Parliamo di |
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Autori
del Novecento italiano Giovanni Pascoli |
Critica
di |
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Claude
Cènot |
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Canzoni
di re Enzio |
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Opera del periodo bolognese e dedicata,
quasi un tributo d'omaggio, alle memorie di quella città.
Apparsa nel 1909, fu inclusa poi nel vol. X delle opere
insieme ai Poemi Italici. Comprende tre parti o canzoni:
"La canzone del Carroccio", "La canzone del Paradiso", "La
canzone dell'Olifante", volte "a divulgare, cantando come
un giuculare del Medioevo, i nobili studi del grande
maestro che Bologna ha la fortuna d'ospitare, Pio Carlo
Falletti, e dell'altro che Bologna ha la gloria di aver
dato alla luce, Alfonso Rubbiani...". Di qui il titolo,
con riferimento alle "chansons de geste", di cui riproduce
il metro in lasse di endecasillabi chiusi da un
settenario, e il tono che vuol essere epico-eroico,
conveniente alla materia trattata, storica e leggendaria
insieme: la storia del Comune bolognese nel suo momento
più glorioso, dopo la battaglia della Fossalta e la
cattura di re Enzio, il figlio di Federico II. Di qui ha
inizio il racconto: tutto il popolo si prepara ad andare
incontro a Innocenzo IV, lungo la via Emilia, schierato
attorno al Carroccio vittorioso. Questa prima canzone è
poeticamente la più debole, e serve solo di preparazione
alle due seguenti. I capitoli "Il Re" e "Il Papa", sono i
più espressivi e belli perché d'ispirazione più veramente
storica, nel ben rilevato contrasto tra i principi
politici antitetici del secolo, l'Impero e il Papato.
Immagina il poeta che l'aquilotto prigioniero contempli da
una finestra dell'Arengo la marea del popolo esultante e
ne sia investito come da un vento impetuoso. Il resto
(undici canti in tutto) è poesia di contorno, di
ricostruzione storica erudita, in quadri staccati
narrativi o descrittivi (per esempio il VI ov'è descritto
il "Primo carroccio") e d'illustrazione storica
retrospettiva delle glorie guerriere del Comune,
dell'Italia in genere. Il poeta si lascia trasportare nel
tempo, si fa spettatore, mescolato alla folla dei bifolchi
e soldati; il realismo minuto toglie però alla poesia
anche la possibilità di slargarsi in quegli orizzonti che
ogni visione storica richiede. E il poeta è costretto a
commentar se stesso o con parti intercalate o con note al
testo. Migliore la "Canzone del Paradiso", di contenuto in
gran parte idillico, col racconto degli amori di Enzio con
una schiava del contado, Flor d'Uliva. È qui una delle
pagine più belle del Pascoli di poesia d'amore. E tutto
l'idillio è come ricamato su motivi o spunti di poesia
popolare antica che, ov'egli non trascenda nella
letteratura o nei vezzi eruditi, come quando fa parlare il
re nella lingua del tempo, giova a mantenere l'incanto di
lontananza e di favola al racconto. E vi sono spunti di
poesia rusticana, fresca e bella, se pure impreziosita di
finezze alessandrine (per esempio "Il biroccio", "Lusignuolo
e Falconello"). Vi si intreccia l'avvenimento storico
della liberazione dei servi, decretata dal Comune (1257);
e dal libro detto del "Paradisus" (dalla frase biblica
iniziale "Paradisum voluptatis...") in cui i nomi dei
liberati furon registrati, prende titolo la canzone, a
esaltazione del fatto. Ne qui la poesia vien meno, gli
endecasillabi muovono serrati in accenti squillanti di
gaudio, il Pascoli ritrova la bella ispirazione della sua
poesia sociale. Migliore ancora la terza, "La canzone
dell'Olifante", la sola veramente eroica. Il poeta
immagina, con una riuscita finzione, che nel giorno e
nell'ora in cui Manfredi cadeva presso Benevento, un
giullare giunto a Bologna canti in piazza, secondo l'uso
del tempo, la "Rotta di Roncisvalle", che è qui
intercalata per lasse nel racconto secondo il testo
originale tradotto dal Pascoli stesso, della Canzone di
Orlando. Ne deriva un contrasto di viva drammaticità
sofferto dal giovane tra il sentimento della sua impotenza
e il presentimento che l'accompagna, di quell'altra rotta,
ove, con la morte di Manfredi e la fine dell'Impero,
veniva posto termine pure a ogni sua speranza. Il suo
cuore si dibatte e freme come d'aquila prigioniera,
nell'anelito alla lotta e al combattimento: situazione di
profonda umanità che mentre non offende la storia, mette
quest'ultima al servizio della poesia.
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