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Romanzo scritto tra il giugno e l'agosto 1939 e pubblicato
a Torino nel 1941. Ritenuto la prima opera narrativa dello
scrittore piemontese, ma in realtà preceduto, in ordine di
composizione, dai racconti di Notte di festa e da Il
carcere (poi edito in Prima che il gallo canti), questo
romanzo parve rispecchiare più d'ogni altro dello stesso
autore la diretta influenza del naturalismo lirico
americano (Faulkner, Caldwell, Hemingway). In realtà, pur
ammettendo l'influenza di questi e altri scrittori che
Pavese in quegli anni attendeva a tradurre e a divulgare
in Italia (ma si pensi anche allo Zola di La terra e al
nostro D'Annunzio), il romanzo costituisce soprattutto una
prima e certo ancor superficiale manifestazione di quel
gusto per il selvaggio, il mitico, il "numinoso" delle
civiltà arcaiche, che ispirerà, in forme più sfumate, il
maturo Pavese dei Dialoghi con Leucò e di La luna e
i falò. Protagonista e "narratore" (il racconto si
determina in forma di monologo interiore) è Berto, un
operaio torinese del tutto "sui generis", amante del
vagabondaggio, che, uscito di carcere, va a vivere in
campagna presso un suo ex-compagno di cella, il contadino
Talino. L'amore per Gisella, una delle sorelle di Talino,
cui il bestiale fratello ha usato violenza, tramuta
l'idillio campestre dell'inquieto "cittadino" in una
brutale esperienza del mondo irrazionale, selvaggio,
rappresentato dalla terra e dal sesso. Durante la
trebbiatura, vista Gisella offrire a Berto l'acqua fresca
di un secchio, Talino, imbestialito di gelosia, di sole e
di fatica, si getta sulla ragazza ammazzandola a colpi di
forcone. A parte le immagini simboliche (per esempio la
collina che è una "mammella") e le sottolineature
mitico-sacrali che accompagnano, financo con eccessiva
insistenza, tutto il racconto a sottolinearne le
intenzioni extranaturalistiche, è da notare l'originale
impasto linguistico della narrazione, ottenuto dallo
scrittore fondendo, nella parlata di Berto, il dialetto
piemontese e la lingua e facendo così del personaggio il
portavoce insieme di un possibile Berto operaio torinese e
dello stesso Pavese. |