Parliamo di |
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Autori
del Novecento italiano Giovanni Pascoli |
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Novembre |
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Una serena e tersa giornata di novembre
può per un attimo suggerire un'illusione di primavera e
riportare quasi il profumo degli albicocchi in fiore. Ma
si tratta di un'illusione che presto scompare, e alle
iniziali impressioni subentra la stupefatta constatazione
di un inverno che non è solo indicazione stagionale ma
metafora dell'esistenza. Pubblicata sulla rivista «Vita
nuova» nel 1891, la lirica fu inclusa nella edizione di
Myricae dello stesso anno.
È, per comune riconoscimento della critica, una delle
composizioni più suggestive dell'intera produzione poetica
pascoliana. Come la maggior parte delle Myricae, anche
questa - malgrado il titolo - più che a descrivere la
natura in un particolare momento (nel caso specifico, i
giorni della prima metà di novembre detti "estate di San
Martino o "estate dei morti") è rivolta a penetrare il
segreto senso delle cose; e a scoprire in esse un
messaggio di morte o un precario senso di fragilità, di
vuoto.
Non sfugga la perfetta struttura del componimento. La
prima strofe rende, con una nitida precisione di contorni
veramente classica, l'impressione di una improvvisa
primavera; ma la seconda ribalta la prima e, intessuta
tutta da una fitta trama di parole-chiave (secco,
stecchite, nere, vuoto, cavo, sonante), avvia verso la
conclusione e legittima, con coerente gradualità di
trapassi, il tono della terza. Quest'ultima è tutta
incentrata sulla constatazione di una fredda legge di
morte come unica e vera realtà che rimane dopo la
momentanea, effimera illusione di colori e profumi
primaverili.
Sull'aspetto metrico cadono particolarmente opportune per
questa lirica le osservazioni del Bigi circa la
compresenza (nella poesia del Pascoli) di «due diversi
piani ritmici, uno vicino e scoperto e uno segreto e
lontano». In questo caso la struttura ritmica, compatta e
classica, della saffica è dissolta dal di dentro, resta
quasi come involucro esterno e subentra un ritmo scandito
da pause, da lunghi silenzi. L'endecasillabo è frantumato,
ricco di spezzature, di enjambements (con più evidenza ai
vv. 1-2, 7-8, 11-12); notevole la simmetria dei versi
iniziali di ogni strofe (vv. 1, 5, 9): sono endecasillabi
a minore, spezzati da una forte cesura, in cui il primo
emistichio («Gemmea l'aria»; «Ma secco è il pruno»;
«Silenzio, intorno»,) enuncia quasi il tema e il tono
della strofe.
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