotano attorno al grande tema autobiografico gaddiano del
"male oscuro" di Gonzalo, che determina la conflittualità
di Gonzalo con se stesso, con la madre e col mondo intero.
Analizzarli significa ripercorrere l'intero romanzo. Fra
quelli già evidenziati qui sopra e in Profilo, 32.2
ricordiamo: l'incomunicabilità, la solitudine,
l'oltraggio, l'ira, la villa, la madre, il padre («bozzoliere
fallito»),l'infanzia malata, l'educazione rigida («I suoi
educatori erano stati grandi e soprattutto perspicaci e
sensibili, come tutti gli educatori. Sparta: detta anche
Lacedémone...»), il mondo e la società come disordine e
garbuglio (cui vengono dedicate anche qui pagine
memorabili), gli aspetti più bassi e degradanti del reale,
ecc. Ma sarebbero anche da sottolineare vari altri motivi
ricorrenti, come quello del geloso "possesso", concepito
da Gonzalo, a differenza della madre e della società
maradagalese dei nuovi ricchi, con spirito antiborghese e
attitudine nevrotica: esso si lega ai motivi della
villa-sacrario e del muro, come simbolo del possesso
privato e barriera psicologica contro l'irruzione del
mondo esterno, e a quello del denaro che ad esempio
Gonzalo non vuol spendere per pagare il Nistitùo affinché
protegga la villa, nell'oscura consapevolezza che il
Nistitùo come il resto della società e delle istituzioni
succhia denaro per restituire disordine, soprusi,
oltraggi, nella totale disattenzione della legge, e anzi
in una caotica confusione e connivenza tra presunti tutori
dell'ordine ed eversori, tra guardie e ladri. Quest'ultimo
aspetto prelude ad un possibile scioglimento secondo cui
ad assalire la madre sarebbero gli stessi rappresentanti
del Nistitùo per intimidazione nei confronti dei non
aderenti.
Dall'introduzione di Gian
Carlo Roscioni alla Cognizione del dolore riportiamo
alcune considerazioni che illuminano le componenti
autobiografiche del romanzo gaddiano.
Romanzo o autobiografia? La disposizione a registrare in
una cronaca minuta gli incidenti della vita quotidiana,
con lo spirito - si direbbe - di chi accumuli elementi di
prova da esibire in un futuro, inevitabile processo, e
d'altro canto il gusto dell'autoritratto, lo studio dei
modi in cui si manifesta la propria presenza fisica nel
mondo hanno da sempre accompagnato in Gadda l'esercizio
della scrittura. Ma con il passare degli anni la tendenza
all'autoanalisi e all'autorappresentazione sembra far
luogo alla ricerca dell'autobiografia vera e propria:
«questa generazione - scrive nel 1930 - [...] non ha
ancora dato alle stampe la sua splendida pagina
autobiografica». E nel 1937, rievocando l'atmosfera con
cui era stato festeggiato un premio letterario, si chiede:
«Ma si presenti il caso d'una tragica autobiografia, di un
dialogo gnoseologico, di un invito all'ascesi? Come
laureare il martire fra libazioni e salamini?».
In verità la sua autobiografia, allora in gestazione,
avrebbe potuto, sebbene tragica, essere salutata anche con
libazioni e salamini; sarebbe stata infatti calata nelle
forme di un romanzo dai molteplici connotati comici, cosí
come il ritratto del «martire» elaborato in un tono e in
uno stile «misti», che implicano un frequente ricorso al
grottesco: «E se poi dovessi dipinger me stesso? - si
legge in un testo del 1924 - Oh allora non basterebbe
nemmeno la mia propria tavolozza: ho il violetto e
l'indaco, il bleu e il verde, ma mi mancano il cioccolato
e l'arancione». « La mia biografia - ha scritto Gadda in
Una tigre nel parco (1936) - è ricchissima di deliziose
preconferme delle "analisi" degli specializzati e alle
loro complesse sistemazioni dottrinali. Tanto che mi era
venuta ad idea una possibile "collana" delle manie del
signor X.Y.Z. (che sarei poi io) descritte per modo da
farle regredire ognuna alla rispettiva crisi infantile».
Se la «collana» non fu realizzata, l'analisi delle manie e
dei peccati veniali o capitali («tutti e sette») del
signor X.Y.Z., divenuto per l'occasione Gonzalo
Pirobutirro è diffusamente svolta nella Cognizione; quanto
alle crisi infantili, esse vengono tutte ricondotte alla
«prova difettiva di natura» che la madre del protagonista
crede di riconoscere nel corpo del suo primo nato. [...]
Chi sono i genitori del figlio «difettivo»? Il padre di
Emilio - si legge nella Madonna dei Filosofi (1928) -
«commerciante rovinato, o industriale che fosse», era
caduto in miseria per certi «esperimenti di coltivazione
del baco da seta, più elegantemente filugello, tentati in
una regione dove nessuno ne vuol sapere, né della seta, né
del baco, né del bòzzolo, né della crisalide, né di altri
fastidiosi lepidotteri»; ma più ancora « si era rovinato
con una sua casa di campagna, che aveva edificato nella
boscaglia, in un terreno attiguo ai possessi del
Castelletto, e che era stata per anni la miseria della
famiglia: non contento di aver propositato per costruirla,
a ogni primavera ci aggiungeva un muro, o un fosso, o un
cancello, o un rustico, o un portico, o un tabernacolo,
pur di vedersi i muratori d'attorno. È superfluo
aggiungere che in quella casa non era possibile [...]
starci d'inverno. E anche d'estate, imperversando certi
strattempi indiscutibilmente paesani che, più propri del
Varesotto, della Brianza e del Bergamasco, arrivano
tuttavia a raggiunger qualche volta "la bassa", non era
difficile di trovar la casa buia e allagata, sotto lo
schianto dell'uragano». Questa casa non è solo il teatro
della Cognizione, mala causa e il pretesto della
principale «mania», del delirio più ossedente del
protagonista. «La sua biografia - diceva Gadda di se
stesso in un'intervista apparsa nell' "Ambrosiano" del 10
luglio 1934 - si completa con un accenno alla casa di
campagna (Villa in Brianza) che è la bestia nera della sua
psicosi».
La madre, nemmeno a dirlo, è quella del Giornale di Guerra
e di prigionia: una donna che «ha fatto infiniti, troppi
sacrifici» per i suoi figli, ma che «in certe cose, non ha
sufficiente oculatezza amministrativa»; anzi «è famosa per
spendere male i denari: per lasciarsi vincere nei
contratti». Quel ch'è peggio, essa prodiga, a discapito
dei figli, la sua generosità agli estranei e ai
profittatori: «Tanti sacrifici fa: e tanti si assume
volontariamente per esser troppo buona coi porci fottuti».
L'animo del figlio si accende di rancore per
l'attaccamento che essa manifesta, con la «caparbietà dei
maniaci», verso la villa in Brianza («irritazione contro
la Mamma che non vuol saperne di vendere la casa di
Longone e di liquidare l'appartamento qui, mentre noi
versiamo in tali strettezze»), anche se la comprensione e
la compassione subentrano al pensiero dell'atroce lutto
che l'ha colpita: la guerra le ha infatti portato via il
figlio minore e non difettivo, «il piú caro, il piú
bello». Questo dolore suggerirà anche una piú pietosa
interpretazione del rifiuto di vendere la villa («La madre
non volea lasciare la casa, poiché vi aveva nutrito e
allevato "tutti" i suoi figli», dice «una favola» di
Gadda); ma spesso il risentimento tornerà a prevalere
sull'«innato amore» che tante delusioni hanno avvelenato.
«Con la Mamma fui cattivo e prevedo che sarò sempre,
perché troppe divergenze abbiamo su tutto». Chi abbia
presenti queste notazioni, riconoscerà subito la
proiezione delle vicende da esse registrate in numerose
pagine del Gadda narratore. [...]
Ma l'eco piú lunga delle esperienze documentate dal
Giornale di Guerra si farà sentire in un'altra direzione:
la delusione provocata, anzi simboleggiata
dall'atteggiamento della madre verso la casa (essa «vuol
piú bene ai muri di Longone, alle seggiole di Milano, che
a me»... ), si insedia per sempre nella memoria del
cronista e del narratore, gli ricorda la propria infanzia
di creatura difettiva «cui non risere parentes», oggetto
di un'educazione patologicamente sofferta («la
disperazione mi chiamava, chiamava, dal fondo de' suoi
deserti senza carità»), si fa causa e fomite di deliranti
immaginazioni. |