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Il
dolore la villa, il dissesto familiare
Carlo Emilio Gadda nacque a Milano nel 1893 da Francesco
Ippolito e Adele Lehr (di origine ungherese). L'infanzia e
la prima giovinezza sono caratterizzate da una serie di
eventi traumatici, che torneranno ossessivamente come
motivi della sua opera e che hanno per protagonisti i
familiari. Il padre, innanzi tutto, prima dipendente, poi
socio di una ditta tessile milanese nel 1899, quando Carlo
Emilio ha sei anni, decide la costruzione di una villa a
Longone al Segrino, in Brianza, per la quale spende un
patrimonio; il fatto, assieme a un'infelice speculazione
relativa alla coltivazione dei bachi da seta, determina la
rovina economica della famiglia. Così la rievoca Gadda:
«Il commerciante aveva avuto il torto di rovinarsi: in
parte con gli esperimenti di coltivazione del baco da
seta, più elegantemente filugello, tentati in una regione
dove nessuno ne vuol sapere, né della seta, né del baco,
né del bòzzolo, né della crisalide, né di altri fastidiosi
lepidotteri [...]. In parte poi si era rovinato con una
sua casa di campagna, che aveva edificato nella boscaglia
[...] e che era stata per anni la miseria della famiglia:
non contento di avere spropositato nel costruirla, a ogni
primavera ci aggiungeva un muro, o un fosso, o un
cancello, o un rustico, o un portico, o un tabernacolo,
pur di vedersi i muratori d'attorno. È superfluo
aggiungere che in quella casa non era possibile di
prendere un bagno [...], né di starci d'inverno». Il
dissesto economico della famiglia determina gravi
ristrettezze, che incidono profondamente su Carlo Emilio:
«ho patito la fame, da bimbo, la fame!... Con la maglia
rattoppata... i geloni ai diti... i piedi bagnati nelle
scarpe... i castighi. perché i diti gelati non potevano
stringere la penna».
La madre, poi, è colei che dopo la morte del marito (1909)
manda avanti la famiglia a prezzo di gravi sacrifici e
consente ai figli di studiare, ma è anche agli occhi di
Gadda (che a lei è legato da un torbido rapporto di
amore-odio) colei che nella villa decrepita vede un
assurdo status symbol, che sperpera i pochi denari,
mostrandosi avventatamente generosa nei confronti dei
popolani che la circondano e poco sollecita ai bisogni
materiali e psicologici dei figli, colei che più tardi
tarperà la sua carriera letteraria inducendolo a prendere
malvolentieri la laurea in ingegneria. La scuola e gli
educatori infine, rigidi, severi, «dementi» costituiscono
un altro scoglio di un'infanzia e poi di un'adolescenza
difficili in una persona, come lui, che già si
caratterizza per una «sensitività morbosa, abnorme»,
incline ad esasperare le umiliazioni e a coltivare oscuri
rancori nei confronti di tutto e tutti, già prossimo a
quella profonda nevrosi che caratterizzerà tutta la sua
vita e che per molti versi è all'origine della sua stessa
scrittura letteraria. Così, all'incirca, nasce quel «male
oscuro» di cui Gadda mirabilmente parlerà nella Cognizione
del dolore, la più bella e terribile delle sue opere.
Il garbuglio: la guerra e il caos
del reale
Alla "cognizione del dolore" e al personale "garbuglio"
interiore che determina il "male oscuro", cioè al nucleo
di esperienze traumatiche che caratterizzano la sua vita
sin dai primi anni, Gadda associa subito uno sguardo
perplesso e inorridito sul mondo esterno: presto scopre «
la vacuità, la stupidità, l'ipocrisia del vivere sociale
del suo tempo» (Ferrero) e il disordine, il "garbuglio"
della realtà tutta. La sua inclinazione è quella di vivere
non solo la famiglia ma il mondo intero come un oltraggio
fatto al buon senso, alla logica e a lui personalmente. In
questo senso è determinante soprattutto la sua
partecipazione alla prima guerra mondiale, la cui cronaca
affida al Giornale di guerra e di prigionia. Gadda è un
convinto interventista, sia pure sui generis: «nella
guerra, nell'eroismo, nel sacrificio Gadda vede l'unico
modo di sottrarsi ad una sorte mortificante e mediocre, di
dare senso e pienezza alla sua vita "orribilmente
tormentata" di escluso, "di ferito, di smarrito, di
povero", "umiliato dal destino" e "sacrificato alla
inutilità", gravato dal peso intollerabile della
declassazione e dalla sofferenza psichica» (Baldi). Per
queste ragioni personalissime egli inclina a vedere come
altri interventisti nella guerra « la sola igiene» se non
del mondo almeno dell'Italia e sua personale. Mala guerra
è per lui anche un ideale e un progetto di ferrea
disciplina e autodisciplina, di ordine, che l'esperienza
concreta frustra terribilmente: egli si attende, da un
lato, che il tuffo nella vita militare lo rigeneri, gli
dia quella forza di cui si sente privo, lo liberi dalle
angosce e dalle frustrazioni personali e, dall'altro, che
la vita militare e quell'impresa siano un meccanismo
perfetto. Ma l'esperienza al fronte si dimostra un
fallimento, sia per la totale disorganizzazione e
insipienza con cui ai suoi occhi la guerra è condotta, sia
perché egli si vede risprofondare nella rabbia impotente,
nell'indolenza, nella nevrosi: l'esperienza del garbuglio,
del pasticcio, del disordine del "fenomenico mondo" e del
"male oscuro" si rinnova più acre che mai. E si rinnovano
le umiliazioni: la cattura e la prigionia sono vissute con
il senso di una personale disfatta.
Al rientro in patria lo raggiunge la notizia della morte
del fratello aviatore, abbattuto in combattimento: è un
dolore acutissimo, che gli rinnova il senso della propria
inferiorità e «difettività» (come dirà nella Cognizione),
e gli fa pensare che con il fratello sia morta la parte
migliore di sé. Si complica ulteriormente il rapporto con
la madre, cui imputerà il dolore per la morte del «figlio
migliore», che egli interpreta anche come segno di un
minore o scarso amore nei propri confronti.
Fascismo e antifascismo viscerali
Nel dopoguerra Gadda manifesta un'iniziale adesione al
fascismo, nella speranza che si tratti di un effettivo
ritorno all'ordine da lui tanto auspicato e un riscatto
per l'Italia offesa. « È l'adesione del liberale
conservatore deluso, che ha il culto del passato classico
e risorgimentale e sogna una "vivente patria" ordinata,
efficiente, laboriosa, capace di compiere eroicamente il
proprio dovere, e che, dinanzi allo scacco subito dalle
sue illusioni nell'esperienza della guerra e del
dopoguerra, si aggrappa al fascismo come sola alternativa
possibile» (Baldi). Ma Gadda è anche diffidente e ben
presto scopre la realtà, scopre il disordine,
l'irrazionalità, le ipocrisie che si celano dietro al
fenomeno: l'adesione si converte, come sempre in lui, in
reazione rabbiosa, a lungo covata dentro, che trova
espressione in vari accenni in testi narrativi editi ma
soprattutto in Eros e Priapo (scritto o abbozzato forse
già nel 1928, ma edito per intero solo nel 1967). Gadda
d'altronde non oppone al fascismo un'ideologia
progressista (non può, per una pervicace visione negativa
del reale), ché egli è forse, ancor più che un
conservatore, un reazionario che idealizza un passato
mitico, astratto, un universo ideale, luogo di armonia e
ordine sociale.
Ingegnere, filosofo, scrittore
In concreto nel dopoguerra Gadda per un verso svolge
attività legate alla sua qualifica di ingegnere che lo
portano prima in Argentina tra il 1922 e il 1924, poi a
Roma dal 1925. Per altro verso, riprende gli studi
filosofici avviati prima della guerra, giungendo a
stendere la tesi di laurea che poi però non discuterà
(frutto di questi interessi filosofici è soprattutto la
Meditazione milanese del 1928, in cui egli fa il punto
sulla propria concezione del mondo), e pubblica i primi
scritti letterari su « Solaria». La prima opera pubblicata
in volume è La Madonna dei filosofi (1931); segue IL
castello di Udine (1934), che vince il premio Bagutta. Ma
Gadda lavora anche ad altro senza pubblicarlo e senza
portarlo a termine o pubblicandone solo dei frammenti
(forse Eros e Pra'apo, certo La meccanica, Novella seconda
ecc.).
Nel 1936 muore la madre, per cui egli fino all'ultimo
nutre un sentimento contrastatissimo fatto di amore, odio,
rabbia e sensi di colpa, e prende corpo l'idea di un
romanzo autobiografico: La cognizione del dolore, cui egli
mette mano pubblicandone qualche "tratto" su «Solarla» tra
il 1938 e il 1941.
Si lega comunque all'ambiente fiorentino dei solariani e
dei loro vicini (Carocci, Ferrata, Bonsanti, Comisso,
Contini, Debenedetti, Montale, Landolfi, e tanti altri), e
a Firenze, abbandonata ormai definitivamente la
professione di ingegnere, si trasferisce per qualche anno,
dal 1940 al 1950, prima di far nuovamente ritorno a Roma,
dove lavorerà per alcuni anni alla RAI. Il secondo
dopoguerra segna la definitiva consacrazione letteraria di
Gadda, che col Pasticciaccio (1957) raggiunge finalmente
anche un vasto pubblico. L'edizione in volume della
Cognizione del dolore (1963, ma nel 1970 ne esce un'altra
accresciuta) gli vale l'importante Prix International de
Littérature. Gli anni seguenti vedranno la progressiva
pubblicazione di molte sue opere inedite o rare (racconti,
saggi). Per il resto l'originario traumatico rapporto col
mondo non muta: Gadda vive nel dolore, nell'isolamento,
nella nevrosi, tra ossessioni e malattie che lo tormentano
sino all'ultimo. «Tutto per lui era ombra e tortura».
Muore a Roma nel 1973. |