Parliamo di |
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Letteratura italiana del Novecento |
Autore
della critica |
Adriano
Bon |
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Farfalla di Dinard |
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Raccolta di brani in
prosa definiti dall'autore "bozzetti, elzevirini,
culs-de-lampe", "brevi racconti o quasi racconti" comparsi
originariamente sulle pagine del "Corriere della Sera" e
del "Corriere d'informazione", dal 1946 al 1950. Alla
prima edizione, del 1956, fanno séguito (1960 e 1969) due
edizioni quasi raddoppiate nella materia, divisa non più
in tre ma in quattro sezioni. La prima, affollata di
memorie domestiche e infantili, è anche la più esplicita
nel sottolineare a un tempo il comune retroterra
stilistico e morale, e il rapporto di alterità fra queste
prose e l'opera poetica di Montale; la parte seconda è
consacrata ai ritratti di una società amata e moribonda;
nella terza, formicola il bestiario che permette al poeta
di resistere nella sfera della memoria, dei suoi riti e
dei suoi miti; la quarta, infine, restituisce una serie di
flashes esistenziali. Se la sede originaria, la pagina del
quotidiano, poteva indurre a una lettura frettolosa e
inorganica, l'attenta collocazione in volume permette di
riconoscere un disegno che allude all'autobiografia
spirituale. Già nella scelta e nell'ordine dei pezzi
scritti, come si è visto, in un periodo ben delimitato, si
avverte la volontà di ricostruire un momento - quello,
appunto, dell'immediato dopoguerra - sentito dal poeta
come cruciale per la propria vicenda umana: M. appartiene
a "quella generazione di resistenti e di non conformisti
che erano di fatto dei conservatori, per cui la tragedia
più vera... non è stato il fascismo, ma il dopoguerra con
le sue speranze deluse" (Avalle). Ecco dunque il bisogno
di ricostruire a un tempo, con unitaria coerenza
d'impostazione, e la propria biografia spirituale e,
sottaciute ma vivissime, le ragioni d'insoddisfazione ed
estraneità che allora condussero a simile scelta. Così,
una serie di delusioni politiche si muta in certezza
esistenziale di assoluta disarmonia, per cui l'invito alla
comprensione attiva ancora adombrato in "Dominico" (nel
1946, il titolo suonava più esplicito: "Date una bussola a
Dominico Braga") vira lentamente in una strenua difesa del
tipo umano decantato nel "Signore inglese", ultimo
relitto-referto di quell'Europa alto borghese, poliglotta
e cosmopolita minacciata dal nazifascismo prima, travolta
da tecnicismo e consumismo poi. È lo stesso itinerario
umano che M. restituirà sotto altre angolazioni, più
strettamente politico-sociale in "Auto da fé" più
diaristica, da "journal de voyage" in "Fuori di casa" e
che sarà comunque percorso, nei tempi reali, in modo meno
lineare di quanto non appaia dalle raccolte in volume.
Questa raggiunta autocoscienza di sopravvissuto porta a
una "reductio ad minimum" e dei meccanismi di difesa,
bloccati ormai in gesti allusivi ("L'uomo in pigiama",
"Cena di S. Silvestro", "La statua di neve"), e del tono
poetico, che ripiega su dimensioni private non più
liberantisi in grandi scatti metafisici: non più voli
ultramondani di messaggere celesti, ma "la farfallina
color zafferano" il cui "itinerario quotidiano" (non
"volo") sarà in silenziosa litote un "messaggio segreto".
Fondamentale, in questo senso, "Reliquie", dove la
situazione, così diversamente risolta, è la stessa della
poesia "Ballata scritta in una clinica". In questa chiave
di lettura si può sostenere che Farfalla di Dinard, pur
risalendo i racconti agli anni de La bufera ed altro,
tende a segnare esteriormente la fase di trapasso che
avrebbe portato poi alla poetica di solitudine tutta
privata degli Xenia, alla disincantata resistenza
subliminare di Satura, di cui non a caso "Botta e risposta
I", poesia scritta negli anni di pubblicazione di Farfalla
di Dinard, vuole proporsi come introduzione e chiave. |
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