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Opera
pubblicata a Torino nel 1949: comprende i romanzi brevi Il
carcere e La casa in collina. Essi riflettono non soltanto
due momenti della vita dello scrittore (rispettivamente,
il soggiorno al confino di Brancaleone Calabro tra il 1935
e il '36, e il periodo di sfollamento in casa della
sorella a Serralunga di Crea, durante le vicende belliche
del 1943-44), eccezionalmente favorevoli allo sviluppo
della vita solitaria e interiore; ma altresì, sul piano
delle intenzioni simboliche che il titolo mette in luce,
due diverse rappresentazioni di quella fase critica
dell'esistenza in cui l'uomo comincia a prender coscienza
del proprio immutabile destino (l'ora in cui "ognuno
trasogna tra sé, tanto sa che nell'alba spalancherà gli
occhi"). Il carcere, composto tra il novembre 1938 e
l'aprile 1939, è la storia narrata in terza persona della
solitudine di Stefano, un ingegnere piemontese confinato
per ragioni politiche in un paese di mare del mezzogiorno.
Solitudine popolata, in realtà, di varie figure e, vicende
umane, tra le quali assumono un particolare rilievo quelle
di Giannino Catalano, il sorridente cacciatore di quaglie
e di donne, di Elena, l'amante premurosa e rassegnata, e
di Concia, la selvatica ragazza madre, serva degli Spanò.
Ma come Concia rimane irraggiungibile, protetta
nell'attraente mistero della sua primitività dalla gelosia
di tutti, ed Elena è accettata come bisogno fisico, ma
respinta come persona che ama, cosi Giannino piace a
Stefano proprio perché è l'unico, tra i suoi nuovi
conoscenti, che non minacci la sua solitudine, che sappia,
anzi popolarla "di cose non dette". La paura di
impegnarsi, il sentimento della caducità di ogni istante
goduto, l'angoscia del limite, costituito, ben più che dal
temporaneo confino, dall'allucinante presenza delle
"pareti invisibili" onde il destino circoscrive l'intera
vita di ognuno: son questi i fondamentali motivi d'ordine
esistenziale che si ricavano dal romanzo, il cui valore
artistico, tanto più notevole se si pensa che è questo il
primo romanzo di Pavese, resta tuttavia affidato sia al
paesismo, inteso non meramente come natura, ma, in
concreto, come clima umano e naturale del Sud, sia
all'evidenza con cui sono rese, nei gesti, nei segni,
nelle parole, le più lievi sfumature della sottile
psicologia pavesiana. Composta nel 1947-48, La casa in
collina è definita dall'autore stesso, nascosto nei panni
del protagonista-narratore, il professore Corrado, "la
storia di una lunga illusione", cioè l'illusione di essere
stato il protagonista della propria vita, anziché, come
tutti, una pedina a disposizione del destino. Diversamente
dal Carcere, ove il narratore scava in un tempo fermo,
senz'altra storia che quella delle stagioni, qui il
racconto è ritmato dalla successione degli avvenimenti
dell'ultima guerra: i bombardamenti, la caduta di
Mussolini, l'armistizio, la lotta civile e la resistenza
al tedesco. Di fronte a questi fatti che gli altri - i
suoi colleghi della scuola di Torino, le donne che lo
ospitano sulla collina e i loro amici borghesi, la gente
del popolo rifugiata alle Fontane (ove il protagonista ha
ritrovato Cate, amata e lasciata negli anni della
goliardia torinese) - affrontano come loro detta
l'educazione, il ceto cui appartengono o la necessità,
pagando di persona il prezzo della scelta, Corrado non sa
che ritrarsi nella propria solitudine scettica, rifiutando
ogni partecipazione attiva alla lotta di coloro di cui pur
condivide gli ideali rivoluzionari, attratto soltanto
dalla collina, dal bosco, dal mondo astorico della terra e
dell'infanzia. Ma la realtà della guerra incalza anche
lui: ricercato per i suoi rapporti con i partigiani, si
rifugia dapprima a Chieri in un collegio religioso, e
risale poi alla nativa collina, nelle Langhe, dove infuria
la lotta, obbligato suo malgrado a guardare in faccia la
morte. Ritornato così insieme al punto d'origine della
propria vita e alla scoperta della morte, avverte di aver
vissuto "un solo lungo isolamento, una futile vacanza"; e
che la sua sorte non è stata comunque diversa da quella
dei caduti, vittime anch'essi della stessa illusione.
Conclusione amara, che ben riflette l'assoluto scetticismo
del P. degli ultimi anni; ma che anche in questo caso non
esaurisce il significato del romanzo: vivo soprattutto,
oltreché per le pagine sulla guerra tra le colline, per la
rappresentazione di un contrasto, autenticamente sofferto
nel protagonista, tra desiderio e incapacità di
comunicazione, tra bisogno e paura d'amare. |