Letteratura italiana: Cesare Pavese

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  Autori del Novecento italiano: PAVESE
Analisi opere
Angelo Romano

 


Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
 

Raccolta di poesie pubblicata postuma a Torino nel 1951. Contiene due gruppi di poesie: il primo, dal titolo "La terra e la morte", scritto tra il 27 ottobre e il 13 dicembre 1945 e pubblicato in rivista ("Le tre Venezie") nel 1947; il secondo, "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi", scritto tra l'11 marzo e l'11 aprile 1950 (fatta eccezione per una composizione, "La casa", che risale al settembre del '40). Sul gruppo del '45 il diario Il mestiere di vivere, in data 17 dicembre 1949, fornisce le seguenti delucidazioni: "Quel poemetto fu l'esplosione di energie creative bloccate da anni ('41-'45), non saziate dai "pezzetti" di Feria d'agosto ed eccitate dalle scoperte di questo diarietto, dalla tensione degli anni di guerra e di campagna (Crea!) che ti ridiedero una verginità passionale (attraverso la religione, il distacco, la virilità) e colsero l'occasione mista di donna, Roma, politica e turgore Leucò. In genere, devi tener presente che negli anni '43-'44-'45 tu sei rinato nell'isolamento e nella meditazione (di fatto, hai teorizzato e vissuto allora l'infanzia). Così si spiega la stagione aperta nel '46-'47 con Leucò e il Compagno, e poi il Gallo e poi l'Estate e poi La luna e i falò ed ecc. ed ecc.". Alla sua origine c'è un episodio amoroso, vissuto a Roma; tuttavia nelle nove poesie non è rimasto nulla di descrittivo e di biografico, l'occasione è trasvalutata in simbolo e la donna è un nodo di miti diversi ("Astarte-Afrodite-Mèlita", la chiama nel diario, 27 nov. 1945). Le parole-chiave del poemetto sono: la terra, la morte, il mare, il cuore; il linguaggio è tutto teso nella ricerca di un'organizzazione (sia pure elementare) in cui disporre queste allusioni sintetiche, gridi più che parole, simboli più che realtà. La strada del Pavese autentico era tuttavia un'altra: e queste poesie si possono considerare come un residuato delle esperienze letterarie di ascendenza ermetica. Anche all'origine del secondo gruppo c'è un episodio di amore, l'ultimo vissuto da Pavese, quello che portò all'estrema maturità la sua lontana e invincibile vocazione al suicidio. L'intera vita di Pavese si può riassumere come il fallimento di un ambizioso progetto: "razionalizzare, prender coscienza, fare storia" (diario, 15 febbr. 1950: una pagina illuminante). Pavese è travolto quando la pressione dell'irrazionale contro le fragili difese da lui erette diventa insostenibile: le immagini che inventa risultano armi troppo deboli per combattere la violenza degli orgasmi personali, delle oscure essenze della realtà. Sempre nella pagina citata scrive: "Intanto hai ridotto all'immagine del sangue sotto il fico, alla vigna, tutto ciò che accade e non si comprende ancora: i paesaggi, le strane coincidenze, i groppi psicologici, le cadenze in una esistenza, i destini". Ma la riduzione è soltanto una barriera provvisoria e la presa di coscienza individuale non basta a ricacciare nel nulla i terrori, i tabù, il delirio, l'attrazione della morte. Anche nel secondo gruppo di poesie, una delle parole-chiave è la morte. Ma il contesto è sereno: luce, sole, acqua chiara, cielo chiaro, mattini chiari. Il secondo diario d'amore ha i toni di una dolcezza rassegnata, di un deliberato e definitivo distacco. Le cadenze settenarie, le ripetizioni, le rime esprimono tutta la musica di cui è capace una situazione poetica avvolta nell'angoscia: "I gatti lo sapranno, / viso di primavera, / e la pioggia leggera, / l'alba color giacinto, / che dilaniano il cuore, / di chi più non ti spera, / sono il triste sorriso, / che sorridi da sola. / Ci saranno altri giorni, / altre voci e risvegli. / Soffriremo nell'alba, / viso di primavera". In questi versi scritti qualche mese prima di uccidersi, nella morbidezza delle loro articolazioni stilistiche è il massimo credito concesso da Pavese alla poesia lirica.

 

Luigi De Bellis