Parliamo di |
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Letteratura italiana del Novecento |
Autore
della critica |
Adriano
Bon |
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Nel
nostro tempo |
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Raccolta di scritti.
Questi ha estrapolato i vari interventi senza indicazioni
di tempo o luogo. Si trovano, perciò, pagine negli anni
lontane fra loro, se non già comparse in Auto da fé;
quasi, come dice Montale,
"un collage di molte mie confessioni" preceduto dalla
poesia "In un giardino italiano", allora inedita e ora
accolta nel Diario del '71 e del '72. Chiude il volume una
"bibliografia essenziale". "L'insieme può dirsi nuovo se è
vero, come fu spesso osservato, che nulla è più inedito
del già edito": Campa riesce infatti a restituire un
particolare aspetto dello sviluppo del pensiero montaliano,
conservandone i caratteristici oscillamenti. L'attenzione
al problema dell'arte, "che è un fatto non naturale",
l'opposizione "alla vita irriflessa, allo stato brado", la
"fede incrollabile nelle fasi che regolano la vita
dell'umanità secondo un ritmo, un decorso che sfugge tanto
ai filosofi metafisici quanto ai dogmatici di qualsiasi
religione" sono le tre costanti su cui si sviluppa il
pensiero di Montale,
che solo a uno sguardo superficiale presenta
contraddizioni nel corso degli anni dall'anteguerra agli
anni successivi alla caduta del fascismo. Borghese dalla
vasta cultura cosmopolita, Montale
visse con ardore morale gli anni della dittatura,
allineato, in questo, con altri grandi esponenti della
cultura borghese europea (si pensi a Thomas Mann). Ma
proprio con la caduta del fascismo e il rapido delinearsi
di una società tecnologico-consumista di uomini vuoti, si
delinea la frattura critica tra il poeta e "l'ossimoro
permanente" di una società che distrugge anche le ultime
vestigia del mondo liberal-borghese. Non è un caso che
l'estrema arma poetica di M. sia la mimesi ironica, con
parabola che ricorda il Mann delle Confessioni del
cavaliere d'industria Felix Krull. In sede più
strettamente teorica, infatti, gli articoli scritti dopo
il '46 testimoniano il rapido evolversi di un'ideologia
che, pur se articolata, non viene meno alla propria
interna coerenza, confermando, se mai ce ne fosse bisogno,
che proprio il dopoguerra costituì per gli intellettuali
borghesi antifascisti, il periodo più complesso e
tormentato. È la vera e propria crisi d'identità di una
coscienza vigile cui non sfugge ogni nuova resa morale
della compagine civile: "il lato più pericoloso della vita
attuale è il dissolversi del sentimento della
responsabilità individuale". L'irreversibile meccanismo di
rigetto si innesca, mentre il poeta sottolinea l'abnorme e
caratteristica della nostra era: "Correre di più vuol dire
alleggerire il bagaglio della propria cultura, rompere i
propri legami col mondo antico. Vuol dire diventare un
essere di cui non abbiamo la più vaga nozione". Di questa
degradazione del tessuto civile, il Montale
saggista si fa notomizzatore amaro e irriducibile, tanto
più amaro quando confessa: "Io amo l'età in cui sono nato
perché preferisco vivere sul filo della corrente anziché
vegetare nella palude di un'età senza tempo", tanto più
irriducibile quando, esibendo il proprio antistoricismo di
fondo, smaschera la vuota miseria delle mode culturali di
una società in cui tutti fingono in buona fede di
desiderare una libertà che non vogliono. Meno diffuso e
vario che in Auto da fé, più esplicito che in Fuori di
casa, il pensiero montaliano è, in questo libro,
ricostruito a posteriori per linee essenziali ma non per
questo meno rivelatrici di una eccezionale, anche se
metastorica e pessimista, intelligenza critica. |
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