Parliamo di |
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Autori
del Novecento italiano Giovanni Pascoli |
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Italy |
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Della produzione pascoliana orientata
verso moduli epico-narrativa; verso il "poemetto", Italy,
lungo componimento in due canti (450 versi) che il poeta
completò nel 1904 e volle - come suona la significativa
epigrafe che vi premise - «sacro all'Italia raminga». La
vicenda cantata è infatti il ritorno di una famiglia di
contadini della Garfagnana, emigrati da anni in America,
all'antico focolare, al paese di origine. Da questa
situazione iniziale si snoda la trama: la guarigione,
nella terra dei padri, della piccola Molly arrivata
malaticcia in Italia; la morte della vecchia nonna; il
ritorno degli emigrati in America.
Per un primo approccio al testo sarà sufficiente
premettere che Italy é di straordinario interesse sia per
gli sperimentalismi linguistici che Pascoli vi realizza,
sia per l'attenzione che dimostra verso un problema
fondamentale della società italiana tra Otto e Novecento
quale l'emigrazione.
Per quanto riguarda lo sperimentalismo linguistico di
Italy, che oggi, dopo le prove di un Gadda (solo per fare
l'esempio più prestigioso), non sembra più "scandaloso"
come era parso a Croce, è di notevole interesse questo
testo di Gian Luigi Beccaria:
Di Pascoli «virtuoso, che può giocolare a sua posta con le
difficoltà metriche e stilistiche più paurose» discorreva
quel finissimo lettore di Pascoli ch'è stato Renato Serra.
Prima di lui già D'Annunzio, retore grande, aveva avuto
sentore del virtuosismo sotteso. Di «magia pratica»,
«maestria», «esperienza [...] infinita», «destrezza [...]
infallibile», «sapienza» nella « tecnica compositiva», di
«fucina del grande artiere», di «laboratorio» dell'«uomo
di lettere», di «presenza del demone tecnico» parlava
D'Annunzio: le attitudini appunto che si concretavano nel
suo sperimentalismo continuo, «in quella vocazione di
sperimentatore» riconosciutagli poi da Debenedetti. Uno
sperimentatore anticlassico, sappiamo, che ebbe a tratti,
per l'epoca in cui visse, un potere d'urto non
indifferente. C'è chi [Contini] ha richiamato in proposito
la novità del plurilinguismo pascoliano che ebbe allora
del sorprendente, e dello scandaloso «per chi lo misuri
sulla norma della tradizione letteraria italiana». La
trasgressione alla norma monolinguistica compiuta ad
esempio con gli ardimenti di Italy parve appunto
scandalosa al Croce proprio per la vistosissima eccezione
alla norma del linguaggio poetico istituzionale (la
presenza della lingua straniera o di una lingua speciale
come quella dell'emigrante lucchese che contamina italiano
e americano). Introdurre nel discorso letterario parole
straniere e termini tecnici, parole della vita quotidiana
e dialettismi, già mutava il sistema consueto di
segnalazione del linguaggio letterario, infrangeva uno
stereotipo. Appunto in Italy, per restare nell'ambito
della metrica cui si limita il nostro discorso, la
trasgressione alla norma monolinguistica era esposta in
posizioni anche forti e scoperte di rima (in Italy, V 5, 7
e 9 Molly, rima con colli: molli, ed ibid. I 1, 3 febbraio
con Ohio, III 23 e 25 luì con Italy, V 1 e 3 flavour con
Never, VI 13 e 15 gelo con fellow, 23 e 25 tossì con
Italy). Vistosa era dunque la deroga alla poetica
normativa; e l'eccezionalità doveva costituire tosto
l'autorizzazione per nuovi principi costruttivi, se si
pensa alla esposizione cercata di parole straniere in rima
nei crepuscolari e negli epigoni di questi.
Va inoltre precisato che l'operazione linguistica di
Pascoli - il far parlare i suoi protagonisti in un gergo
italo-americano, dilatando così i confini della lingua
poetica tradizionale - non è gratuita, ma nasce da una
necessità poetica: questo stridente impasto linguistico è
la testimonianza e il mezzo più valido per rendere quell'intima
lacerazione, quel doloroso offuscarsi della voce e del
sentimento della terra natale» (Getto) che si sono
prodotti nell'animo degli emigrati. La soluzione
linguistica è quindi in stretto rapporto col tema di fondo
del poemetto.
Per quanto riguarda le implicazioni ideologico-politiche
di Italy, basterà ricordare che qui in un modo abbastanza
singolare è già evidente quel processo che porta Pascoli
dall'ideologia del "nido" alle posizioni nazionalistiche,
e che sarà chiaramente enunciato nel discorso La grande
proletaria si è mossa. In Italy infatti c'è la solidale
rappresentazione del prezzo di dolore e di mutilazione
affettiva che l'emigrazione comporta, dell'estraneità e
della solitudine dell'emigrato condannato a correre per «terre
ignote con un grido / straniero in bocca», ma
sempre anelante a ritornare con un gruzzolo per farsi «un
campettino da vangare, un nido / da riposare»;
ma c'è anche l'auspicio che l'Italia, l'antica madre, un
giorno «in una sfolgorante alba
che viene / con un suo grande ululo ai quattro venti
/fatto balzare dalle sue sirene» riscatterà i
suoi figli dispersi (e qui il lirico poeta di Myricae si
assume il pesante ruolo di poeta vate, dirottando in una
direzione di generico nazionalismo il suo umanitarismo
socialisteggiante).
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