Parliamo di |
|
Autori
del Novecento italiano:
PIRANDELLO |
Critica
all'opera |
|
Gerardo
Guarneri |
|
|
|
|
L'uomo
la bestia e la virtù |
|
|
Apologo in tre atti
rappresentato nel 1919. Con un cinismo farsesco, che
vorrebbe solo celare, ma in realtà travolge, l'amarezza
della delusione, vi si rappresenta il "caso" dell'amante
costretto, per rispetti umani e per la propria pace, a
spingere la donna nelle braccia del marito indifferente.
Patetico capovolgimento che illustra gli "idola" suscitati
da Pirandello nella sua lotta contro le convenzioni e nel
momento stesso che le rimuove: trovata di un moralismo
dilettantesco. L'amante è il professor Paolino, e la
signora è la moglie del capitano di marina Perrella.
Costui conduce fuori di casa una vita allegra, e, durante
le brevi soste fra le pareti domestiche, tratta la moglie
con grande freddezza e villania e la evita nel timore di
avere altri bambini, oltre a quelli che si trovano sparsi
lungo le sue rotte. Ma la signora Perrella è messa dal
professore in condizioni di maternità e, perché il marito
non sospetti l'inganno, è necessario che durante il
prossimo ritorno egli si comporti in maniera meno
scontrosa verso la moglie e possa così avvenire un facile
scambio di paternità. Con l'aiuto del farmacista, Paolino
prepara pasticci afrodisiaci per il capitano, e la signora
si acconcia e imbelletta in maniera provocante. Ecco il
resto della commedia affidata all'attesa: il fatto si
verificherà o no? E il fatto si verifica con generale
soddisfazione. Con sfarzo di lazzi e invenzioni comiche il
problema si snoda con l'aiuto di ben combinate risorse di
mestiere; e, come sempre in Pirandello, una costruzione
abile e perentoria conduce a soluzioni matematiche e
trionfali. È nella sua poetica poi quella schiavitù a
leggi convenzionali e a ipocrisie sociali a cui non si può
sfuggire se non con il sogno, la fuga o la morte: qui la
si fugge grottescamente capovolgendola su se stessa con un
giuoco assurdo e amaro.
In questo "apologo" il riso cela una sofferenza profonda,
un'amarezza invincibile che gli toglie ogni dolcezza e
serenità. (Tilgher)
|
|
|
|