Letteratura italiana: Giovanni Pascoli

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Parliamo di

  Autori del Novecento italiano Giovanni Pascoli
Critica di
  Claude Cènot

 


Poemetti
 

È la seconda raccolta di poesie. Apparsa nel 1897, si sdoppiò poi in due volumi distinti: Primi poemetti (1904) e Nuovi poemetti (1909). Ma per l'omogeneità della materia e il modo con cui venne ordinata essi formano ancora come un tutto unico, come un vasto poema cioè della natura, del mistero e del dolore, rampollato dall'ispirazione ferace di Myricae. Ne tornano cioè i temi principali, ma approfonditi e oggettivati in rappresentazioni più larghe e nelle forme adottate del poemetto epico lirico in terzine liberamente ripreso da Tennyson e Poe. Il nucleo centrale è costituito da una storia d'amore, il romanzetto di Rigo e Rosa, d'ispirazione più propriamente georgica, alternato o seguito sì nei Primi poemetti che nei Nuovi poemetti da componimenti d'altro contenuto, di carattere più propriamente meditativo e che fanno a esso come di commento. Non però così che il poeta dia all'opera una sua organica unità ché egli segue come sempre la libera ispirazione dell'estro e l'unità all'opera deriva dal tono e dall'ispirazione generale a cui s'informa. Poiché appunto quella storia d'amore si svolge sullo sfondo della campagna nella cornice della vita tutta d'una famiglia operosa, del capoccio, che lavora sul suo, ecco quello sfondo o cornice diventare spesso il quadro medesimo, e il racconto interrompersi con la descrizione a sé di lavori casalinghi o campestri seguiti lungo il corso della giornata e secondo il corso di essi nell'anno agricolo, oppure con la rappresentazione lirica della vita, in genere, delle piante ("Il vecchio castagno", il poema della vita vegetale), degli alati sempre presenti e in funzione direi di interpreti del sentimento particolare del poeta, quasi al modo in un dramma, del coro lirico ("La cincia", "il pittiere", "La lodola", "Il chiù", ecc.). E ciò è reso possibile dal fatto che quella storia d'amore non ha rilievo in sé, non vive per sé - onde nel lirismo prevalente la scarsa drammaticità del racconto - ma in rapporto alle vicende stagionali della campagna, dei lavori agricoli in una corrispondenza cosmica di vita e di morte tra l'uomo, la natura e le stelle, che costituisce l'attrattiva maggiore del racconto e dà a esso un significato di profonda e umana religiosità. In "La sementa" si racconta il primo incontro tra il cacciatore Rigo e la contadinella Rosa, figlia del capoccio: l'amore nascente come il buon seme di grano sotterra, nell'inverno ("L'accestire"), sboccia in primavera ("La fiorita"), ed esplode nell'estate, con lo sposalizio ("La mietitura"). La rustica semplicità di questo amore non rifiuta né delicatezza né sentimento, il realismo o anche il naturalismo, o sia dell'amore o del dolore si depura e s'innalza nella legge universale della vita cosmica. Vi si innesta un ideale sociale e morale di esaltazione del sacro lavoro umano. Esso trova espressione lirica a sé nei Primi poemetti con il canto spiegato di "La siepe": Siepe del mio campetto, utile e pia"..."io per te vivo libero e sovrano, - verde muraglia della mia città", e nei Nuovi con quello a "La piada", il pane dei poveri, una delle poesie più belle del poeta nella maniera descrittiva. In questi due canti è contenuto tutto un programma di redenzione sociale, che trova la sua voce eloquente nei due altri canti che chiudono il primo e rispettivamente il secondo volume: "Italy", l'epos tragico della nazione che emigra, e "Pietole", l'epos virgiliano della nazione redenta col ritorno alla terra. Di qui l'umanità di questo poema georgico e l'amore che l'accompagna, dell'artista mai stanco che sembra mutuare da Virgilio e da Orazio la sapienza pittorica rappresentativa e figurativa, sino all'alessandrinismo troppo scoperto dei Nuovi. Ove la poesia è raccolta specialmente nella figura del fanciulletto Dore, fratello di Rosa, come nello splendido canto dell'avvento della "Primavera" ("La fiorita") e della danza nel tino de "La vendemmia". Sono in tutto quattro parti di nove componimenti per ciascuna. Vari, si disse, i temi degli altri poemetti distribuiti in due gruppi per libro. V'è il cuore, il pensiero nascosto che guida pur l'ispirazione del poema georgico e d'amore, ma scoperto e non più placato nel contatto della natura, si con tutte le inquietudini del "reo dolor che pensa". E vi si contano alcune delle più belle e popolari composizioni del Pascoli: "L'aquilone", il suo canto prediletto dettato a Messina: "C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole, - anzi d'antico": l'aria di primavera, il profumo delle viole che fa risorgere come in una visione i ricordi di collegio, d'Urbino, e di quel compagnetto morto, ritratto con un'accorata dolcezza che fa parer bella anche la morte, un'ascensione, come dell'aquilone che gli era sfuggito di mano; "I due fanciulli" con la scena di quella rissa fanciullesca, che la madre seda e il buio della notte placa in un abbraccio d'amore, e "I due orfani", che ne sono come la continuazione, con la pittura di quel colloquio notturno nei terrori suscitati dalle ombre, come di morte; "Suor Virginia" e "Digitale purpurea", pur essi quadri d'ambiente, quasi a figurazioni contrapposte, la prima dell'amor sacro, la seconda di quello profano, ma placati ambedue in un mistico approdo alle rive della morte; e la "Quercia caduta" e il "Bordone", e il "Vischio", figurazioni diverse del concetto e senso che fu suo della poesia; più elevati e preoccupati nel simbolismo "Il libro" e "Il cieco", a figura della cecità del nostro destino e dell'affanno dell'ignoto. E così nei Nuovi il "Naufrago", ove, con "Vertigine" e "La pecorella smarrita", a codesto destino del male e della morte è fatto partecipe leopardianamente il cosmo tutto. Vi s'intrecciano temi e spunti e intonazioni comuni ai Canti di Castelvecchio. Anche quando la poesia vien meno, i canti mantengono una loro attrattiva o per il pensiero che li informa o come esperienza d'arte.

La poesia del Pascoli consiste in qualche cosa che è fuori della letteratura, fuori dei versi presi a uno a uno; essa è di cose, è nel cuore stesso delle cose. (Serra).

Se si vuol riattaccare il Pascoli a una famiglia di spiriti affini, si lascino da parte e Leopardi e Manzoni, e altre anime siffatte, energiche e tumultuose e grandiose pur nella depressione della tristezza o nella calma della religiosità, e si operi il ricongiungimento con la serie dei poeti idillici... Il suo sentimento idilliaco non è rettorico, ma profondo. (B. Croce)

 

Luigi De Bellis