È una delle prose più importanti,
pubblicata prima nel 1897, apparve nella forma definitiva
solo nel 1902 e fu inclusa nel volume dei Pensieri e
discorsi. Ha una triplice importanza: perché vi è
tracciato il programma dell'arte Poetica del Pascoli, ed è
quindi una guida preziosa a intenderne la poesia; perché
vi sono segnate alcune direzioni prese poi dalla poesia
moderna; infine perché contiene in sé una teoria dell'arte
valevole al giudizio critico-estetico della letteratura in
genere, italiana in ispecie. Tuttavia, sebbene nato nel
riflesso delle poetiche del Baudelaire e del Poe, Il
fanciullino non ha il carattere d'un bando; ed è contenuto
in toni modesti, di apologia dell'arte, dei princìpi
estetici che l'informano. Per il suo contenuto questa
prosa rappresenta l'estremo punto d'arrivo dell'estetica
romantica, da Vico e Leopardi al De Sanctis e al Croce. Il
ragionamento fa centro nella determinazione del carattere
lirico dell'arte, come rivelazione e illuminazione della
nostra interiorità e prodotto esclusivo del sentimento e
della fantasia, fuori e di là dal "logos", inteso questo
come ragionamento o razionalità. Perciò con immagine che
deriva da Platone (Fedone) e fu propria pure di tutta la
critica romantica, misticheggiante e platonica (e fu del
Leopardi), il poeta la raffigura in un fanciullino, specie
di demone che vive in noi, è di tutti gli uomini, di tutte
le età, sotto tutti i cieli. Di qui il carattere della sua
primitività e universalità. È dell'uomo in genere come
sentimento poetico del bello, del grande, del buono, ma
del poeta come coscienza di sé o autocoscienza, del poeta
che non inventa, ma scopre e sa ciò che tutti sanno e
vedono, ma senza rendersene conto. Di qui la sua
spontaneità che è la condizione stessa della sua
originalità, in una rivelazione di bellezza rinnovantesi a
ogni aurora. Perciò quanto sa di studio o calcolo, o sia
passionalità o esteriorità, le è d'impedimento; a
coglierne la voce occorre ritirarci in noi, nel cantuccio
del cuore. Questi i concetti essenziali esposti nella
prima parte (cap. 1-7). Nella seconda (cap. 8-20) essi si
determinano in particolare, specialmente sotto l'aspetto
di ciò che poesia non è, con una separazione netta tra
"poesia" e "non poesia", cioè tra poesia pura e poesia
applicata, quale la patriottica, la civile, il romanzo
ecc. Risorgono perciò i problemi fondamentali
dell'estetica romantica; tra essi quello della lingua, del
verso, del rapporto tra arte e poesia, contenuto e forma,
e sono risolti spesso dal poeta con genialità di
intuizioni e coraggiosa modernità di vedute. Appunti sono
mossi alla tradizione poetica italiana, siccome malata di
letteratura ora per spirito di imitazione dell'antico ora
nella confusione tra oratoria e poesia, moralità e poesia,
ecc. L'immorale si identifica perciò con l'antiestetico,
il buono col bello, al modo di Platone. Dispensatrice
quindi di felicità, di moderazione, la poesia non cerca
l'utile, non la gloria, ma solo l'assenso dei cuori, in
cui comunica un palpito dell'armonia del mondo.
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Nello scritto intitolato Il fanciullino,
pubblicato nel 1897 e nella sua redazione definitiva nel
1902, Pascoli espresse meglio che altrove i canoni della
sua poetica.
Vale la pena sottolineare la «dimensione riduttiva» che ha
questa poetica. Pascoli qui si inquadra cioè in tutta una
corrente di Fine Ottocento (particolarmente operante in
Francia) che mira a superare i confini logico-razionali
entro i quali prima sembrava dovesse limitarsi la poesia;
ma egli, anziché imboccare, in questo superamento, la
dimensione visionaria o teorizzare l'impegno di dar voce
all'inesprimibile (si pensi a Rimbaud), fa regredire
l'attività poetica a stupori infantili, a capacità
prelogica, a tinnulo squillo di campanello che ancor può
echeggiare nell'incallito animo dell'uomo adulto (ed è qui
l'origine di tanti suoi atteggiamenti «pargoleggianti», di
quei toni fastidiosamente queruli che di frequente si
incontrano nella sua produzione). Visione, questa, che da
un lato non può approdare alle arditezze espressive
consentite ad altre poetiche anch'esse irrazionalistiche,
dall'altro va collegata a quella scoperta dell'infanzia (o
regressione nell'infanzia) come fuga dalla storia che è
tanta parte dell'ideologia pascoliana.
Sul «fanciullino» ha scritto Giorgio Bàrberi Squarotti:
L'interpretazione del discorso sul «fanciullino» è sempre
stata (dal Croce al Binni fino al Salinari) poco
comprensiva per le ragioni del Pascoli: il linguaggio
volutamente dispersivo, non raziocinante, ma procedente
per intuizioni, spunti, illuminazioni improvvise, ha
portato gli interpreti a restare sul piano della lettera (cioé
all'immagine del «fanciullino», usata allora per definire
la poetica e la poesia del Pascoli come una sorta di
bamboleggiamento, ovvero come l'esplicazione di
un'attenzione per le piccole cose, immediataménte colte
con vergine sguardo), senza scendere nel reale significato
del simbolo. In realtà, il Pascoli, mentre respinge l'idea
di una poesia «applicata» (cioè civile, morale, politica,
ecc.), e dichiara che la grande poesia è rara e di breve
durata, in consonanza con la linea ottocentesca e
novecentesca della «poesia pura» (come ha molto
felicemente indicato l'Anceschi), si serve dell'immagine
del «fanciullino»-sia per segnalare il modo assolutamente
nuovo della sua ottica poetica, che è rovesciata rispetto
a quella consueta, normale, obiettiva (cioé «adulta», nel
senso della conoscenza razionale e scientifica), e
privilegia l'apparire sull'essere, onde può capovolgere i
rapporti fra le dimensioni, i luoghi, gli oggetti. In più,
il «fanciullino» significa il privilegio accordato a ciò
che è pre-razionale di fronte alla scienza e alla ragione:
l'invenzione rispetto alla riproduzione realista, il sogno
rispetto al «vero», la «distrazione» rispetto alla logica,
l'arbitrarietà del segno e della parola contro la
normalità comunicativa. In questa prospettiva, la stessa «poetabilità»
degli oggetti è sottoposta a scelta: che è, appunto,
quella arbitraria di uno sguardo che si è liberato ormai
completamente dalle buone regole di decoro di «classe», a
cui la tradizione italiana aveva sottoposto il
«poetabile». E' un'idea anti-realistica della poesia e
delle sue funzioni: ma è anche uno dei punti più avanzati
(alla dine dell'Ottocento) della meditazione di poetica in
Italia in consonanza con la poesia moderna in Europa