Parliamo di |
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Autori
del Novecento italiano:
PIRANDELLO |
Critica
all'opera |
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Gerardo
Guarneri |
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L'uomo
dal fiore in bocca |
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Dialogo in un atto
rappresentato nel 1923, e tratto con poche varianti dalla
novella "Caffè Notturno". Il breve atto si svolge di
notte, in un caffè, tra un uomo su cui pesa un verdetto di
morte (affetto da epitelioma il "fiore in bocca"), e uno
che ha perduto il treno ed è costretto a passar la notte
seduto a un tavolino. Ma il dialogo si riduce a un lungo
monologo dell'uomo presso a morire, e che analizza le sue
sensazioni, sapendo che sono le ultime, con l'animo
turbato da questa condanna. Così, come è impossibile che
"le case di Avezzano, le case di Messina, sapendo del
terremoto che di li a poco le avrebbe sconquassate,
avrebbero potuto starsene tranquille sotto la luna,
ordinate in fila lungo le strade e le piazze. Case, perdio,
di pietra e travi, se ne sarebbero scappate!". Qui si
svela l'impressionismo pirandelliano: la voce umana, sulla
porta del sensibile, è più che mai cupa e sensitiva.
All'uomo dal fiore in bocca, così tristemente lucido, sono
più chiari il senso della perdita, il fisico ragguaglio di
ogni conoscenza: non rimpianti, non rimorsi, non ricordi,
ma l'immediata presenza di cose rese tanto più care dalla
certezza dell'abbandono. Nessuna esperienza morale può
affermarsi di contro a questa solitudine del godimento e
allo spavento, contemporaneo alla vita, della morte.
Questa meditazione pirandelliana è un soliloquio disperato
e legato ai sensi. Il risultato della morte è una fine dei
sensi, la speranza una realtà dei sensi. Così la morte è
una forza misteriosa e sensuale, rimasta naturale malgrado
ogni tentazione della civiltà, ogni allettamento. E
l'intensità di questo atto unico deriva appunto dalla
immediatezza della sensazione.
Con Pirandello la dialettica si fa poesia. (Tilgher)
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