Letteratura italiana: Luigi Pirandello

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Parliamo di

  Autori del Novecento italiano: PIRANDELLO
Critica all'opera
  Gerardo Guerrieri

 


I giganti della montagna
 

"Mito" incompiuto. Egli ne compose mentalmente il terzo atto nella sua penultima notte di vita con la fantasia già colta dal delirio, e solo alcune indicazioni lasciateci ci permettono di concludere la vicenda. I resti di una compagnia di commedianti, raccolta attorno alla contessa Ilse, prima attrice, giungono dopo varie peregrinazioni a una villa abbandonata e sperduta tra le montagne. La banda che occupa la villa, Cotrone coi suoi Scalognati, fa di tutto per spaventarli e allontanarli, con ogni sorta di apparizioni e diavolerie, ma quelli prendono le intimidazioni per ben riusciti trucchi da teatro. Raccontano di andare vagabondando per rappresentare l'opera di un poeta, La favola del figlio cambiato (opera in quattro atti di Pirandello, musicata poi da Malipiero); è Ilse che li trascina dietro di sé, presa dalla brama di far rivivere, attraverso la continua rappresentazione dell'opera, il giovane poeta che si è ucciso quando ella rifiutò il suo amore per restar fedele all'arte. Cotrone li invita allora a restare e mostra loro il suo magico mondo, ai limiti della realtà, dove la fantasia è l'unica creatrice: gli Scalognati non hanno bisogno che di questo per fabbricarsi i fantasmi, le apparizioni, le tempeste, la vita insomma che loro sovviene. Vi si sfugge a ogni legame con la realtà, a ogni bisogno, col dileguarsi delle necessità della carne. Ma l'inappagabile passione di Ilse la spinge lontano: Cotrone si offre di condurli dai Giganti della Montagna, razza violenta che solo si prodiga in un presente benessere, e si esercita in opere grandiose a dominare la terra. I Giganti, che non appariranno mai in scena, permettono che i comici diano fra loro una rappresentazione, pur non potendo assistervi a causa del loro lavoro: lasceranno al popolino lo spettacolo della poesia. Ma urla, fischi e lazzi accolgono le parole di Ilse; essa insulta il pubblico; tra questo e gli attori avviene una mischia e l'uccisione di Ilse. Con essa è morta la Poesia: ma il fondo è per tutti la liberazione da un incubo. Nell'ultimo capitolo pirandelliano, dell'accusa e morte della Poesia, è riapparso il vecchio duello fra spirito e materia: lo spirito perde essendosi staccato dal suo naturale complemento, il corpo (il dramma delle crisi nazionalistiche del dopoguerra). Ma in quest'opera, a onta della folla di simboli, si afferma chiaramente una volontà di credere. Pirandello, che ha rifiutato sinora la testimonianza dei sensi perché fòmite di illusioni, li abbandona adesso proprio per la ragione opposta, perché inutili a costruirle. Rinnega infine, per analogia, la ragione, che non è se non una trama di sensibilità essa stessa. I discorsi di Cotrone tendono a un vago irrazionale: "Non bisogna più ragionare. Privi di tutto ma con tutto il tempo per noi, ricchezza indecifrabile, ebullizione di chimere". In tale compiacimento per un trito vocabolario e per decisione finalmente sentimentali, i rapporti fra gli uomini e le cose sono forzatamente cancellati, naufragano in una sorta di indistinzione. Se la Poesia, come ogni sentimento umano, è incomunicabile, la villa degli Scalognati rappresenta l'estremo riparo, la vera Nuova Colonia. A uno scrittore così tediato dalla realtà, e costretto a infelici fughe, era serbata, prima di calare il sipario, l'avventura della fantasia. Con essa egli ripropone un dualismo forse risolutivo; si avverte non lontano il segnale della vittoria nei dialoghi non più ciechi ma solcati dalla speranza, prossimi a una sintesi. Colmati gli inutili dissidi e l'angustia che viene da un troppo teso realismo, il mondo pirandelliano si sarebbe ricomposto oltre le sue superficiali apparenze. Epilogo inatteso, ma coerente, fedele alle proprie evasioni: c'è una fede che prima non appariva, la fede nelle cose in cui ciascuno vuol credere: e l'illusione, forse remota, di un gratuito dono di verità, dietro le offese.

 

Luigi De Bellis