Letteratura italiana: Giovanni Pascoli

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Parliamo di

  Autori del Novecento italiano Giovanni Pascoli
Critica di
  Claude Cènot

 


Il fanciullino
 

È una delle prose più importanti, pubblicata prima nel 1897, apparve nella forma definitiva solo nel 1902 e fu inclusa nel volume dei Pensieri e discorsi. Ha una triplice importanza: perché vi è tracciato il programma dell'arte Poetica del Pascoli, ed è quindi una guida preziosa a intenderne la poesia; perché vi sono segnate alcune direzioni prese poi dalla poesia moderna; infine perché contiene in sé una teoria dell'arte valevole al giudizio critico-estetico della letteratura in genere, italiana in ispecie. Tuttavia, sebbene nato nel riflesso delle poetiche del Baudelaire e del Poe, Il fanciullino non ha il carattere d'un bando; ed è contenuto in toni modesti, di apologia dell'arte, dei princìpi estetici che l'informano. Per il suo contenuto questa prosa rappresenta l'estremo punto d'arrivo dell'estetica romantica, da Vico e Leopardi al De Sanctis e al Croce. Il ragionamento fa centro nella determinazione del carattere lirico dell'arte, come rivelazione e illuminazione della nostra interiorità e prodotto esclusivo del sentimento e della fantasia, fuori e di là dal "logos", inteso questo come ragionamento o razionalità. Perciò con immagine che deriva da Platone (Fedone) e fu propria pure di tutta la critica romantica, misticheggiante e platonica (e fu del Leopardi), il poeta la raffigura in un fanciullino, specie di demone che vive in noi, è di tutti gli uomini, di tutte le età, sotto tutti i cieli. Di qui il carattere della sua primitività e universalità. È dell'uomo in genere come sentimento poetico del bello, del grande, del buono, ma del poeta come coscienza di sé o autocoscienza, del poeta che non inventa, ma scopre e sa ciò che tutti sanno e vedono, ma senza rendersene conto. Di qui la sua spontaneità che è la condizione stessa della sua originalità, in una rivelazione di bellezza rinnovantesi a ogni aurora. Perciò quanto sa di studio o calcolo, o sia passionalità o esteriorità, le è d'impedimento; a coglierne la voce occorre ritirarci in noi, nel cantuccio del cuore. Questi i concetti essenziali esposti nella prima parte (cap. 1-7). Nella seconda (cap. 8-20) essi si determinano in particolare, specialmente sotto l'aspetto di ciò che poesia non è, con una separazione netta tra "poesia" e "non poesia", cioè tra poesia pura e poesia applicata, quale la patriottica, la civile, il romanzo ecc. Risorgono perciò i problemi fondamentali dell'estetica romantica; tra essi quello della lingua, del verso, del rapporto tra arte e poesia, contenuto e forma, e sono risolti spesso dal poeta con genialità di intuizioni e coraggiosa modernità di vedute. Appunti sono mossi alla tradizione poetica italiana, siccome malata di letteratura ora per spirito di imitazione dell'antico ora nella confusione tra oratoria e poesia, moralità e poesia, ecc. L'immorale si identifica perciò con l'antiestetico, il buono col bello, al modo di Platone. Dispensatrice quindi di felicità, di moderazione, la poesia non cerca l'utile, non la gloria, ma solo l'assenso dei cuori, in cui comunica un palpito dell'armonia del mondo.

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Nello scritto intitolato Il fanciullino, pubblicato nel 1897 e nella sua redazione definitiva nel 1902, Pascoli espresse meglio che altrove i canoni della sua poetica.

Vale la pena sottolineare la «dimensione riduttiva» che ha questa poetica. Pascoli qui si inquadra cioè in tutta una corrente di Fine Ottocento (particolarmente operante in Francia) che mira a superare i confini logico-razionali entro i quali prima sembrava dovesse limitarsi la poesia; ma egli, anziché imboccare, in questo superamento, la dimensione visionaria o teorizzare l'impegno di dar voce all'inesprimibile (si pensi a Rimbaud), fa regredire l'attività poetica a stupori infantili, a capacità prelogica, a tinnulo squillo di campanello che ancor può echeggiare nell'incallito animo dell'uomo adulto (ed è qui l'origine di tanti suoi atteggiamenti «pargoleggianti», di quei toni fastidiosamente queruli che di frequente si incontrano nella sua produzione). Visione, questa, che da un lato non può approdare alle arditezze espressive consentite ad altre poetiche anch'esse irrazionalistiche, dall'altro va collegata a quella scoperta dell'infanzia (o regressione nell'infanzia) come fuga dalla storia che è tanta parte dell'ideologia pascoliana.

Sul «fanciullino» ha scritto Giorgio Bàrberi Squarotti:

L'interpretazione del discorso sul «fanciullino» è sempre stata (dal Croce al Binni fino al Salinari) poco comprensiva per le ragioni del Pascoli: il linguaggio volutamente dispersivo, non raziocinante, ma procedente per intuizioni, spunti, illuminazioni improvvise, ha portato gli interpreti a restare sul piano della lettera (cioé all'immagine del «fanciullino», usata allora per definire la poetica e la poesia del Pascoli come una sorta di bamboleggiamento, ovvero come l'esplicazione di un'attenzione per le piccole cose, immediataménte colte con vergine sguardo), senza scendere nel reale significato del simbolo. In realtà, il Pascoli, mentre respinge l'idea di una poesia «applicata» (cioè civile, morale, politica, ecc.), e dichiara che la grande poesia è rara e di breve durata, in consonanza con la linea ottocentesca e novecentesca della «poesia pura» (come ha molto felicemente indicato l'Anceschi), si serve dell'immagine del «fanciullino»-sia per segnalare il modo assolutamente nuovo della sua ottica poetica, che è rovesciata rispetto a quella consueta, normale, obiettiva (cioé «adulta», nel senso della conoscenza razionale e scientifica), e privilegia l'apparire sull'essere, onde può capovolgere i rapporti fra le dimensioni, i luoghi, gli oggetti. In più, il «fanciullino» significa il privilegio accordato a ciò che è pre-razionale di fronte alla scienza e alla ragione: l'invenzione rispetto alla riproduzione realista, il sogno rispetto al «vero», la «distrazione» rispetto alla logica, l'arbitrarietà del segno e della parola contro la normalità comunicativa. In questa prospettiva, la stessa «poetabilità» degli oggetti è sottoposta a scelta: che è, appunto, quella arbitraria di uno sguardo che si è liberato ormai completamente dalle buone regole di decoro di «classe», a cui la tradizione italiana aveva sottoposto il «poetabile». E' un'idea anti-realistica della poesia e delle sue funzioni: ma è anche uno dei punti più avanzati (alla dine dell'Ottocento) della meditazione di poetica in Italia in consonanza con la poesia moderna in Europa

 

Luigi De Bellis